Stati modificati della e nella reclusione
Renato Curcio
Ho inincontrato il carcere un giorno di Settembre del 1974. Nel mio
immaginario, attraversato da attese rivoluzionarie, esso non era inatteso. Le
letture degli anni precedenti lo avevano a poco a poco introdotto nelle mie
fantasie come un luogo romantico, nobilitato da tanti uomini e donne che in
epoche diverse e diversi paesi avevanolottato contro poteri ritenuti
arbitrari. Cosa fosse in realtą questa forma d'istituzione totale non lo
sapevo ne' alcuno fino a quel giorno me ne aveva parlato avendone fatto
esperienza diretta.
Da allora sono trascorsi 23 anni e, fatti salvi alcuni mesi che mi sono
ripresi grazie ad un'evasione, il carcere ha definito la scena della mia vita
quotidiana. Tuttora sono semilibero, vale a dire che dalla mattina alla sera
posso 'uscire' per svolgere la mia attivitą lavorativa e per "coltivare la mia
vita affettiva", mentre dalla sera alla mattina devo 'rientrare' per consumare
i miei sonni nella pena.
Questa premessa mi sembra necessaria per contestualizzare l'interesse che da
un certo punto del mio cammino di recluso ho cominciato a nutrire per gli
stati di coscienza. Stati che hanno accompagnato i miei passi nel territorio
dell'istituzione per tutto il tragitto; che ho conosciuto direttamente o nel
rapporto diretto con tanti e tanti prigionieri incontrati sulla via.
L'impatto
La soglia del reclusorio e' piu' tagliente del piu' affilato rasoio. Chi
l'attraversa non puo' evitare uno sfregio la cui rimarginazione non e'
affatto scontata.
La prima rasoiata isola il neo-recluso dai suoi mondi consueti, lo
decontestualizza totalmente e in un lampo lo getta in uno stato di
spaesamento radicale. Il noto, il familiare, l'abituale, scompaiono dal
suo orizzonte sensoriale ed egli brancola, smarrito, nel vortice d'un
risucchio che lo aspira entro un orrido di cui non percepisce altro che i
pericoli. Lo stato di spaesamento trova nella vertigine la sua forma
piu' consueta. Secondo Daniel Gonin, medico penitenziario e coordinatore di
una ricerca condotta nelle carceri francesi per conto del Consiglio di Ricerca
del Mnistero della Giustizia, almeno "un quarto degli entranti in prigione
soffre di vertigini (...). Quando questi malesseri si manifestano in forme
spettacolari, per poco non arrivano a far cadere per terra coloro il cui
equlibrio e' piu' precario. Tuttavia, anche se in forme meno gravi,
condizionano ogni detenuto, costituendo una sorta di mordenzatura sulla
quale si fissano progressivamente tutte le modificazioni sensoriali del
recluso" [1].
La seconda rasoiata investe il flusso polimorfo degli stimoli ambientali che,
improvvisamente, viene disseccato. La riduzione drastica degli stimoli
ambientali riduce, in chi la subisce, un grappolo di fenomenologie
riconducibili alle transe di ipostimolazione.
Arnold Ludwig nella sua celebre catalogazione degli stati di coscienza osserva
che la riduzione delle stimolazioni esternepuo' essere considerata il
dispositivo induttore portante degli stati conseguente alla rdclusione [2].
Le persone soggette alla Riduzione deglu Stimoli Ambientali accusano,
secondo le ricerche, disfunzioni sensoriali, motorie, percettive, cognitive ed
emozionali. Ed inoltre, in un estremo tentativo di difesa, esse recuprano
memorie cruciali sepolte, che possono favorire un processo di adattamento come
pure suscitare ansie aggiuntive le cui radici restano sfuggenti [3].
Stati di allucinazione visiva, auditiva, tattile; del gusto e dell'olfatto;
difficolta' a camminare, scrivere, leggere; distorsioni della percezione del
tempo e dello spazio; sconvolgimenti dell'alimentazione, del sonno,della
sessualita' accompagnano chi vive quest'esperienza spesso anche per lunghi
periodi dopo la sua fine.
Queste prime maniploazioni collocano a tutti gli effetti le torsioni
relazionali esercitate dall'istituzione nell'ordine della tortura;traducono le
pene reclusive inflitte dai giudici in manipolazioni dei sensi e della
coscienza le cui implicazioni sono del tutto trascurate da chi le innesca.
Come pure trascurate sono pure le reazioni. Prima fra tutte, la morte [4]. Che
e' l'esito, talvolta immediato, di una dissociazione fallita;
dell'incapacita' o del rifiuto di elaborare, nel vortice della vertigine, un
Senso qualsivoglia per la propria esistenza nella nuova condizione. D'altra
parte, l'elaborazione, sia pur embrionale, di un Senso, se per un verso mette
al riparo dalla morte, per un altro spinge una parte di se' a vestire la
divisa del carceriere e con cio' ad avviare una dinamica penosissima di
dissociazione.
La soglia irreversibile
"Incarcerazioni superiori ai 5-7 mesi fanno correre dei rischi realidi
distruzione della persona. Il detenuto che e' sprofondato nell'incarcerazione
della carne non rinasce a se stesso che con estrema difficolta'. Una volta
scarcerato trasportera' all'esterno la propria prigione" [5]. Per alcuni piu'
breve - per altri piu' lungo, ma per tutti emergere vivi dallo spaesam,ento
iniziale significa aver innescato dentro di se' il potenziamento di un qualche
stato di coscienza dissociato, atto a risignificare la punteggiatura della
propria identita'.
Circondato da muri visibili e invisibili, sfregiato dalla doppia rasoiata
iniziale, il recluso che decide di restare, nonostante tutto, in vita, non
puo' che opporre alla prigione una 'sua' prigione. Realizzata la perdita del
mondo esterno e precedente, attraversate le macerie i dentitarie e personali
sedimentate dal crollo e dalla "fine del mondo", al recluso si presenta la
necessita' di scegliere tra due alternative rischiose: involversi
difensivamente in se stesso; evolversi da se stesso.
Nel primo caso si rafforzeranno pratiche per cosi' dire 'analgesiche'. Nel
secondo emergeranno personalita' piu' o meno strutturate, inconosciute e
creative.
Le risposte analgesiche
Mal di denti? Mal di testa? Mal di vivere? Un analgesico e tutto va a posto.
E' la riposta chimica alla domanda relazionale, la neutralizzazione del
sintomo che occulta la radice. Dormi, dormi, farai meno galera. L'eccesso di
pericolo a cui non si sa opporre una buona risposta rivendica il sonno, la
regressione allo stato neonatale in cui di fronte ad una situazione di
pericolo si risponde chiudendo a tutta forza gli occhi. Sonno 'naturale',
sonno artificiale: uno stato di coscienza, in ogni caso, discretamente
modificato.
L'induzione del sonno analgesico, a seconda del contesto esogeno o endogeno,
puo' ricorrere a farmaci acquistati oppure autoprodotti. Tra i primi, i piu'
consueti sono l'alcool, l'eroina; tra i secondi le endorfine del corridore di
cortile. Alcool ed eroina, comunque consumate e contestualizzate, rispondono
ad una scelta di autosottrazione passiva: "Cio' che vivo non mi piace, ergo
non voglio proprio vederlo". L'efficacia dell'autosottrazione chimica dipende
dalle piste simboliche che essa percorre; dai rituali, dai cerimoniali e dal
grado di elaborazione che questa strumentazione culturale ha acquisito nelle
attitudini neuro-psico-fisiologiche di chi se ne serve. Queste piste tracciano
comunque lo schema e la scala d'insensibilizzazione che l'interessato intende
praticare; la via della sua dissociazione entro lo spazio istituzionale e nel
riflesso di questo spazio entro la sua coscienza.
L'autostimolazione della produzione di endorfine richiede anch'essa un
tracciato simbolico efficace, il cui complesso viene generalmente allacciato
ad un'ipostatizzazione mitologica del cdorpo. Tenere in forma la macchina
muscolare appare qui una condizione necessaria per sottrarsi al tempo. La
transe del corridore carcerario ha per obiettivo il tempo dell'istituzione e
la sua proiezione dolorosa nel vissuto quotidiano della reclusione. Da questo
tempo, con la sua danza circolare spinta allo sfinimento, nel rito della corsa
entro cui autostimola vigorosamente la produzione endogena di endorfine, il
recluso si dissocia e, mentre il suo corpo rotea vorticosamente in spazi
limitati, il suo pensiero verbale si zittisce.
Stati di dissociazione spontanea
Per perdere il contatto con l'esterno di una istituzione totale e confondere
il dentro con il mondo intero non occorre necessariamente un lungo
internamento: puo' bastare anche un giorno. Ma quando il dentro si dilata fino
a coincidere con il mondo intero, per uscire da questo mondo ipertrofico
occorre trasferirsi in una dimensione inaccessibile ad ogni altro essere
umano. chiusa, recintata, protetta. Che non sopporta intrusioni e include chi
la frequenta in una bolla magica di solitudine ovattata, affollata da presenze
a volte tranquillizzanti, a volte inquitanti, come nel caso ci si imbatta in
se stessi.
Gli stati di dissociazione spontanea nella reclusione carceraria sono vari e
frequenti. Due famiglie in particolare sembrano avere una frequenza
significativa: le Out-of-the-body experience, e il ?vuoto mentale'. La prima
segnala, mediante uno sdoppiamento, la cadaverizzazione del corpo recluso e la
vitalita' autoscopica della parte di se' irriducibilmente irreclusa. La
seconda ricorre ad una tecnica per oscurare e mettere a tacere l'attivita'
verbale della coscienza ordinaria e per scongiurare l'insorgere di uno
sdoppiamento autoscopico o con visioni.
Due esmpi serviranno ad illustrare queste prospettive.
Domenico
Quando chiudevano le celle Domenico chiudeva lo spioncino e poi spegneva
nell'ordine la televisione e la luce. Sdraiato sulla branda lasciava acquitare
i suoi pensieri piu' agitati e poi s'adagiava tranquillo sul ritmo armonizzato
del suo respiro. A volte per ore indefinite, restava li', palpito immobile e
silenzioso proteso a non essere piu' li'. Sempre li', notte dopo notte, per
non essere piu' li'.
Una notte si senti' levitare. Si vedeva dall'alto. Vedente e visto, pesante ed
etereo, fuori e dentro il suo corpo.
L'esperienza di uscita dal corpo (OBE) e' piuttosto frequente nei sogni
lucidi, negli stati di coma, nelle esperienze di prossimita' alla morte e
nelle transe sciamaniche. Essa implica una dissociazione che, a seconda dei
contesti culturali in cui si manifesta, viene descritta come separazione
dell'anima dal corpo, proiezione astrale, separazione del corpo sottile...
La dove restare comporta un forte stress psichico e la coscienza ordinaria
non riesce piu' a trovare un Senso accettabile per la sopportazione della
pena, una parte di se' tenta di sconfinare, di spostarsi in un Altrove che
comunque configuri un mutamento. Una risposta difensiva, quindi, che il corpo
mette in atto quando e' 'preso' in una situazione estrema.
per Domenico il mutamento e' un volteggio poco piu' su della sua branda, una
dissociazione che gli consente di vedersi e provare per il proprio corpo un
moto spirituale di grande compassione.
Altri reclusi hanno raccontato di aver lasciato la cella e di essersi aggirati
fuori dal carcere.
Un lungo internato riferisce di essersi spinto fuori, ma di essere presto
internato poiche' la gente che incontrava indossava abiti di epoche passate e
le abitazioni sembravano essere del secolo scorso e forse perfino di quello
precedente.
Colpisce in questo racconto la sfasatura temporale dei due contesti in cui
transita. In quello esterno il tempo e' passato e trapassato. Come se,
elaborando la sua dissociazione, questo prigioniero volesse rappresentare a se
stesso l'incolmabile distanza temporale che separa il suo presente recluso da
un 'prima' talmente discontinuo da non poter piu' essere immaginato nel quadro
del presente. Un passato distante da cui non resta che prendere le distanze.
In questa metafora e' qaltrettanto significativa l'espunzione del futuro.
Il prigioniero non ha ne' passato ne' futuro in cui migrare.
Il contatore
"quarantaquattro, mquarantacinque, quarantasei... (...) Io conto tutto: le
mattonelle sul pavimento, i passi delle guardie... Una volta ho passato
un'intera giornata a contare le formiche che entravano e uscivano da un buco
della mia cella. Per questo mi hanno soprannominato il contatore" [6].
A differenza della ripetizione monologica degli esicasti, la tecnica del
Contatore e' ancora molto rozza, non conosce il valore del respiro, non
s'accorda se non casualmente sul battito del cuore, non s'affida all'efficacia
simbolica di piste culturalmente battute e ribattute.
Di fronte alla preghiera di Gesu', al Dhikr o al Mantra indiano essa e'
percio' molto povera. Tuttavia, prolungatamente ripetuta, riesce a indurre
modificazioni dello stato di coscienza. Molte scuole di meditazione
suggeriscono il 'metodo del conteggio' per scandire il ritmo della
inspirazione-espirazione, e per mettere contemporaneamente in folle
l'attivita' di pensiero.
"mentre ispirate, contate mentalmente 1, e mentre espirate contate 1.
inspirate e contate 2, espirate e contate 2. arrivate a 10, e ricominciate da
capo. Questo e' il punto di partenza per instaurare una consapevolezza
ininterrotta del respiro" [7].
La tecnica del contatore e' un continuo lavoro di presenza. Presenza a cio'
che fa per perdersi nell'assenza.
Dissociazione teatralizzata
Dissociazione teatralizzata dal corpo e' quella di quei reclusi che
infieriscono sulla carne con lame, lamette, vetri, chiodi, aghi, ferro filato
o quant'altro. E lo fanno senza provare dolore, o meglio ostentando una
capacita' non ordinaria di controllo del dolore.
Generalmente, queste operazioni sul corpo vengono considerate autoaggressive,
autodistruttive e classificate con una parola magica del lessico psichiatrico:
autolesionismo. Ma nel vissuto di chi le mette in atto il corpo che esse
feriscono e' quello "lavorato" dall'insieme delle torsioni reclusive
subite.
Il silenzio insondabile e reiterato opposto dal carcere alle richieste
impellenti e motivate di trasferimento, per fare un esempio, taglia il corpo
del detenuto con lame invisibili per giorni e per notti, per settimane e per
mesi, prima che quello stesso detenuto decida di dissociarsi dal corpo e far
vedere quei tagli servendosi di una lametta.
Questa forma di dissociazione teatralizzata riporta l'attenzione sullo scempio
compiuto e occultato dall'istituzione, lo mostra ricorrendo ad un linguaggio
analogico: mi hai reso cieco, dunque mi cucio le palpebre; mi hai reso muto,
quindi mi infilzo le labbra; mi hai tolto la sessualita', percio' mi mozzo il
pene. Il corpo dissociato in tal modo diventa scena e teatro delle torture
che lo hanno invisibilmente attraversato.
Automanipolare il corpo per esporre le ferite che non lasciano segni esteriori
coniuga la dissociazione con il suo padroneggiamento. Come se ci venisse
detto: "Dissociandomi da 'quel corpo' me ne riapproprio per incidere sulla sua
pelle la mia storia, la 'mia' narrazione, la 'mia' identita'. Una identita'
nuova, piu' che ribadita; una identita' di transe scritta col sangue e,
dunque, ancora viva.
Lungointernamento e reclusione volontaria
La dizione 'lungointernamento' implica una misura solitamente riferita alla
scala temporale dell'istituzione, al calendario giudiziario, agli anni
'scontati'. Alcuni ritengono che il recluso rientri nella categoria dopo 10
anni d'internamento. A me sembra tuttavia che dalla parte del reclusoil
passaggio all'esperienza del lungointernamento si collochi nel punto di crisi
che scardina il suo immaginario, non appena egli rea.lizza che di fronte a lui
si spalanca il tempo della pena. E cio' puo' accadere anche dopo pochi mesi
d'internamento.
Qui interessa la risposta a questa catastrofe del mondo che fino ad allora
strutturava il suo immaginario, a questo crollo del Senso entro cui si
costituivano la sua esperienza del tempo e dello spazio, la sua sensibilita' e
le sue dinamiche cognitive. La quale puo' essere di totale rifiuto a
modificare il suo stato di coscienza, ed allora la crisi si proietta in uno
scenario di scardinamenti psicofisici e di morte. Oppure di elaborazione
creativa di un mondo di Senso Altro, in cui richiudersi ermeticamente per
salvare la sua vita. Alla reclusione volontaria, in questo caso si sovrappone
uno stato di reclusione volontaria.
La reclusione volontaria implica necessariamente una o piu' reclusioni
volontarie, la loro lucida percezione, il sentimento diffuso in tutto il corpo
della sofferenza patita, l'elaborazione a lungo meditata di un dolore
esistenziale senza scampo, e l'impegno di tutte le proprie residue energie
nella piu' radicale rivolta esistenziale a tutto cio'.
In questa prospettiva la reclusione volontaria e' nello stesso tempo la piu'
totale accettazione e il piu' risoluto rifiuto della reclusione; uno stato di
coscienza doppio e dissociato. Il 'salto' nella reclusione volontaria elegge
uno stato modificato di coscienza a Senso del non senso, a gioia nel dolore, a
vita nella morte. Per questo essa viene tanto piu' pienamente vissuta quanto
piu' netto e' lo stacco, quanto piu' ineffabile la sua condizione. Non puo'
essere detta perche' non deve essere detta.Il luogo della reclusione
volontaria vive nell'inaccessibile alla coscienza ordinaria poiche' e' per
definizione luogo di fuga, riserva protetta, 'castello interiore' difeso da
inespugnabili bastioni.
La reclusione volontaria e' appunto volontaria: scelta, decisa, esclusiva e
solitaria. Chi la pratica ne porta totalmente la responsabilita'.
Il territorio del corpo in cui si compia isola le piste della sofferenza
battute e ribattute dalla cognizione della reclusione involontaria. Il corpo
del recluso volontario diventa per cio' stesso 'invulnerabile'. Cio' che nello
stato di reclusione non voluta lo ferisce, nello stato di coscienza della sua
autoreclusione diventa impotente; le sue dinamiche culturali, psicologiche,
neurofisiologiche vengono sospese, 'staccate', e girano in folle.
Tra i due stati, vive una transe.
Dal verbo latino transire, la transe allude ad un trapasso che implica
discontinuita' e mutamento di contesto [8]. Da questo all'Altro mondo , nel
significato originario; da uno stato ad un altro di coscienza e del corpo,
nel significato che noi privilegiamo.
Ma l'esperienza della transe, oltre ad un 'andare' comporta un 'restare'.
Mentre una parte di se' trapassa, un'altra resta;resta proprio la' dove chi
compie l'esperienza non ce la fa piu', nel suo stato ordinario, a restare.
L'umano che la vive, in breve, si disaggrega, nel senso forte che Pierre Janet
ha dato a questa parola, ma il filo della comunicazione essenziale tra le due
parti non si spezza [9]. Una terza parte s'incaricainfatti di tenerla viva,
d'osservare tutto cio' che in esse o in relazione ad esse succede, e
d'intervenire attivamente qualora un pericolo qualsiasi si profili
all'orizzonte.
Fenomenologicamente si 'esce' da un corpo per entrare in un altro, beninteso
sempre nello stesso. Corpi simultanei le cui piste cognitive, emozionali,
simboliche ed esperienziali non combaciano.
Addormenta la casa dei sensi ordinari, si risveglia il castello di un altro
Senso, indifferente alle falsificazioni della logica, dell'aritmetica, delle
consuetudini etiche ed estetiche. Il bello, il buono, il giusto della fortezza
in cui si chiude il recluso volontario, come il tempo e lo spazio, non
accettano il confronto: per loro natura sono valori unici, irripetibili.
Creazioni libere da ogni vincolo relazionale, infinitamente plasmabili
secondo il gusto, il bisogno, il piacere del loro creatore.
Il recluso volontario nel suo luogo inaccessibile conosce la potenza infinita
dell'atto creativo e il benessere che si sprigiona da quest'atto. Percio' da
quello stato egli non vorrebbe piu' tornare; e non apopena rientrato, egli
gia' freme per riandarsene ancora.
Per quanto paradossale, la reclusione volontaria e' una vigorosa risorsa
vitale. Chi volontariamente si reclude chiede al suo corpo di staccare, di
andarsene dalle afflizioni indotte da quel sistema relazionale che egli
subisce e che non e' in grado di cambiare; gli chiede di trovare in se stesso
le buone energie per esplorare altre dimensioni dell'esperienza e della
condizione umana.
Ma questa risorsa, non va trascurato, funziona come certi veleni che possono
curare ma anche uccidere: da risorse vitali, oltre una certa misura, diventano
sostanze mortali [10].
L'ombra dell'istituzione
Scontata la pena, il recluso lungointernato non esce piu' solo dai cancelli
del carcere. Varcata la soglia, la 'memoria di stato' [11] della sua
reclusione lo segue come un'ombra in tutti i gesti, gli atti di silenzio o di
parola, i riti e le dinamiche di relazione che il nuovo contesto gli impone o
propone. Una memoria fortemente strutturata, complessa, pronta a fornire. al
primo accenno di crisi nella nuova situazione, gli schemi, gli automatismi, le
soluzioni collaudate dell'identita' che gli e' propria.
D'altrocanto, il mondo che s'incontra oltre la soglia non e' piu' quello che
si e' lasciato quando essa e' stata varcata in direzione contraria, sicche'
il ritorno offre inevitabilmente paesaggi stranieri e inattesi spaesamenti
[12].
Su questo territorio indeciso chi esce da una pena reclusiva prolunga
sperimenta il confronto interiore piu' difficile con le sue multiple
dissociazioni. Mai come in questo guado gli stati di attenzione
consapevole>/i> e presenza mentale appaiono risorse decisive. Essi,
infatti, consentendogli di vedere dietro l'apparente normalita' di alcuni suoi
atti l'ombra dell'istituzione, possono attrezzare il controllo delle sue
dissociazioni e ,quindi, preservarlo dalla tirannia distruttiva che
l'affermazione incontrastata di una di esse gli imporrebbe.
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NOTE:
1. D.Gonin, Il corpo incarcerato, Torino 1994, Edizioni Gruppo Abele.
2. A. Ludwig "Alerated states of conscousness", in Archives of General
psychiatry, 26, 1968.
3. Anthony Suraci, Environmental Stmolus Reduction, Rew. Ment. Dis. 138, 1964,
172-180.
4. R.Curcio, S.Petrelli, N.Valentino "Nel bosco di Bistorco", Roma, 1997,
Sensibili alle foglie.
5. D.Gonin, op.cit., p. 224-225.
6. Ivano Fabbrini, "I gerani di Trani", Roma 1996, Sensibili alle foglie.
7. Thich Nach Hanh, Il miracolo della presenza mentale, Roma 1992, Ubaldini
editore.
8. Georges Lapassade, Stati Modificati e Transe, Rona 1995, sensibili alle
foglie; Transe e dissociazione, Roma 1996, Sensibili alle foglie.
9. Pierre Janet. Disaggregazione, Spiritismo, Doppie personalita', Roma 1996,
Sensibili alle foglie.
10. Renato curcio, Reclusione volontaria, Roma 1997, Sensibili alle foglie.
11. Ernest Rossi, "Teoria della memoria e dell'apprendimento stato-dipendenti
nell'ipnosi terapeutica": in Milton Erikson, La comunicazione mente-corpo in
ipnosi, roma 1988, Astrolabio; Charles Tart. stati di coscienza, roma 1977,
Astrolabio.
12. Renato Curcio, La soglia, Roma 1994, Sensibili alle foglie.