unlogopiccolo


Da "Umanità Nova" n.20 del 22/6/97.

L’IMPERIALISMO ITALIANO AFFILA LE ARMI


La missione militare italiana in Albania non rappresenta, di per se, una novità. E' almeno dalla fine degli anni '70, quando l'amministrazione del presidente Carter cominciò a chiedere agli alleati europei una loro maggior presenza a supporto degli interventi militari dell'imperialismo americano, che le forze armate italiane sono impiegate per missioni all'estero.
L'"Operazione Alba" rappresenta però un innegabile salto di qualità perché per la prima volta lo Stato italiano guida una missione militare internazionale, assumendo proprio quel ruolo di "media potenza regionale" al quale la classe dirigente italiana ambisce ormai da almeno 15 anni per motivi di prestigio internazionale e di penetrazione economica del capitalismo nazionale.
Insomma, detto in termini molto chiari: con l'intervento in Albania l'imperialismo italiano manifesta concretamente le sue ambizioni. La crisi albanese permette all'Italia di entrare da protagonista nei giochi balcanici che essa considera di prioritario interesse nazionale ("Dopo la fine della guerra fredda si è aperto uno spazio al centro dell'Europa e noi siamo candidati ad occuparlo per ragioni di contiguità geografica, di legami storici e di presenza economica", Piero Fassino, Pds, sottosegretario agli esteri). Per l'imperialismo italiano l'Albania rappresenta anche un'occasione di rivincita dopo che l’Italia era stata estromessa dalla gestione internazionale della guerra nella ex-Jugoslavia (si ricorderanno le reazioni del governo di Roma all'esclusione italiana dal "Gruppo di contatto" per la Bosnia).
A supporto di queste ambizioni lo Stato italiano ha elaborato negli ultimi vent'anni una nuova politica militare che dopo molte discussioni e "prove sul campo", ha trovato nel progetto di "Nuovo modello di difesa" la sua più compiuta espressione. Il "Nuovo modello di difesa" non è solo un impianto teorico teso a giustificare l'uso della forza militare ma è anche un piano di ristrutturazione a fondo dello "strumento militare" che richiede una nuova organizzazione delle Forze armate, nuove armi e quindi massicci investimenti. Di questo parleremo nell'articolo che segue.

Una nuova dottrina
Il "Nuovo modello di difesa" (NMD) viene presentato ufficialmente nel novembre 1991 dall'allora Ministro della difesa Rognoni. Il documento, mai discusso dal parlamento, è stato accettato da tutti i governi che si sono succeduti in questi anni, della prima come della seconda repubblica, di destra come di sinistra, dimostrazione di un sostegno pressoché unanime della classe politica italiana. Il "NMD", la cui ultima versione "attualizzata" risale al 1995, viene invece messo in pratica attraverso una serie di proposte di legge finalizzate ad una lenta ma per molti versi radicale ristrutturazione delle Forze armate.
Da un punto di vista concettuale il "NMD" non è altro che la "nazionalizzazione" di una serie di documenti e direttive apparsi in ambito USA e NATO verso la fine degli anni ‘80, documenti e direttive che iniziarono a trovare applicazione nella guerra del Golfo del 1991. Giustamente molti definiscono il "NMD" come un figlio legittimo di quella guerra.
Il cardine del "NMD" è il passaggio dal concetto di "difesa della patria" a quello di "difesa degli interessi nazionali". In pratica: le Forze armate non devono difendere i confini ma devono difendere gli interessi del sistema economico nazionale, ovunque questi ultimi siano messi in pericolo. Naturalmente difendere gli interessi economici nazionali significa anche difendere il predominio economico dei paesi ricchi sul resto del mondo. In realtà non si tratta di una novità poiché gli ambienti militari cominciarono a sostenere la necessità che l'apparato militare sostenesse gli interessi economici nazionali fin dal 1975 quando la Marina militare pubblico il proprio "Libro bianco". Quel documento servì ad aprire la strada a tre leggi (una per ogni arma) che alla fine degli anni '70 riversarono sulle forze armate e sull'industria bellica nazionale una valanga di soldi necessari a finanziare una prima grande ristrutturazione dello "strumento militare" italiano.
Proseguendo nella linea inaugurata più di vent'anni fa, dunque , il "NMD" individua la "minaccia" nelle aspirazioni a condizioni di vita migliori delle popolazioni povere del Sud del mondo, aspirazioni individuate come contrapposte alla possibilità di progresso delle società "ricche". Per contrastare questa "minaccia" il "NMD" prevede pressioni politiche, economiche e militari. L'intervento militare, anche preventivo, dell'Italia viene considerato come "normale" al fine di tutelare "la sua presenza economica e la sua influenza culturale nei paesi terzi". In queste parole si concentra tutto l'imperialismo e il neocolonialismo della nuova politica militare italiana che, forse è bene non dimenticarlo mai, non solo vuol mantenere poveri i paesi poveri ma non si identifica neppure con gli interessi della popolazione italiana come dimostrano la crescente disoccupazione e il peggioramento costante delle condizioni di vita che hanno caratterizzato questi anni di imperialismo italiano rampante. In breve: i lavoratori e i disoccupati non hanno niente da gudagnare dalla politica imperialista; al massimo, possono raccogliere gli spiccioli degli enormi profitti che finiscono ad una ristretta cerchia di privilegiati.

Cinque compiti per le nuove Forze armate
In sintesi la nuova dottrina militare individua tre funzioni fondamentali delle Forze armate:
1) Presenza avanzata e sorveglianza. Per presenza avanzata si considera la presenza di forze armate fuori dai confini nazionali e non in missione di combattimento diretto. Per sorveglianza si intende una serie di misure di vigilanza anche direttamente militari (controllo dello spazio aereo e misure di prevenzione), senza una presenza militare diretta.
2) Difesa degli interessi esterni e contributo alla sicurezza internazionale. In pratica è la capacità di intervento rapido o rapidissimo fuori dai confini nazionali per la difesa dell'interesse nazionale. Le forze militare impegnate possono svolgere compiti che vanno dalla "presenza attiva" ad azioni "via via più coercitive".
3) Difesa degli spazi nazionali. E' questa la funzione che tradizionalmente (e anche molto ipocritamente) è stata riservata agli eserciti.
Per il successo di queste tre funzioni il "NMD" ritiene determinante la "rapidità" e la "flessibilità" di cui devono dare prova le nuove forze armate. Si tratta di due caratteristiche la cui importanza è stata confermata da due altre funzione che si sono aggiunte di fatto in questi ultimi anni: "il concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni", cioè l'intervento con compiti di ordine pubblico (Sicilia. Sardegna e Calabria), e la "lotta all'immigrazione clandestina" (Puglia).
Come si è detto il "NMD" viene lentamente messo in pratica con una serie di interventi "ad hoc". Innanzitutto la riforma dei vertici militari, approvata nel febbraio 1997, che sposta le responsabilità decisionali in favore dei militari. Con la nuova legge, infatti, i capi delle tre forze armate non risponderanno più ad un civile (il Ministro della difesa) ma ad un militare (il Capo di stato maggiore della difesa) al quale farà capo anche il Segretario generale delle difesa, responsabile di tutta la politica industriale del Ministero.
Importante è anche la radicale riforma del personale che prevede una diminuzione della quota dei soldati di leva e un aumento dei "volontari", ai quali viene garantita, oltre ad un non disprezzabile stipendio, la possibilità, una volta concluso il periodo di ferma, di entrare in polizia o nei carabinieri oppure di godere di una corsia preferenziale per l’assunzione nell'amministrazione pubblica. L'obiettivo è quello di diminuire del 20% il numero totale dei militari e di reclutare circa 75.000 volontari che dovranno rappresentare il 50% dei soldati e il 70% dei graduati. Al fine di raggiungere l'obiettivo sono stati varati diversi provvedimenti legislativi approvati fra il 1993 e il 1997. Anche se l'introduzione di un esercito largamente professionale viene giustificata con una sua presunta maggiore efficienza, il motivo vero è che un esercito di volontari può essere più facilmente utilizzato in tutte quelle operazioni "sporche" e pericolose che sempre più spesso vedono coinvolte le Forze armate dei paesi "ricchi". La conseguenza diretta di questa scelta è un'ampia militarizzazione della società.
C'è infine da segnalare l'ormai imminente introduzione del servizio militare femminile che demagogicamente viene presentato come la dimostrazione dell'ormai raggiunta democraticità e maturità delle Forze armate. Come giustamente è stato osservato ancora una volta "l'unica parità che viene riconosciuta alle donne è quella di poter fare come gli uomini!".

Le nuove armi
Un discorso a parte meritano i nuovi armamenti. Per nuove dottrine e nuovi soldati servono infatti nuove armi. Naturalmente moderne, efficienti e, come vedremo, costosissime.
Ancora una volta è la Marina che fa da battistrada. Vent’anni fa fu la Marina che modificando senza nessuna autorizzazione politica un progetto di portaelicotteri realizzò la prima portaerei italiana, adattissimo e costosissimo strumento per la nuova politica di “proiezione di potenza”. Oggi è la Marina che dopo alcuni anni di dibattito e sulla base delle esigenze del “NMD” si prepara a realizzare quella che viene definita la “NUM” (Nuova Unità Maggiore), che proprio in questo 1997 ha sostituito il progetto di costruire una seconda portaerei. In questi mesi l’Ufficio studi della Marina sta definendo il progetto che, come riferisce “Panorama difesa” di aprile, risponderà “ai requisiti che caratterizzano il prevedibile scenario geostrategico e le future missioni” in modo da poter condurre operazioni complesse (navali, aeree e anfibie) dal mare. Questo vuol dire che la “NUM” avrà, ad un tempo, “una capacità di trasporto e sbarco di un consistente reparto anfibio ... Una capacità di comando, controllo, comunicazioni, calcolo e intelligence (C4) sufficiente per coordinare in piena autonomia un’azione tridimensionale (navale-terrestre-aerea) anche a grande distanza dalle basi nazionali ed infine una capacità non marginale di supporto di una componente aerea imbarcata, formata da aerei ad ala fissa e rotante”. La NUM si presenta come un vero e proprio arsenale. Lunga circa 180 metri per un dislocamento non inferiore alle 20mila tonnellate essa ospiterà: un bacino allagabile per due nuovissimi mezzi da sbarco anfibi a cuscino d’aria; circa 600 uomini della “S. Marco” o della costituenda Brigata anfibia, con la propria dotazione di mezzi da trasporto e da combattimento inclusi i carri “Ariete” e “Centauro”; 6 elicotteri da eliosbarco e 2-4 velivoli a decollo verticale che decolleranno dallo ski-jump posto a prora. Naturalmente non mancheranno un sistema missilistico, cannoni da 76 mm della OTO Breda e un sistema antisiluri. Si prevede che la commessa di questa nave polifunzionale verrà assegnata entro il 1998. La Marina - che con la “NUM” potrà contare su ben quattro navi da sbarco! - ha in programma anche la costruzione di sei unità della nuova classe “Orizzonte”, di pattugliatori, di nuove fregate ASW polivalenti, di ben 400 nuovi siluri, di quattro nuovi sommergibili U-212.
La descrizione della “NUM” spiega efficacemente il carattere interventista della politica che lo Stato italiano intende adottare nei prossimi anni. La stessa politica per la quale l’Aeronautica militare verrà dotata ben 121 cacciabombardieri “EF2000”, di nuovi aerei da trasporto FLA, di nuovi aerei per il rifornimento in volo e di nuovi cacciamultiruolo “Tornado” con capacità nucleare. Dal canto suo l’Esercito è impegnato a sviluppare le capacità di mobilità e pronto intervento richieste dalla nuova dottrina: nuovi carri armati (Ariete 1 e Ariete 2) e nuovi blindati d’assalto (Centauro, Puma e VCC80), oltre ad uno squadrone di elicotteri A-129 Agusta.
Centodiecimila miliardi nei prossimi 15 anni
“La previsione di spesa (per nuove armi, N.d.R.) per i prossimi 15 anni è dell’ordine di 108mila miliardi di lire, di cui circa 78mila per i soli programma principali, con un fabbisogno medio di circa 7mila miliardi l’anno” (Gen. Zignani, Segretario generale difesa-Direttore nazionale per gli armamenti). Si tratta di una cifra enorme, considerato che nel 1996 il bilancio della difesa prevedeva 4600 mld per nuovi armamenti. Si prevede dunque un aumento di quasi il 50% delle spese in questo settore rispetto al 1996 che già aveva visto un aumento del 20% rispetto al 1995! Il bello è che per stessa ammissione dei programmatori militari questi soldi non saranno sufficienti a finanziare tutti i nuovi programmi (la sola "NUM" dovrebbe costare "almeno" 2000 miliardi!). Sarà necessario dunque reperire altri fondi o attingendo ai bilanci di altri ministeri, come si sta facendo per i 121 EF-2000 che hanno ricevuto un primo finanziamento dal Ministero dell’Industria, o con provvedimenti specifici. Nel solo 1996, ad esempio, ben 3mila miliardi sono stati stanziati per il sostegno alle industrie aeronautiche, miliardi finiti in gran parte alle industrie militari che producono velivoli per l’Aeronautica militare. Non si tratta di una novità: molti ricorderanno che la Marina militare si è costruita una delle sue quattro navi da sbarco con i soldi originariamente destinati alla protezione civile.
Ma non sono solo le nuove armi a costare. La professionalizzazione comporta pesanti lievitazioni dei costi del personale, mentre le numerose missioni all’estero prosciugano, di volta in volta, vari capitoli di bilancio che nulla avrebbero a che fare con il bilancio della difesa. Si cominciò nel 1983 finanziando la missione in Libano con i fondi destinati all’obiezione di coscienza e si è proseguito negli anni successivi rastrellando soldi dai fondi per la cooperazione (Somalia), dai fondi speciali del Tesoro raccolti con un aumento della benzina verde (Bosnia), dai fondi dell’otto per mille destinati dai contribuenti allo Stato (Albania).
Il bilancio del ministero della difesa, che comunque non ha mai cessato di aumentare fino a raggiungere i 31mila miliardi del 1997, non rappresenta quindi tutto il bilancio militare dello Stato italiano che invece è in gran parte nascosto fra i meandri dei finanziamenti dell’amministrazione pubblica.

C.S.M. - A.A.

Le nostre fonti:
- “Ministero della guerra?”, suppl. a “Guerre e pace”, aprile 1997; “Panorama difesa”, aprile 1997; “RID”, maggio 1997.

Nel prossimo numero:
“Italiani all’estero” cronologia ragionata degli interventi militari italiani all’estero dalla fine degli anni ‘70 ai giorni nostri.



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links



Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org