unlogopiccolo


Da "Umanità Nova" n.21 del 29/6/97.

La bufala

La notte del 25 Aprile qualcuno lascia un petardone-ricordo presso una finestra murata di Palazzo Marino (il municipio di Milano). Verso l'alba il botto. Pochi i danni. Inizia la caccia ai responsabili e, nell'imminenza delle elezioni amministrative (che vedranno il successo del prestanome di Berlusconi), la fantasia galoppa.
Il giorno seguente qualcuno lascia presso la sede di una emittente locale (Radio Popolare) una borsa con un messaggio contenente slogans ed un arnese strano. Il soggetto non sembra curarsi delle telecamere esterne alla radio, anzi, sembra si tolga gli occhiali scuri, faccia un bell'inchino e se ne vada.
Passano alcuni giorni ed inizia la posta al circolo occupato di via De Amicis con perquisizioni sui generis e presenta costante.
Dopo quasi due mesi ecco la strabiliante notizia: la persona che recapitò il messaggio alla radio sarebbe una delle maggiori animatrici del circolo che, cogliendo l'occasione, viene chiuso. La stampa si scatena. Pagine di ovvietà; biografie della tapina che insistono curiosamente sulle sue origini (sarde) come se queste fossero alla base di un disegno criminale di lombrosiana memoria (banda dei sardi, sequestri di persona, capoccioni duri e spietati, e così via...).
Gli stessi capi d'imputazione che vengono affibbiati alla poverina sembrano spropositati: trasporto di materiale esplodente (e non si fatica a capire il seguito).
Ora, non è compito nostro stabilire se ed in che modo vi sia un qualche coinvolgimento della ragazza nella faccenda (d poliziotti in circolazione ve ne sono sempre troppi); quel che si vuole far rilevare è che passano i Governi, si democratizzano i Ministri degli interni, i servizi vengono messi al guinzaglio, la polizia è al servizio del cittadino (infausto slogan di qualche anno fa) ma il risultato non cambia.
Una persona viene presa, accusata di aver trasportato chissà che e carcerata in barba al più banale buon senso: chi è quello sprovveduto che prima mette un petardone e poi va a farsi riconoscere per poter così farsi affibbiare qualche decennio di carcere? E allora, nonostante la rivoluzione copernicana della politica e delle istituzioni dello Stato (se non altro, in attesa del parto bicamerale, in termini di comportamenti) eccoci, come al gioco dell'oca, di nuovo alla partenza. Si mette in carcere un soggetto, gli si affibbiano reati pesantissimi, si cerca di smontarlo e di "convincerlo" a collaborare, si passa ai resti associativi e voilà, mani pulite due il ritorno.
Spiegare ai magistrati che i reati ascritti ai presunti rei devono essere individuali e che l'associazione deve essere dimostrata, che se il reo è nelle condizioni di commettere altri reati deve essere fermato (mentre qui si sa che l'individuazione è avvenuta molto prima del fermo e che di conseguenza il soggetto inquisito avrebbe potuto, nel frattempo, commettere altri reati) e che quindi la motivazione dell'arresto (la possibilità di reiterare il comportamento criminoso) è fasulla, è, evidentemente tempo perso. Ormai il cane ha occupato il suo territorio, delle regole che dovrebbe seguire se ne strabatte (D'Ambrosio docet), tanto basta dare qualche velina ed il Gabibbo di turno sparerà una valanga di cazzate chiamandole informazioni (sarebbe più corretto chiamarle informative).
Delle cose serie è, poi, meglio non occuparsene; lo stragismo è ormai un gioco di società con parole in libertà a seconda delle scadenze tecnico/giuridiche.
Gli infiltrati finiscono in discarica, e se i danni provocati alla città e agli abitanti di Milano dagli abusivi di Palazzo Marino (leggi sindaci e giunte) sono millanta volte quelli subiti dalla finestra murata, beh, questo non interessa a nessuno.
Siamo o no in democrazia.

Costa Sergio



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