![]() Da "Umanità Nova" n.22 del 6/7/97 GUAI AI VINTINon si può negare che dietro la decisione assunta da Toni Negri di rientrare volontariamente in Italia, e quindi finire in carcere e sotto processo, ci sia del coraggio personale e politico. Si può parlare senza retorica di coraggio perché ad una persona, che ha già trascorso quattro anni della sua vita nelle patrie galere, comunque non può certo sorridere la prospettiva di tornare prigioniero, senza alcuna certezza per il futuro, potendo rimanere indisturbato a Parigi come cittadino francese. Infatti la scommessa politica di Negri sulla possibilità di contribuire all'approvazione di un provvedimento di indulto o amnistia a favore di alcune residue centinaia di detenuti ed esuli per reati di sovversione legati al conflitto sociale degli anni '70, seppur condivisibile, appare un gioco non privo di rischi e di ombre. Nonostante il rispetto umano per questa scelta e pur senza niente rinnegare della critica antiautoritaria espressasi sia nei confronti dell'elaborazione operaista che, soprattutto, sul ruolo giocato dall'Autonomia Operaia durante il movimento del '77, purtroppo non si possono nutrire illusioni sull'esito della vicenda, sia da un punto di vista individuale che collettivo. Negri, appellandosi alla "conciliazione nazionale", sta infatti dimostrando uno stoicismo che rischia di rivelarsi autolesionistico, fondato sulla convinzione che lo Stato dopo venti anni possa perdonare i vinti degli anni '70 sancendo il passaggio alla cosiddetta Seconda Repubblica, così come successe dopo la Liberazione con l'amnistia firmata da Togliatti per repubblichini e fascisti. Ci sono troppi "contro" con cui Negri non ha fatto abbastanza i conti (a meno che non abbia ottenuto qualche preventiva garanzia politica, magari grazie all'interessamento dell'amico Cacciari), forse anche a causa della forzata e lunga lontananza dal Bel Paese. Innanzitutto: se quanti furono protagonisti di quel ciclo di lotte possono sentirsi degli sconfitti (l'attitudine al vittimismo è peraltro una prerogativa di tutta la Sinistra...), non è invece scontato che il potere politico che vi si contrappose si riconosca come vincitore definitivo, se non da un punto di vista esclusivamente militare. Basta aver seguito anche distrattamente in che modo giornalisti, sociologi e politici hanno ricordato il '77 nel suo ventennale, per rendersi conto quanto per loro la questione sia ancora aperta e bruciante: stesse mistificazioni, stesso livore poliziesco, stessi pregiudizi, stessa paura. E Negri, anche a livello simbolico, per questi signori rimase il "cattivo maestro" col passamontagna di quell'anno movimentato; guai a dimenticarlo, perché i simboli inquietano più degli esseri in carne ed ossa. In secondo luogo non c'è da aspettarsi alcuna clemenza da uno Stato che proprio non ne ha, come testimonia non solo la storia tragica e cruenta degli ultimi decenni, ma come conferma nel presente autoassolvendosi da speronamenti e torture, mentre vengono intentati processi persino a partigiani. Le Brigate Rosse, è stato scritto, persero la loro guerra perché miravano al cuore di uno Stato che cuore non aveva e non ha: grave errore sarebbe oggi credere possibile colpirlo con il pietismo invece che col piombo, tanto più che la morale del potere non conosce indulgenza per gli avversari che si arrendono (si veda il caso di Sofri, Bompressi e Pietrostefani, tutt'ora in cella ad appestare una grazia che in molti avevano dato per certa ed imminente), così come la sua giustizia continua a vivere con logica da Inquisizione. E c'è infine un terzo ordine di motivi che alimenta il pessimismo, quello riguardante l'attuale governo. Il PdS è infatti l'erede e il prosecutore più coerente di quella concezione dello Stato che fu del PCI, ossia del mandante politico della criminalizzazione del movimento del '77, e di Aut. Op. in particolare, culminata con l'operazione "7 Aprile" e centinaia di arresti. Difficile pensare che il partito di Berlinguer, D'Alema, Lama, Pecchioli, Napolitano, sia disponibile a regalare "soluzioni politiche" che fatalmente smuoverebbero non pochi scheletri nei suoi armadi. Ed il fatto emblematico che il medesimo Calogero (l'inventore di quel "teorema" che mandò in carcere Negri e compagni come terroristi) sia tornato in servizio come procuratore proprio a Padova, non è certo di buon auspicio. Kassandra
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