Da "Umanità Nova" n. 23 del 27/7/97
"Cosa c'entra Di Pietro con la sinistra" si saranno domandati in molti, specie fra coloro che ancora credono nel vecchio riformismo di stampo socialista. Senz'altro nulla se si bada ai contenuti di cui è portatore questo signore, si pensi alle uscite populiste di stile peronista sfociate nel più rigido presidenzialismo e alla difesa a spada tratta della Folgore durante le polemiche sulle torture in Somalia (e ci siamo limitati a due esempi recenti). Moltissimo invece se si pensa che la sinistra di D'Alema, il principale sponsor di Di Pietro, fa parte integrante di quel "partito unico" che arriva anche a dilaniarsi ferocemente per la conquista del potere ma sempre comunque per gli stessi ideali di fondo. Per questo non ci meravigliamo della scelta dell'Ulivo di candidare Di Pietro, uomo di destra ma non più di tanti altri esponenti di spicco dell'attuale maggioranza. Tutti ricorderanno che l'attuale ministro degli esteri, Dini, è stato il ministro del tesoro del governo Berlusconi e che il suo passaggio dall'altra parte della barricata è avvenuto dopo che insistentemente la "destra" e gli ambienti finanziari avevano fatto il suo nome come l'alter ego al candidato dell'Ulivo, Prodi. E che dire di Maccanico, l'uomo di Mediobanca che prima delle elezioni vinte dalla "sinistra" aveva tentato senza successo di costruire un governo che unisse i due poli del "partito unico". Il governo dell'Ulivo è pieno zeppo di personalità che nulla hanno in comune con la tradizione della sinistra, sia essa socialista-riformista che genericamente democratica. Si tratta di esponenti del cosidetto "centro", area melmosa e votata al trasformismo, che effettuano le loro scelte di campo per puro interesse, personale o delle lobby economico-finanziarie che li sostengono. Oggi hanno scelto la "sinistra" ma sono sempre pronti a passare armi e bagagli con la "destra". Sembrerebbe che solo le "anime candide" di Rifondazione e dei Verdi non se ne siano ancora accorti! Il fatto è che in questo fine di secolo si stanno consumando processi storici che hanno le loro radici anche nella scelta parlamentare di una parte del movimento operaio e socialista. Le scelte piattamente elettoralistiche di personaggi privi di reale spessore politico come D'Alema e soci, rappresentano il triste ma ormai scontato epilogo del socialismo autoritario, nelle sue varianti socialdemocratiche e staliniste. In questo senso i libertari devono rivendicare la loro estraneità a queste vicende: la trasformazione radicale della società in senso autogestionario, federalista e socialista non passa, oggi come ieri, dalle aule parlamentari. Gabriel
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