Da "Umanità Nova" n. 23 del 7/27/97
In un convegno tenutosi ad Edmonton (Canada) nel 1979, l'allora segretario all'ONU per l'energia, Joseph Barnes, riferendosi agli enormi giacimenti di greggi pesanti, disse che "quasi tutti i paesi del mondo possono diventare produttori di petrolio". Lo sviluppo dell'attività petrolifera e delle sue tecnologie ha dato ragione a Barnes. Sempre più petrolio viene scoperto nel mondo. Anche nella cosiddetta "fascia dell'ulivo" (Spagna, Italia, Albania e Grecia) e nel sottofondo del Mediterraneo. E' sempre valido, pero, l'interrogativo: è nell'interesse dei popoli che si affacciano su questo mare che le loro terre e lo stesso Mediterraneo vengano trasformati in campi petroliferi? I difensori dell'ambiente ed un crescente numero di popolazioni sono contrari. La vocazione di terre caratterizzate dalla coltivazione dell'ulivo e di un mare di struggente bellezza che attirano milioni di turisti dal mondo intero, non può trasformarsi in vocazione alla coltivazione del petrolio. E' il caso di ricordare ciò che disse il comandante Jacques Cousteau, scomparso pochi giorni fa, quando nel 1972 si cominciò a parlare di sfruttare il petrolio che è nel sottofondo del Mediterraneo. Egli stimò, su di un piano puramente economico, il prodotto del turismo, della pesca e delle attività che si svolgono in questo mare e sulle sue coste. Nel raffrontare questo prodotto con il valore della potenziale produzione di petrolio sottomarino, Cousteau notò come il rapporto fosse di dieci ad uno. Tenuto conto dei rischi, concluse che era meglio lasciar stare. Petrolieri e governi ignorarono il suggerimento e cominciò il saccheggio del Mediterraneo, un mare che dovrebbe essere posto sotto la tutela dell'UNESCO quale patrimonio dell' umanità. Oggi in questo mare è tutto un proliferare di piattaforme o di più sofisticati apparati di produzione sistemati sul sottofondo marino. E' recente la notizia che entro il 1997 entrerà in produzione il giacimento di petrolio dell'AGIP, denominato Aquila, che si trova 45 km al largo di Brindisi, in acque profonde ben 850 metri. La ricerca petrolifera è attiva anche nelle acque albanesi dove operano anche l'AGIP e la OXY. Anche nella terraferma dell'Albania vi sono buone prospettive, confermate sia dalle passate scoperte di petrolio e di metano soprattutto nel sud del paese, sia da recenti campagne di sismica a riflessione tridimensionale. Sulla terraferma operano oltre alla compagnia di stato, ALBPETROL, la COPAREX e la SHELL. La ENTERPRISE OIL, la compagnia inglese che detiene circa il 25% dell'enorme giacimento della Val d'Agri, in Basilicata, ha acquistato di recente diritti di esplorazione in Albania e Grecia. Come si vede ai petrolieri fanno gola il petrolio ed il metano della "fascia dell'ulivo" che, nel centro del Mediterraneo, parte dagli Appennini meridionali e continua sul suolo albanese per giungere in Grecia, passando per il Canale d'Otranto con il giacimento Aquila e le acque albanesi. Forse il petrolio, legato da sempre alla politica estera, ha giocato un suo ruolo anche nella vicenda della missione italiana. Ora sono gli abitanti della "fascia dell'ulivo" che devono far sentire la propria voce in difesa delle loro terre e del mare che le circonda. Giacomo Buonomo |