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Dal Bollettino "Arcipelago" 1998 [Umanitư Nova del 19 luglio 1998]

Svizzera
Progetti autogestionari

I progetti autogestionari sviluppati negli scorsi anni in Svizzera hanno messo in evidenza una serie di problemi di natura strutturale di una certa importanza per l'estensione di tale pratica su più ampia scala. Anzitutto va detto che l'economia autogestionaria è generalmente considerata poco redditizia. Spesso, nell'ambito delle imprese, si parla esplicitamente di autosfruttamento. Recenti indagini dimostrano in effetti che generalmente il reddito delle persone che lavorano in situazioni autogestite è nettamente inferiore ai minimi sindacali del settore. I vantaggi in termini di maggiore libertà, assenza di gerarchia o altre forme rimunerative non riescono sempre a compensare il reale bisogno di reddito per far fronte alle necessità. In un contesto si volontaria rinuncia alla partecipazione alle "offerte del sistema" ciò può anche non porre alcun problema, ma tale scelta è piuttosto l'eccezione che la regola (penso per esempio a Longo Mai). In altre parole il lavoro salariato , la cassa disoccupazione o la pubblica assistenza possono costituire, da questo punto di vista, soluzioni più allettanti dell'autogestione. La garanzia dei un determinato livello retributivo per una serie di vincoli giuridici e contrattuali è (ancora) un fattore di enorme peso quando si tratta di decidere fra lavoro salariato e autogestione. D'altra parte, è anche vero che è in corso un'erosione su vasta scala di tali vincoli che tenderà ad accentuarsi anche in Svizzera con il consolidamento dell'UE e l'introduzione dell'euro. Le proposte di reddito minimo garantito non fanno nient'altro che istituzionalizzare una tendenza in atto. Le imprese autogestite, oltre a risentire anch'esse naturalmente gli effetti della congiuntura economica, presentano a loro volta tutta una serie di altri fattori che influenzano il livello retributivo. Fra questi, emerge in primo luogo la scarsa competenza professionale e gestionale. Molti ristoranti autogestiti sono stati aperti da volonterosi provenienti da tutt'altre esperienze con conseguenze spesso drammatiche sull'economia aziendale. Nell'ambito delle proposte che si potrebbero articolare per un rafforzamento della presenza autogestionaria si potrebbe prevedere, all'interno della rete autogestionaria, l'istituzione di un ente di formazione che possa sopperire a queste carenze. In Svizzera, la "rete per l'autogestione" aveva negli anni addietro proposto con successo simili corsi. L'idea potrebbe essere rilanciata integrandola nel contesto di scambi non-monetari delle Banche del tempo. Una cooperativa che offre corsi di riqualificazione sorta recentemente in Ticino e che sta per l'appunto elaborando uno studio sulle condizioni materiali per la cooperazione sociale potrebbe fungere, per rimanere un attimo nel contesto della Svizzera italiana, da promotore di simili corsi. Un altro fattore che incide sul reddito delle imprese autogestite è l'immagine negativa che le bandisce automaticamente dalla partecipazione a determinati mercati. Un terzo fattore è la politica dei prodotti e/o dei prezzi. Il settimanale WochenZeitung per esempio è un prodotto autogestito di alta qualità che tuttavia, per quanto riguarda la retribuzione, dipende in larga misura da un limite di crescita oltre il quale ha difficoltà a penetrare nonostante gli sforzi di marketing. Qui è evidente che la coerenza costa. Un discorso simile può essere applicato a diversi CSA: una politica culturale d'avanguardia e una politica dei prezzi "politici" ne determinano spesso la vulnerabilità economica. Un quarto fattore è la mancanza di un fondo d'avviamento dell'impresa. A questo proposito qualcosa si sta però muovendo anche in Svizzera. Con l'istituzione della Banca Alternativa è nato in istituto che dispone di mezzi per il finanziamento dell'avviamento o del consolidamento di progetti autogestionari. Infine, ma la rassegna non è esaustiva, anche l'assenza di un orientamento alla massimizzazione delle prestazioni ne riduce l'efficienza economica in termini monetari. Va però detto che d'altra parte numerose imprese autogestite non presentano problemi a livello di reddito sia perché lo statuto di autogestione non ne lede l'immagine (prestazioni artigianali e commerciali) sia perché l'immagine stessa è costruita sull'autogestione (collettivi sanitari o giuridici). Ne consegue che se alcune imprese pagano in termini retributivi la loro scelta di campo, altre possono permettersi l'autogestione senza particolari conseguenze di reddito. Il reddito appare cioè spesso come una variabile dipendente dalla gestione politica interna prima ancora che a un sanzione esterna. Il problema forse più difficile da risolvere oggi, in una situazione congiunturalmente ben diversa rispetto a 30 anni fa, è il reperimento del lavoro. Benché esistano numerose attività a bassa composizione organica del capitale, queste si situano in larga parte in un ambito dove già sussiste una feroce concorrenza. In altre parole, sussiste concretamente il rischio che l'iniziativa di fondare una cooperativa per la manutenzione di giardini fallisca in mancanza di trovare entro un termine ragionevole un numero sufficiente di giardini da curare per sopperire al proprio bisogno di reddito. Una possibilità per risolvere questo difficoltà potrebbe essere l'istituzione di un ufficio centrale regionale di raccolta di domande di prestazioni, il quale provvede poi a ripartire l'offerta di lavoro tra gli interessati. Naturalmente un tale progetto di "borsa del lavoro" non è esente da problemi: chi finanzia l'operatore o gli operatori? Il finanziamento avviene mediante quote sui lavori o una tassa fissa delle aziende affiliate? E se il lavoro non entra? E se la ripartizione è percepita come ingiusta? I problemi sono molti, ma almeno nella Svizzera italiana l'esigenza di una simile struttura è fortissima. Un'altra serie di problemi riguardano l'intero sistema previdenziale. In Svizzera, la previdenza vecchiaia per esempio è basata su un sistema detto "dei tre pilastri", ossia pensione pubblica, assicurazione professionale e risparmio privato. Molto probabilmente questo sistema si troverà presto o tardi a confronto con insuperabili problemi di finanziamento in seguito all'invecchiamento della popolazione, ma comunque oggi conosce ancora una grande popolarità. Tecnicamente, quest'assicurazione non pone difficoltà a chi lavora in autogestione, perché ogni attività lavorativa è soggetta a contributi. Il problema è semmai quello di come collocarsi rispetto a questo sistema di previdenza misto. Qualche anno fa è stata istituita in Svizzera una Cassa pensione autogestita che, in considerazione dell'obbligo assicurativo, si è assunta il compito di provvedere alle necessità previdenziali delle imprese autogestite e non, nel rispetto di precisi criteri etici riguardo al collocamento dei fondi. Anche questa istituzione non è però aproblematica. In primo luogo, è abbastanza onerosa e presuppone una regolarità di pagamento dei premi che a sua volta richiede un lavoro regolare. In secondo luogo, ridistribuendo i contributi previdenziali in base al reddito precedente viene disatteso il principio del bisogno. Non esistono invece strutture analoghe per gli altri oneri sociali quali la cassa disoccupazione, l'indennità malattia e la cassa malati; nulla vieta però di pensare all'istituzione di strutture autogestionarie entro breve termine anche in questi campi.

Da quanto detto, si possono trarre provvisoriamente almeno due conclusioni. Primo, che l'autogestione non è autoevidente. La sua accettanza va costruita strutturalmente. Secondo, che le forme di strutturazione del processo di costruzione dell'autogestione non sono tanto territorialmente localizzabili ma diffuse, cioè più "urbane" in senso lefebvriano che non "municipali" in senso boockiniano.

Hasta luego, Peter



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