![]() Da "Umanità Nova" n. 23 del 28/6/98 Lo statalismo dei liberisti e il liberismo degli statalistiPuò sembrare inutile il ricordare che la critica dello stato di parte libertaria non ha nulla a che vedere con quella dei neoliberisti così come dovrebbe essere evidente che la difesa, da parte nostra, dei diritti sociali conquistati dai lavoratori nei passati decenni non si iscrive in una prospettiva neosocialdemocratica di alcun tipo. D'altro canto non si deve sottovalutare l'utilità di fornire elementi concreti di riflessione e di conoscenza sulle realtà sociali che stanno alle spalle delle diverse posizioni in campo proprio al fine di definire con maggior chiarezza e con più esplicite ragioni la nostra posizione nel merito della battaglia dei topi e delle rane che si svolge fra "liberisti" e "statalisti". Può valere la pena di partire dall'attuale pressione da parte del Vaticano, della destra e di consistenti settori della maggioranza di centro sinistra per garantire consistenti finanziamenti pubblici alla scuola privata. Dal 1985 al 1997 sono state chiuse 300 scuole religiose su 3.000, le classi, nel frattempo, si sono ridotte da 16.400 a 14.500 e gli alunni sono passati da 417.000 a meno di 300.000. Ci si trova, insomma, di fronte ad una crisi della scuola cattolica che ha differenti ragioni: - la tradizionale piccola borghesia che sceglie le scuole private in genere e religiose in particolare per garantire ai propri rampolli una scuola "protetta" ha meno risorse da investire in questa nobile impresa. è anche probabile che la minore vivacità delle agitazioni studentesche abbia indotto il partito dell'ordine a rivalutare la scuola pubblica; - i costi di gestione delle scuole private sono cresciuti a causa di normative più rigorose per quel che riguarda la sicurezza dei locali e soprattutto, nel caso delle scuole cattoliche, a causa della crisi delle vocazioni, nella scuole cattoliche, infatti, gli insegnanti laici sono 22.000 contro 6.000 chierici. Per quanto il personale delle scuole private sia pagato meno di quello della scuola statale è evidente che la fine della possibilità di utilizzare semigratuitamente preti, frati e suore ha degli effetti devastanti sui bilanci delle scuole di santa romana chiesa. Abbiamo, dunque, gli elementi materiali per comprendere le ragioni della crescente pressione della chiesa per ottenere finanziamenti alla scuola privata, delle tensione fra la Conferenza Episcopale Italiana e il Partito Popolare accusato, fra l'altro, dai vescovi di essere un alfiere troppo tiepido della parità scolastica e fra i diversi settori della maggioranza di governo. Come al solito i fautori del "libero mercato" vogliono garantirne lo sviluppo grazie a finanziamenti pubblici che implicano la sottrazione di risorse al settore dei servizi. D'altro canto i presunti difensori del settore pubblico si scoprono improvvise tenerezze verso la parziale privatizzazione della formazione. Basta pensare ai dirigenti della CGIL che "scoprono" che le cooperative di pulizia costano meno dei tradizionali ausiliari e che, di conseguenza, non si vede perché non si debba appaltare all'esterno la pulizia delle scuole stesse o, da un punto di vista più generale, rilevano che finanziare una scuola privata costa allo stato meno che aprirne una pubblica e che, di conseguenza, in alcuni casi si può assumere un atteggiamento comprensivo verso la formazione privata che, fra l'altro, può diventare un'occasione di reddito per apparatniks sindacali in fase di riciclaggio. Ritengo che, d'altro canto, nel mentre esaminiamo un ennesimo esempio dello statalismo dei liberisti dobbiamo domandarci quali siano le ragioni del successo delle posizioni neoliberiste. Alcune sono ovvie: insopportabilità della pressione fiscale, carattere pletorico, pervasivo e inefficiente altre che, ovviamente, parassitario della burocrazia statale, desiderio di cambiamento ed efficacia della demagogia della destra. Vi è. però, una ragione di fondo della ripresa del liberismo e del consenso popolare che trova e consiste nel carattere privatistico dell'apparato statale, nel fatto, cioè che è evidente che i settori statalizzati dell'economia sono, in realtà, fonte di poteri, rendite, posizioni sociali private. basta pensare, a questo proposito, al fatto che gran parte della classe media è protetta da leggi fatte a sua difesa, al reddito del ceto politico, all'intreccio fra sistema dei partiti e imprese, alle carriere dei sindacalisti nella pubblica amministrazione ecc.. E' insomma, proprio la tendenza della sinistra istituzionale a far coincidere proprietà statale con possesso pubblico a dare spazio al populismo di destra. Classi subalterne espropriate della propria autonomia sociale da apparati burocratici come quelli prodotti dalla politica statale degli ultimi decenni sono una sorta di preda designata per campagne "antistatali" di destra. Sta a noi lavorare a una dimensione progettuale altra, fondata sull'autonomia sociale delle classi subalterne e sulla difesa di una dimensione pubblica non burocratizzata né alienata. CMS
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