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Da "Umanità Nova" n. 23 del 28/6/98

Miserie e splendori della chimica italiana

L'SM 15 dovrebbe essere un impianto di depurazione. In teoria. Attraverso il suo luogo canale di scolo. In realtà, da molti anni viene scaricato nella laguna veneziana quanto di peggio la nostra fantasia può riuscire ad immaginare. Nel 1992 gli ambientalisti di Greenpeace tentarono in segno di protesta di bloccarne il deflusso, additandone al mondo intero la pericolosità. Quanto sappiamo, invece, degli scarichi Enichem direttamente nell'acqua lagunare supera ogni immaginazione. La capacità del perverso cosmo dell'informazione mass-mediale di inventarsi di volta in volta nuovi, terribili scandali é direttamente proporzionale alla quantità di bugie e distorsioni della realtà che giornali e televisione riescono a produrre su un argomento di questo genere. Nemmeno Debord sarebbe riuscito a prevedere nel suo "La società dello spettacolo" un tale ingarbugliamento di verità dette a mezza voce e di menzogne portate a dignità di cronaca. La confusione regna sovrana a Marghera: al Petrolchimico come nell'area urbana circostante, Venezia compresa. Cosa resti in questo caos di false speranze, politiche d'annientamento ambientale, massicci e produttivi investimenti, economie ballerine ma altrettanto redditizie diventa sempre più difficile da capire. Le ragioni di questa ennesima messinscena attorno alle dolorose e a queste punto incredibili vicende del Polo chimico veneziano - ed italiano in una prospettiva di più ampio respiro - trova la sua compiuta origine in uno scontro che sembra segnare la cartografia di una politica disposta ben oltre i confini del ristretto territorio regionale in cui sta evidenziando peraltro aspri conflitti.

Stiamo discutendo, in sostanza, di una raffinata ed occulta battaglia che si sta combattendo ai limiti della ricompattazione economica generale di un settore, quello della Chimica, appunto, destinato con tutta probabilità ad un rapido, e per nulla inaspettato, riaggiustamento. Fra i molti articoli comparsi in questi giorni sui quotidiani locali, l'intervista a Guido Venturini, presidente di Federchimica, associazione delle aziende del settore, mi ha colpito per l'estrema lucidità delle dichiarazioni contenute. Un disvelamento apparentemente eterodosso delle ragioni profonde di quanto sta realmente accadendo. Secondo questo "brillante" manager, già direttore del marketing strategico e comunicazione del gruppo Benetton, dietro il successo del Nord Est c'è la chimica. Se pensate soltanto alla quantità di tinture necessarie a Stefanel, o alla stessa Benetton, per realizzare produzioni di tessuto esportate in tutto il mondo, vi renderete finalmente conto di quanto e come le micidiali fumate bianche che spesso abbiamo visto alzarsi dalle ciminiere svettanti del complesso industriale più famoso d'Italia siano indispensabili al buon funzionamento di una consistente parte dell'economia nostrana.

Il candore di Venturini nel tracciare con realismo quasi ingenuo la composizione delle forze in gioco, per così dire, conoscendo i personaggi di questa specie di teatro in piazza, lascia filtrare una linea di pensiero che, in tutta evidenza conosce già la fine della tormentata storia. Vi prego seguire con pazienza il filo rosso che mi pare intravedere, grattando via un po' della vernice spennellata qua e là dalla disinformazione di stato, per usare una terminologia forse arcaica, ma ancora efficace. "Se questa vicenda andrà a buon fine", prosegue dritto Venturini, "sarà una vittoria di tutti. Ambientalisti compresi che hanno avuto il grande merito di sollevare il problema ecologico. Mettiamola così, io non vedo contrapposizioni tra ambientalisti e industrie chimiche. L'impegno di tutti porterà a produzioni migliori. Ma l'occasione che abbiamo davanti non possiamo perderla ". Non so perché, ma sono disposto a credergli senza riserve. Questa solitaria, ma certo autorevole voce che si leva nel mormorio generale, ora attonito, ora polemico, qualche volta acido, apre una porta che fino a questo momento era rimasta ben chiusa e sorvegliata. Una voce , quella del nostro esperto di cose della Chimica ma anche di comunicazione, che parla per chi deve e può ascoltare. Il contenuto del messaggio sembra abbastanza chiaro: da questo groviglio si esce in una maniera soltanto, oltrepassando la soglia. Al di là del limite invalicabile che vede (o vedeva) contrapposte aziende a lavoratori, sindacati ed ambientalisti, magistrati ed amministratori, sta il composto e ben rassodato terreno dell'investimento economico. Ecocompatibile, s'intende, purché investimento.

Non sarà il vostro improvvisato cronista a dovervi ragguagliare sulle capacità di trasformazione del sistema capitalistico, sulla estrema flessibilità di un modo di produzione che governa incontrastato da quasi duecento anni. Capacità mimetica e mirabile sintesi strategica, mi sembra più che noto, restano due dei capisaldi del modello industriale ottocentesco e novecentesco, fatte le debite distinzioni, naturalmente.

"Porto Marghera" affonda per la stoccata finale Venturini "rappresenta uno dei poli chimici e industriali in genere più importanti del nostro paese. Rilanciarlo non significa solo dare sicurezza e lavoro alla gente che vive a Venezia, ma sarebbe un'operazione di immagine straordinaria grazie a Venezia. Se dovesse andare male qui in laguna, chi verrebbe ad unvestire in tutta Italia, chi potrebbe rischiare di sfidare problemi che diventano insormontabili?" E se ci fosse bisogno di ulteriori chiarimenti, in chiusura di articolo troviamo la spiegazione definitiva. "D'altro canto ormai tutti devono capire che il nostro paese non può vivere di posti di lavoro poveri, di pizzerie e di bar, ma ha assoluto bisogno di valore aggiunto: E questo valore aggiunto viene giocoforza dalla chimica pulita e sicura." Punto.

Lo scontro in atto per il riammodernamento di tutta la zona industriale, progetto di recupero del porto di Venezia incluso, secondo quanto qualcuno che se ne intende mi ha messo in un orecchio recentemente, passa attraverso la contrapposizione fondamentale tra due posizioni perfettamente conosciute in ambito locale e sintetizzabili come segue: puntare tutto sul turismo (i bar e le pizzerie, ricordate?), secondo un'ottica per certi versi vetero-ambientalista - e bisogna per forza metterci dentro una cospicua parte di Rifondazione Comunista - con conseguente realizzazione di infrastrutture dedicate a scapito delle produzioni industriali; puntare tutto sullo sviluppo e la riprogettazione degli impianti - quelli chimici in testa - avvalendosi delle strategie soavemente delineate da Federchimica. Vie di mezzo non ce ne sono, per il momento. Quanto al problema dell'inquinamento, è evidente, tradizione lo impone quasi, che chi ha avuto, ha avuto...

Nel frattempo lasciamo all'iroso Cacciari, complice isterico del disordine creatosi in queste settimane e disposto, vedrete, a rapide alleanze con chi alla fine assumerà il controllo, di chiunque si tratti, il compito di lanciare anatemi per salvaguardare la sua posizione politica e personale. Per ciò che concerne il PM Ramacci, che ha chiesto e ottenuto la chiusura dell'SM 15 con conseguente blocco dell'intero impianto Enichem, riconosciamogli, sia o meno il procuratore indice agguerrito della Repubblica delle Toghe - velenosa definizione che mi permetto di estrapolare direttamente dalla "spalla" di prima pagina comparsa giovedì 18 giugno a firma di Giulio Giustiniani, direttore de "Il Gazzettino" - , almeno la capacità di esercitare, con colpevole ritardo e comunque in odore di eresia rispetto alla consueta immagine dello stato che interviene a tutela dei cittadini, come da sempre si è visto, le pressioni necessarie ad intervenire quanto prima per sciogliere un intricato nodo.
Perfino Bruno Filippini, leader incontrastato della Filcea-CGIL, adotta i toni più blandi di una politica di rimessa: anche per lui, adesso, il Petrolchimico inquina.

Non finiscono mai di stupire i trasformisti della sragione industrialista. Mai.

Mario Coglitore



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