![]() Da "Umanità Nova" n. 24 del 19/7/98 Morte di StatoForse sarebbe meglio tacere, elevare un dignitoso silenzio di fronte al suicidio di Soledad Rosas. In troppi hanno frugato, impietosi, tra i segni esteriori di una vita troppo breve, bruciata in una notte d'estate in cui qualcosa si è spezzato. In troppi hanno rivestito di pietà il gusto morboso per la storia sensazionale, per il particolare drammatico, per la storia romantica. In troppi si sono applicati a cesellare il ritratto dell'anarchico maledetto, folle ed utopista, disperato e asociale. Un ritratto già pronto, usato in mille occasioni per tanti altri, riadattato di volta in volta alle circostanze ed alle vicende. Un ritratto costruito per tentare di nascondere, ridurre a maschera ora tragica ora comica quell' "esagerato gusto per la libertà" che è la misura della vita di ogni anarchico. Ciascuno per sé, ciascuno a suo modo, ma sempre, tutti, nella convinzione che la libertà sia il miglior modo di vivere una vita degna di essere vissuta. Per sé e per ogni altro. Per l'individuo e per la comunità. Una concezione inaccettabile per chi, come i nostri democratici pensa che la libertà sia nociva, una bevanda troppo forte che va sorseggiata a piccole dosi per evitare che inebrii, produca chissà quali, terribili, eccessi. Una concezione pericolosa per "l'ordine sociale", quell'ordine che necessita di uomini armati per difenderlo. Per difenderlo dal pericolo che gli sfruttati e gli oppressi si ribellino contro chi li deruba del frutto del loro lavoro, contro chi distrugge la salute e l'ambiente per il proprio profitto, contro chi pretende di decidere in nome di tutti, contro chi erige steccati tra paesi ricchi e paesi poveri per impedire l'ingresso ad immigrati ed esuli, contro chi, in nome dell'umanità, invia gendarmi armati là dove gli interessi delle maggiori potenze corrono qualche rischio. Ma per combattere il gusto per la libertà non bastano i militari, i giudici, i poliziotti, non bastano le mura delle prigioni: occorrono anche opinionisti e sociologi che costruiscano categorie e parametri - disagio giovanile, mancanza di valori e punti di riferimento, disgregazione sociale - capaci di incasellare, spiegare, aprire canali di dialogo, inventare mediazioni che rendano possibile normalizzare, rendere domestica quest'intollerabile anomalia. In questi mesi gli uni e gli altri hanno con scrupolosità fatto il gioco delle parti, cedendosi di volta in volta diligentemente il passo, per garantire la pace sociale nella città degli Agnelli, per assicurare una tranquilla ostensione della Sindone a preti, politici e commercianti, per preparare il terreno alle celebrazioni che nel '99 segneranno il centenario della Fiat. La politica del bastone e quella della carota sono state mirabilmente complementari all'ombra dell'Ulivo. Tre anarchici, di cui uno già lungamente detenuto per la fabbricazione di un petardo erano i capri espiatori perfetti per i misteriosi attentati che hanno accompagnato il progetto dei Treni ad Alta Velocità in val di Susa. La Val di Susa in questi anni è stata il teatro di vicende mai del tutto chiarite in cui si sono andati intrecciando interessi legati alle commesse per le grandi opere che l'hanno devastata e ancora la stanno devastando, nonostante le mobilitazioni degli ambientalisti e l'opposizione sempre più forte della popolazione locale. Il progetto per i treni ad alta velocità, che dovrebbe proiettare in Europa il decadente capitalismo subalpino, non è che l'ultima tra le grandi opere che stanno trasformando una delle più belle valli alpine in un immenso intrico di cemento, asfalto e rotaie. Ancor prima dell'alta velocità ferroviaria era giunta in valle l'autostrada con il suo corollario di devastazioni ambientali e intrighi che vedono coinvolti esponenti dei servizi di sicurezza e la società che ha ottenuto l'appalto per la costruzione. La stessa società che oggi ha l'appalto per l'Alta Velocità. La "pista anarchica" ancora una volta risultava perfetta per coprire i tanti imbrogli di una valle che ha finito con l'essere chiamata "valle dei misteri". Ma non solo. Se la ciambella fosse riuscita con il buco poteva essere la volta buona per fare i conti con la dozzina di posti occupati che da anni rovinavano il paesaggio della nostra ridente metropoli. Stritolati da questo meccanismo, Edoardo e Soledad se ne sono andati. L'indignazione per queste morti ingiuste sia foriera di un sempre maggiore impegno sulla via della libertà, perché, come diceva il "vecchio" Bakunin, "la mia libertà è tanto maggiore tanto più grande è la libertà di tutti". Primo Zecca
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