![]() Da "Umanità Nova" n. 25 del 1/9/98 Flessibili in uscitaL'estate ha visto, come è noto, il proseguimento e lo sviluppo delle tensioni sociali accumulatesi negli ultimi anni: le mobilitazioni degli LSU palermitani e napoletani non sono che la parte emergente di tensioni significative sul terreno della rivendicazione di un reddito sicuro da parte di una quota crescente della popolazione mentre il padronato presenta, per parte sua, l'ennesimo conto al governo dell'ulivo. I giornalisti-poliziotti, mercanti di calunnie, come recita la bella definizione di questa categoria che troviamo ne "La Comune non è morta", non hanno mancato di "denunciare" le "infiltrazioni camorriste e mafiose" nel movimento dei disoccupati meridionali e, visto che c'erano, di ipotizzare possibili rapporti fra rivolta dei senza reddito e la spedizione, da parte di qualche eroe del nostro tempo, di pacchi bomba a diversi politici e giornalisti. La tendenza, da parte dei difensori dell'ordine sociale esistente, a liquidare l'opposizione sociale come una forma di attività criminale non è certo una novità e non sta a noi stupircene anche se va tenuta presente come problema da affrontare politicamente rivendicando con forza l'azione diretta e di massa e la sua autonomia rispetto ad ogni strumentalizzazione sia istituzionale che pseudosovversiva. D'altro canto, i gestori più avvertiti del "normale" andamento dello sfruttamento sono consapevoli che un'operazione del genere non può bastare a liquidare il conflitto di classe e cercano, di conseguenza, di trovare delle soluzioni politiche tali da recuperare il conflitto stesso nei tradizionali canali della mediazione fra settori dell'apparato politico e sindacale. Per un verso, scende in campo, più nei media che nella realtà, la destra che, pensosa della triste condizione dei disoccupati e dei precari, ha promesso mobilitazioni di massa "per il lavoro" consistenti nella richiesta di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro come mezzo per creare occupazione. In altri termini, la destra chiede di precarizzare ulteriormente i lavoratori in modo da stimolare i padroni ad assumerne legalmente una quota maggiore a condizioni simili a quelle che attualmente caratterizzano i lavoratori in nero. La sinistra al governo, invece, applica la stessa ricetta in vari modi. Basta pensare che, dopo la creazione di una serie di zone franche al sud, è stata lanciata una politica di recupero dell'evasione contributiva tale da garantire ai padroni un esborso minimo, allo stato qualche entrata ed ai lavoratori la pensione minima dopo quarant'anni di lavoro. Nel frattempo, le agenzie che gestiscono il lavoro interinale ci informano che i loro affari vanno a gonfie vele e che ci sono ottime prospettive di sviluppo. In poche parole, i diritti dei lavoratori sono sempre più flessibili, flessuosi, flebili. Il recente intervento del ministro Ciampi sull'opportunità di dare vita ad un nuovo accordo fra padronato, stato e sindacato, un accordo che riprenda e sviluppi quelli precedenti del 1992 e 1993 appare, di conseguenza, come l'inizio di un confronto politico e sociale che sarà opportuno seguire con attenzione. Questo simpatico esponente della sinistra laica, infatti, ipotizza uno scambio fra nuovi investimenti ed una maggior flessibilità della forza lavoro. Visto che, come si è detto, i lavoratori italiani flessibili lo sono già sin troppo è apparso sin troppo chiaro che la flessibilità di cui si ragionava era la "flessibilità in uscita" definizione che noi, persone notoriamente rozze ed incolte, ci ostiniamo a tradurre con il tradizionale termine licenziamento. Il paradosso interno alla proposta Ciampi è indicativo dello stato di degrado politico e culturale della sinistra di governo. Il ministro, infatti, sostiene che i padroni in cambio della flessibilità in uscita, dovrebbero rinunciare a puntare su di un aumento dei profitti sullo stesso numero di addetti e, invece, impegnarsi ad aumentare la "base produttiva" e, quindi, gli il numero degli occupati regolarmente assunti. Sarebbe evidente a qualsiasi ragioniere che il vantaggio, per i padroni, derivante dalla possibilità di licenziare facilmente i propri dipendenti consiste, fra l'altro ed in misura non secondaria, nel fatto che si può loro imporre un aggravio dei carichi di lavoro come condizione per cercare di scampare il licenziamento stesso. Se i padroni non potessero aumentare la pressione sulla working class non si vede che vantaggio trarrebbero dall'accrescersi del loro potere in azienda a meno di non immaginare la pratica del licenziamento casuale come piacere di tipo sadico. La risposta di parte padronale non si è fatta attendere ed è consistita in un rifiuto di ogni limite ai profitti, in un peana al mercato, nella denuncia dello statalismo dei malvagi ulivastri. Al coro di commenti non si sono, ovviamente, sottratti i leaders del sindacalismo di stato che si sono scoperti, capita ogni tanto, qualche venatura combattiva e classista. Si sono distinti, e nemmeno questa è una novità, i segretari della CISL e della UIL che minacciano sfracelli consistenti, alla fin fine, in uno sciopero generale volto a premere sul governo per un maggior impregno sul terreno dell'occupazione. È, credo, sin troppo noto il fatto che il segretario della CISL, l'ineffabile D'Antoni, si propone come leader di un nuovo raggruppamento di centro costruito a partire dalla stessa CISL e, a questo fine, una certa vivacità del suo sindacato a fronte di una CGIL apertamente allineata al governo, è funzionale se non doverosa. Come, d'altro canto, è noto la CISL rappresenta uno dei segmenti più pregiati dell'universo postdemocristiano, uno dei meno toccati dalla fine della prima repubblica e su questa base la possibilità di rinascita della DC non è poi da escludersi. Mentre settori di destra e di centro mettono in cantiere diverse, e sovente fra di loro confliggenti, operazioni volte a preparare la possibile successione al centro sinistra, la sinistra di maggioranza e di sottogoverno, il PRC, per intenderci, vive settimane di passione. Quando, già un anno addietro, segnalammo il fatto che la politica del PRC, consistente nel premere sul governo per ottenere vittorie più di facciata che di sostanza, sembrava giunta al capolinea scontentammo qualche nostro lettore ma, nella sostanza, fummo facili profeti. Oggi verifichiamo il fatto che le contraddizioni che allora si aggravarono fra massimalisti e togliattiani si sono radicalizzate e hanno prodotto un irrigidimento degli schieramenti interni. Il PRC, oggi, vive al proprio interno le tensioni che un anno addietro caratterizzavano il suo rapporto con il governo. La componente cossuttiana, e quindi il vecchio partito, non vuole ad alcun costo, fare lo stesso gioco ed è disposta, a questo fine, ad attaccare frontalmente Bertinotti che, di conseguenza, si trova ad essere il segretario di un partito spaccato come una mela e condannato all'impotenza non solo strategica, il che è ovvio, ma anche tattica, il che è disastroso. Si parla, ormai, apertamente di un rischio di scissione o per esorcizzarla o, in qualche caso, per prepararla. In diverse occasioni abbiamo segnalato le ragioni ce ci sembrano rendere improbabile se non impossibile, nulla, ovviamente, è impossibile, un esito del genere della guerra interna al PRC, ragioni consistenti, in estrema sintesi, nel fatto che la scissione determinerebbe la comune rovina di cossuttiani e bertinottiani. L'unica possibile novità consisterebbe nell'eventuale offerta da parte dei DS di una riserva garantita di collegi e posti di lavoro alla componente ragionevole ma nulla conferma, oggi, questa possibilità e la disponibilità dei cossuttiani a fare la fine dei comunisti unitari di due anni addietro. Quello che conta, dal nostro punto di vista, è il fatto che siamo di fronte ad uno scontro fra due settori dell'apparato e che questo scontro non rimanda al formarsi, dentro il PRC, di una sinistra sociale su contenuti diversi rispetto all'apparato. L'unica questione di un notevole interesse consiste nella possibilità reale che aree di lavoratori combattivi, sino ad ora ingabbiati nel PRC, maturino altre ipotesi politiche ed organizzative rispetto a quelle precedenti. di norma con questi lavoratori il confronto e la collaborazione su questioni di merito è, da parte nostra, praticato da anni. Si tratta, in questa contingenza, di lavorare perché questo confronto favorisca la liberazione di energie a cui si faceva riferimento. ma, a questo proposito, è più la ripresa del conflitto che altro il fattore che potrebbe innescare un cambiamento del quadro nel movimento operaio. CMS
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