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Da "Umanità Nova" n. 25 del 1/9/98

Fuori dall'occidente, le montagne russe

La turbolenza finanziaria è tornata ad investire i mercati mondiali. Questa volta il detonatore è stato l'esplodere della crisi russa, a lungo covata sotto la cenere. Il fallimento del modello di sviluppo sponsorizzato dal Fondo Monetario per i paesi del defunto blocco sovietico non ha funzionato, come era ampiamente prevedibile, e la situazione rischia di sfuggire di mano. La ricetta del Fondo era semplice: privatizzazione delle imprese, decollo di un mercato per i beni di consumo di base, integrazione dell'economia russa nel mercato globale, sfruttamento delle enormi risorse naturali ed umane del paese, costruzione di un sistema bancario e finanziario sempre più omogeneo agli standard occidentali. Questi obiettivi sono falliti tutti, in misura più o meno ampia, e per cause che certo è necessario approfondire, ma che in prima istanza possono essere spiegate con un solo concetto: è impossibile costruire un sistema capitalistico paragonabile a quelli sviluppati in poco tempo, con poche risorse e senza traumi sociali e politici di vastissima profondità. Sappiamo bene che i traumi non sono mancati alla Russia in questo secolo e non è questa la sede per andare a fondo nell'analisi dei problemi che hanno impedito alla Russia prima ed all'Unione Sovietica poi, di diventare un "normale" sistema capitalistico. Sta di fatto che dopo le varie "rivoluzioni di velluto" di gorbacioviana memoria, tutti i paesi dell'ex-blocco sovietico sono in mezzo ad una difficile transizione e la realtà statuale più importante è giunta molto vicina ad un punto di collasso. Le uniche risorse che potevano essere spendibili (un'industria di stato legata al settore bellico talvolta competitiva sul piano tecnologico-scientifico, la grande disponibilità di risorse naturali, una classe dirigente proveniente dal partito capace di riciclarsi sul piano manageriale) non sono state utilizzate per gestire una transizione regolata, ma dentro una logica da "saccheggio" asservita agli interessi dei grandi potentati economici legati ai settori del petrolio e del gas (sul piano interno) e spesso eterodiretta dalle multinazionali che hanno cominciato a comprarsi pezzi di "Russia". Il ritorno di Cernomyrdin al governo, dopo sei anni di follie devastanti e dopo i cinque mesi inutili di Kyrienko, dimostra che il potere reale resta concentrato in poche mani oligarchiche, che hanno al proprio servizio l'energia, le principali banche e la televisione, e che tutto il resto del "sistema" è destinato a subire le politiche di risanamento tese a garantire il rientro degli ingenti capitali occidentali investiti, che qualcuno ha quantificato in circa 200.000 miliardi. Gazprom, il gigante dell'energia controllato a lungo da Cernomyrdin, fornisce circa un quarto del bilancio statale russo. Il crollo del prezzo delle materie prime (-20% dall'ottobre scorso) e soprattutto del petrolio (-45%) è il principale responsabile degli attuali guai finanziari russi, che significa incapacità di riscuotere le tasse, pagare i salari, rimborsare i debiti. Il disastro annunciato è stato sinora affrontato con un riscadenziamento del debito interno in rubli a breve termine, che anziché nel 1999 sarà rimborsato entro 3-5 anni, ma è evidente che è solo un primo passo. Il vero terrore dei mercati è la sorte del debito estero, che una delegazione guidata da Chubais sta rinegoziando. Le sole banche tedesche sono esposte per circa 130.000 miliardi ed anche il FMI sta esaurendo le risorse disponibili, dopo gli imponenti interventi degli ultimi mesi (Corea, Indonesia, Thailandia, Birmania, ecc.). Una moratoria del debito estero russo farebbe crollare tutti i mercati emergenti e la svalutazione del rublo rischia di essere solo la prima pedina di un domino esteso a tutta l'America Latina, il Sud-Africa, e infine Hong Kong, la Cina e il Giappone.

Il concentrarsi di tutte queste tensioni ha fatto sì che a cavallo del ferragosto tutte le borse mondiali abbiano nuovamente vissuto delle giornate di panico, amplificate dall'assenza di molti operatori privati dalle contrattazioni quotidiane. Ancora una volta gli speculatori hanno tratto profitto dal rarefarsi degli scambi, attaccando frontalmente le valute e i paesi in difficoltà. Nella sola giornata del 21 agosto le borse hanno perso ciascuna 4/5 punti percentuali, con la punta del 6% per Francoforte, la piazza più esposta verso la Russia. In tutto il mondo c'è stata un'ampia ridislocazione dei portafogli azionari, con un generalizzato abbandono di tutti i titoli ciclici, industriali, energetici, in vista di una sempre più probabile ondata recessiva, capace di segnare davvero un'inversione del ciclo. La crisi della leadership clintoniana, per le note relazioni "improprie", l'approssimarsi delle elezioni tedesche, la partenza imminente dell'euro, ma soprattutto l'aumento dell'incertezza e dell'instabilità internazionale hanno provocato un ingente travaso verso i settori difensivi degli investimenti: le obbligazioni innanzitutto, ma anche le azioni del comparto bancario e finanziario meno esposto sui paesi in crisi, le assicurazioni legate al mercato interno delle polizze vita, tecnologici e farmaceutici, e soprattutto telecomunicazioni.

Le ristrutturazioni di portafoglio segnalano che resta sul mercato un forte liquidità, che i trasferimenti telematici di questa liquidità pongono problemi sempre più seri a chi gestisce le leve monetarie e valutarie, che la totale libertà di circolazione del capitale può affondare interi paesi e minare la stabilità sociale.

Con involontario umorismo, un analista proponeva su Borsa e Finanza di comprare il titolo americano "Correction Corporation of America", una società che gestisce penitenziari privati con grande competenza e professionalità. Dopo aver perduto il 61% del proprio valore a causa di una malaugurata fuga di due carcerati nell'Ohio, il titolo sarebbe infatti sul punto di rimbalzare verso l'alto, dopo aver preso tutte le contromisure necessarie in casi di questo genere. D'altronde guardiamo i "fondamentali": una società in recessione produce più disoccupati e disagio sociale, dunque quale settore migliore di quello dedicato alla repressione del crimine?

Renato Strumia



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