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Da "Umanità Nova" n. 25 del 1/9/98

La Lega nella palude

Anche il prossimo 13 settembre Venezia ospiterà suo malgrado la rituale adunata "nazionale" della Lega Nord; questo terzo appuntamento vede però il partito di Bossi semiaffondato dentro quella palude politica che era coloritamente rappresentata proprio in un manifesto leghista di un anno fa.

Le ragioni dell'attuale crisi sono molto legate alla natura stessa della Lega e alla sua conseguente ambiguità politica che aspira -come ogni forza di destra- ad un'identità rivoluzionaria (secessionista) pur nutrendosi di un'ideologia conservatrice (interclassismo, razzismo, culto della famiglia e del lavoro) e facendo politica in modo non dissimile dagli altri partiti (elezioni, parlamentarismo, finanziamento pubblico, governo locale).

E' questa sua contraddizione che principalmente sta erodendo la Lega più dell'azione dei suoi oppositori, tanto più che -come sa bene la sinistra- non si può promettere a lungo la "rivoluzione" per il giorno dopo senza dover prima o poi presentare il conto a chi ci ha creduto; emblematico in questo senso il manifesto della Lega che perentoriamente prometteva 1997: ULTIMO ANNO DA SCHIAVI.

Infatti non si può sperare di prendere per il naso il mondo in eterno giocando sulle parole o dando la colpa alla cattiveria dei tuoi nemici; e questo vale persino per la base militante e l'elettorato leghista che pure di senso critico non sono particolarmente forniti.

"Il dovere di ogni rivoluzionario è fare la rivoluzione": è stato detto circa un secolo fa ma la regola è ancora valida; invece il partito di Bossi continua a stare seduto nell'odiato parlamento italiano, facendo la voce grossa e sbandierando elezioni-farsa, governi padani e referendum in cui non crede nessuno. Dietro a questo spettacolo sempre più patetico vi è sia la debolezza della Lega, sia la sua paura di perdere consensi elettorali in settori moderati e borghesi che fino a ieri hanno votato democristiano proprio come rifiuto di ogni estremismo.

I risultati controproducenti di tale tattica si vedono tutti, come hanno dimostrato con chiarezza le ultime consultazioni elettorali amministrative di primavera. In particolare: l'astensionismo intacca fortemente anche la Lega (a Treviso, provincia a forte presenza leghista, ha votato una percentuale analoga a quella di Reggio Calabria); molti militanti, disillusi, si allontanano; parte del suo elettorato più "anticomunista" si trasferisce nei dintorni di Forza Italia o di Alleanza Nazionale; la Lega rimane ancorata alla dimensione paesana e conferma la sua marginalità urbana anche nelle città-simbolo della cosiddetta Padania (Venezia, Verona, Padova, Mantova, etc.).

Di fronte a tale preoccupante panorama la rabbia di Bossi ha avuto come obiettivi il regime che ha deciso "la scomparsa della Lega dalle televisioni" e "gli imbecilli del Nord che sono ancora lì a votare i partiti romani", ma tale atteggiamento ha fatto solo venire in mente l'ironica risposta di Brecht ai dirigenti del Partito Comunista: "...ma non è meglio eleggere un nuovo popolo?".

Infatti, anche sul piano locale il bilancio delle esperienze amministrative della Lega appare disastroso e i suoi Sindaci, per distogliere l'attenzione pubblica dalle proprie incapacità, sono costretti ad affidarsi a facili iniziative populiste e xenofobe (favoritismi per i residenti nei concorsi pubblici, istituzione di ronde padane, cambiamenti toponomastici, chiusura di centri sociali, sottrazione di panchine agli extracomunitari, etc.).

Inoltre, soltanto la crisi complessiva della Lega ha momentaneamente accantonato la latente secessione interna della Liga Veneta, già evidenziata ai tempi dei "Serenissimi" e ricorrente ogni volta che si pone il problema delle alleanze tattiche.

Per Bossi è quindi tempo di scelte, ma c'è da dubitare che possa e voglia farle perchè ormai la Lega è diventata -lo dicono persino quelli che l'hanno votata- un partito come gli altri e persino in una circostanza banale come quella dei Mondiali di Calcio non è riuscita ad assumere una posizione univoca per l'ansia di risultare impopolare e il suo leader ha dovuto penosamente spiegare in TV che non bisognava tifare Italia ma che comunque -in caso di vittoria- il merito era da attribuirsi ai calciatori "padani" che facevano parte della Nazionale.

Così in assenza di fatali e supreme determinazioni, a Venezia Bossi potrà solo offrire qualche dichiarazione ad effetto per calamitare l'attenzione dei media e risollevare il morale dei suoi fedelissimi. Nel `96 dette appuntamento sul Po a milioni di "padani", mentre un anno fa ci riuscì con minore fortuna annunciando che forse la Guardia Nazionale Padana sarebbe sfilata armata; oggi si contenta di meno, dando risalto alla nascita di Tele Padania (2 ore di trasmissione giornaliere) e su questa novità ci sarebbe da riflettere a lungo, perchè evidentemente anche lo Stato padano ha bisogno di teledipendenti piuttosto che di guerrieri celtici.

A poche settimane dal precedente articolo, scritto alla fine di luglio, si sono andati delineando meglio la dimensione e la profondità della palude padana che rendono persino incerto lo svolgimento della annuale scadenza di settembre a Venezia.

Innanzitutto si sono aggravati i sintomi della crisi leghista con la chiusura due sedi "istituzionali" (a Mantova e a Chignolo Po), la non oceanica affluenza alle sagre padane e un evidente calo dell'attivismo in camicia verde; basti dir, riguardo quest'ultimo dato, che a Jesolo il sindaco leghista, per istituire le ronde padane nella sua città durante il periodo vacanziero, ha dovuto ingaggiare una quarantina di militanti, non del luogo, rastrellati a fatica in tutto il nord Italia.

Bossi, o chi per lui, resosi conto della logorante "enpasse" in cui è finito sta quindi tentando di rientrare nel gioco della politica "romana" facendo intravedere una possibile alleanza tattica con la neonata UDR di Cossiga; tale connubio anche ai leghisti meno sprovveduti appare alquanto strano e inquietante, ben conoscendo tutti che tipo di rapporti, poteri e strutture si muovono da sempre dietro il senatore con la K, ma la politica - si sa - è una cosa sporca.

Per giustificare un simile avvicinamento, sicuramente non deciso dagli iscritti alla Lega, "La Padania"ha curato persino un sondaggio farsa, ma i seguaci leghisti hanno però dovuto ingoiare ben altri rospi in queste settimane; infatti se Rosolina ospitò negli anni '70 uno storico convegno operaista in cui secondo alcuni nacquero le Brigate Rosse, questa tranquilla località balneare dell'Adriatico in agosto ha visto Bossi presentare al "popolo padano" in festa la nuova linea del partito, già anticipata pochi giorni prima nel clima più chic della versiliana.: "Padania non vuol dire necessariamente secessione. Ma significa una rappresentanza di chi vive al nord all'interno delle istituzioni" (Traduzione: Contrordine fratelli, cosa vi eravate messi in testa? Padania vuol dire fare politica e votare Lega; la rivoluzione sarà per un'altra volta, anzi mai).

Molti tra il pubblico non capiscono e mormorano disapprovazione anche se, in cuor loro, gli va bene così: "...mica siamo le Brigate Rosse".

Per rassicurare i più "idealisti" veniva intanto sbandierata la nascita sulla carta di un fantomatico Blocco Padano tra vari gruppi formalmente indipendenti ma "portatori di interessi e identità padane".

Ma il Capo non vuole scontentare nessuno e così , come quando si chiamavano sulle scene le ballerine per salvare uno spettacolo scadente, per i più esagitati ha tirato fuori la questione degli estracomunitari e su questa ha indirizzato tutta la loro smania militante, promuovendo una campagna contro l'immigrazione attraverso parole degne del più infame razzismo nazistoide: "L'immigrato è per definizione nemico di ogni identità locale e regionale. E' un nemico dello Stato e di leggi egualitariste, che annullano le diversità, che confondono la tradizione, la cultura la religione locali... L'Italia sprofonderà nel mediterraneo islamico...etc. (Intervista su Il Gazzettino, 10 agosto).

Ancora una volta così il razzismo e la discriminazione si rivelano l'asse portante - ideologico - della Lega oltre che il modo migliore per evitare discussioni interne, mentre sul piano politico l'opportunismo detta legge, senza alcun riguardo né per la coerenza né per i propri elettori costretti ad adeguarsi continuamente alle nuove parole d'ordine (federalismo, autonomia, secessione, autodeterminazione...)

Il meccanismo bossiano appare però inceppato e a forza di rincorrere il consenso dei cosiddetti "ceti medi", già ampiamente suddiviso tra Polo e Ulivo, nel Nord-Est stanno maturando i presupposti per la nascita di una Serenissima Rifondazione.

Corrispondenza da Venezia, Ferragosto'98



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