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Da "Umanità Nova" n. 26 del 13/9/98
E' appena passato un anno dalla sostituzione del vecchio dittatore Mobutu, ma nella neonata Repubblica Democratica del Congo, il cambio di regime non ha portato a mutamenti di fondo:il paese deve continuare infatti a fare i conti con le conseguenze disastrose di decenni di sfruttamento coloniale. Al pari della quasi totalità dei paesi africani l'ex-Zaire ha dovuto seguire una strada che pare obbligata. Con classi dirigenti e proprietarie tanto assolutiste ed avide quanto poco sviluppate e prive di basi sociali di riferimento, tali paesi alternano momenti di dittatura militare a situazioni vagamente democratico-parlamentari. La perenne ricerca del sostegno delle potenze ex-coloniali si coniuga con la costruzione di un sostegno interno che, soprattutto da parte dei regimi militari, è sempre fatta in direzione etnica, mai sociale. Poichè poi gli Stati africani sono frutto delle costruzioni artificiali compiute in base agli interessi del colonialismo, in barba ad ogni rispetto delle identità dei popoli, ogni tentativo di rafforzamento del potere su base etnica mette in moto conflitti laceranti - come dimostrano i recenti massacri tra hutu e tutsi. Il sostegno delle potenze ex coloniali è evidentemente fondamentale in considerazione della condizione di sottosviluppo in cui si trovano questi paesi. Ed è altrettanto evidente che questo sostegno viene ripagato in termini di condizioni vantaggiose di sfruttamento delle ricchezze del paese. Al di là delle favole sui diritti umani e sui valori della democrazia, l'interesse economico delle grandi potenze, dagli USA alla Gran Bretagna alla Francia, in particolare, è prevalente sui diritti e le aspirazioni dei popoli. Dal Congo alla Guinea-Bissau, dal Corno d'Africa al Sudan, abbiamo una continua conferma di questo dato: per mantenere il controllo delle risorse minerarie e petrolifere di questi paese non si esita un attimo ad alimentare tensioni etniche, ad armare bande ribelli, a rafforzare dittature sanguinarie. Nel Congo abbiamo una chiara riprova di tutto questo. Mentre i francesi continuavano a sostenere Mobutu nonostante la trentennale dittatura e la corruzione dilagante del suo regime di rapina, gli americani e gli inglesi ritenevano necessario un ricambio per continuare a garantire i loro interessi nell'area. Nelle maglie di questo conflitto di interessi Kabila ha saputo inserirsi mettendosi alla testa di un sollevamento di tutsi Banyamulenge, prontamente sostenuto dai regimi confinanti dell'Uganda e del Ruanda, spalleggiati a loro volta dagli angloamericani. Dopo qualche mese Mobutu è costretto ad abbandonare il campo (con tutte le ricchezze accumulate, è ovvio) alle bande armate di Kabila inquadrate dai ruandesi, con il favore della popolazione stanca delle rapine del clan di Mobutu. Ma le simpatie nei confronti di Kabila sono durate lo spazio di un mattino. In pochissimo tempo il nuovo capo non ha saputo far altro che ripercorrere la strada ormai classica. Mettere a tacere le opposizioni, piazzare i membri del proprio clan ai vertici dell'amministrazione senza preoccuparsi di trovare una qualche soluzione ai problemi economici di una popolazione largamente oppressa e sfruttata. In ultimo ha cercato di liberarsi dall'ingerenza ruandese rimandando a casa i militari che lo avevano portato al potere con il beneplacito angloamericano e riprendendo la politica di liquidazione dell'etnia tutsi (come d'altronde aveva già fatto abbondantemente nel recente passato). La reazione non si è fatta attendere. I tutsi Banyamulenge hanno ripreso i combattimenti insieme ai ruandesi. E Kabila ha dovuto cercare rapidamente altri sostegni trovandoli nell'Angola e nello Zimbawe. Realismo politico ed opportunismo politico come si vede, vanno a braccetto. Il gioco però rimane sempre nelle mani delle solite potenze "ex"coloniali e ai loro disegni strategici. E il popolo congolese, come più in generale quello africano, dovrà continuare a subire le conseguenze di guerre decise e sostenute altrove, a difesa degli interessi dei loro sfruttatori. M.V.
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