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Da "Umanità Nova" n. 26 del 13/9/98

1997 una strage negata
Genocidio in Congo

Tutto il mondo è ormai al corrente dell'immenso genocidio compiuto in Ruanda tra l'aprile ed il luglio 1994: quasi un milione di persone assassinate, la maggior parte di etnia tutsi o oppositori hutu del regime hutu in carica a quei tempi. Alla vigilia della disfatta, media istigatori dell'odio razziale e cricca al potere cercarono con tutti i mezzi di arrestare l'avanzata dell'Esercito di liberazione tutsi che oggi detiene il potere in Ruanda. Chi non è stato arrestato e non si trova sotto processo ad Arusha, di fronte al Tribunale Penale Internazionale delle Nazioni Unite per crimine di genocidio, è fuggito in Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, mischiato alle centinaia di migliaia di profughi che scappavano dal conflitto ruandese. Dai campi profughi hanno continuato sino al 1997 a istigare all'odio, a riarmarsi e a meditare vendette, protetti e foraggiati dal regime di Mobutu, e approfittando della ingestibilità dei campi profughi dell'ACNUR e della "neutralità" formale dell'Onu. Quando anche questo regime si è sfaldato, complice un male mortale di un dittatore sostenuto dall'Occidente per oltre trent'anni, accusato di aver depredato il proprio paese per arriccchirsi alle spalle del "suo" popolo, anche gli hutu hanno dovuto subire un feroce atto di genocidio, compiuto dall'esercito ruandese e dalle milizie dell'attuale uomo forte del Congo, Laurent Désiré Kabila, che ha fatto di tutto per ostacolare le inchieste dell'Onu, sino a far arrestare il capo delegazione.

All'indomani della "liberazione" dello Zaire, il 17 marzo 1997, il Segretario generale dell'Onu e la Commissione dei diritti umani dell'Onu, ostacolati da Kabila nelle loro inchieste, hanno lasciato la mano all'Associazione Africana per la Difesa dei Diritti Umani (ASADHO, già AZADHO) e al Centro Internazionale dei Diritti della Persona e dello Sviluppo Democratico (CIDPDD), che nel novembre 1997 hanno dato vita a una Commissione internazionale non governativa, iniziando una indagine e raccogliendo relazioni e testimonianze da diverse fonti di provenienza, quindi vagliandone e riscontrandone la plausibilità.

In tale lavoro sono state appoggiate da altre organizzazioni internazionali non governative (Amnesty International, Human Rights Watch, Physicians for Human Rights, Fidh, Organization mondiale contre la torture, Medecins sans frontières), ma soprattutto da associazioni africane direttamente coinvolte: il gruppo Jérémie di Bukavu, nel sud Kivu; il gruppo Justice et Libération di Kisangani; il Collectif d'Actions pour le Dévelopment des Droits de l'Homme (CADDHOM) di Kamitunga nel sud Kivu; il gruppo La Voix des sans-voix pour les droits de l'homme di Kinshasa; l'associazione Rencontre Africaine pour la Défense des Droits del'Homme (RADDHO) di Dakar in Senegal; nonché infine il Comitato di solidarietà con il Congo di Palermo.

Seguendo la metodologia tipica dei rapporti giuridici sulle violazioni dei diritti umani, secondo i modelli dell'Onu e delle principali agenzie umanitarie internazionali, la Commissione ha ascoltato testimonianze in loco e presso volontari di ong presenti nell'area dei Grandi Laghi africani. Il testo di riferimento per individuare i criteri dell'accusa di genocidio è stato l'art. 3 della Convenzione di Ginevra del 1949 - che tutela i civili nell'ambito di operazioni di guerra nonché i detenuti militari e i feriti - e l'intero corpus della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, adottata dall'Onu il 9.12.1948 e di cui quest'anno ricorre il cinquantennale.

Alla fine dell'inchiesta della Commissione, ne è venuto fuori un documento di oltre un centinaio di pagine, che riferisce prove e testimonianze di un crimine di genocidio in cui sono stati massacrate oltre 200mila persone, con tanto di responsabili e con tanto di accuse ai governi limitrofi e alla comunità internazionale, che ha sempre saputo e visto e fatto finta di nulla per ragioni di realpolitik.

La stessa Commissione ha steso un resoconto sommario indirizzato al governo della Repubblica Democratica del Congo, all'Assemblea generale e al consiglio di Sicurezza dell'Onu, che qui presentiamo nel suo corpo centrale.

(A cura di Salvo Vaccaro. Un ringraziamento particolare a Nino Rocca)

Crimini di Guerra

La Commissione, sulla base di numerosi rapporti e testimonianze, stima intorno ai 200mila rifugiati in terra zairese, in maggioranza di etnia hutu, che hanno perso la vita in modo arbitrario oppure sono scomparse, in conseguenza di una strategia deliberata di sterminio lento di una parte della popolazione di origine ruandese. A tal fine sono stati usati procedimenti che somigliano moltissimo ad atti di genocidio premeditati, continui e persistenti. Gli autori non si sono esentati da alcun mezzo per conseguire l'obiettivo di eliminazione dei rifugiati hutu: massacri diretti; indirizzare i rifugiati in aree inospitali dove potevano essere uccisi da piccoli focolai di malattia o dalle cattive condizioni climatiche; impedire l'assistenza umanitaria; usare le organizzazioni umanitarie per intrappolare i rifugiati.

Ad avviso della Commissione, tale intento deliberato si è in seguito caratterizzato con una forte volontà ufficiale di assicurare l'impunità, in particolare ripulendo i luoghi dove sono stati compiuti i massacri, ostacolando l'inchiesta delle missioni dell'Onu, attraverso intimidazioni e/o arresti dei testimoni potenziali, corruzione dei capi clan affinché impedissero le inchieste, e soprattutto attraverso la strategia di far scatenare la popolazione contro gli investigatori per mostrare che la missione non può far nulla per ragioni di sicurezza (anche quando il governo è incaricato di garantire la sicurezza).

Tutti questi elementi mostrano a sufficienza l'intento degli autori e del nuovo governo della Repubblica Democratica del Congo di coprire i crimini, non condannandoli pubblicamente e non cercando di identificare e perseguire i presunti colpevoli. Al contrario, dalla fine della guerra tutto si è svolto come se i nuovi dirigenti autoproclamatisi e riconosciuti dalla comunità africana e internazionale fossero inconsapevoli della gravità di questi crimini al cospetto del popolo e dell'umanità. Anzi, hanno sistematicamente e continuamente cercato di coprirli o minimizzarli.

E' pertanto avviso della Commissione che sono stati compiuti atti di genocidio in Zaire contro i rifugiati hutu in violazione della Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio adottata il 9 dicembre 1948 e ratificata dallo Zaire. Il fatto che una parte rilevante delle persone oggetto di tali atti siano esse stesse autori e responsabili presunti del genocidio contro i tutsi e gli oppositori hutu, in Ruanda tra aprire e luglio 1994, e che esse stesse siano accusati dal governo ruandese di aver esportato l'ideologia del genocidio in Zaire, non costituisce, ad avviso della Commissione, un alibi o una giustificazione morale o giuridica per commettere simili crimini contro coloro che ne sono imputati.

La Commissione non governativa stima che diverse migliaia di cittadini zairesi (congolesi) di etnia hutu o legati da parentela e che si sono prodigati per portare soccorso ai rifugiati scacciati hanno perso la vita in modo violento per effetto di questo processo di genocidio.

La Commissione ha identificato 19 crimini commessi in maniera ampia durante quel periodo sul territorio della Repubblida Democratica del Congo:

1. Omicidi, assassini, affogamenti, stragi;

2. Incendi di villaggi e di raccolti, distruzione materiale;

3. Torture e trattamenti disumani, mutilazioni;

4. Stupri;

5. Sequestri di persona;

6. Saccheggi sistematici;

7. Ostacoli agli aiuti umanitari;

8. Istigazione all'odio;

9. Furti di bestiame e di beni;

10. Presa di ostaggi;

11. Cattura di bambini e malati;

12. Reclutamento di minori;

13. Non assistenza a popolazione in pericolo;

14. Arresti e detenzioni arbitrarie;

15. Condanne ed esecuzioni al di fuori di un tribunale legalmente costituito;

16. Crimine di aggressione;

17. Espulsione coatta di tutsi (Masisi, Kinshasa, Katanga, Kisangani);

18. Rimpatrio forzato dei rifugiati;

19. Persecuzione per motivi razziali, etnici o politici.

I crimini più gravi per la coscienza degli africani e del resto dell'umanità sono certamente gli omicidi, gli assassini e le stragi commesse da tutte le parti in conflitto in maniera massiccia, anche al di fuori delle aree di combattimento, contro non combattenti e combattenti disarmati. Gli obiettivi di queste stragi erano di tre genere: i rifugiati hutu; gli zairesi di etnia hutu, hunde, fulero, bembe, tutsi; le altre popolazioni civili autoctone nella parte orientale dello Zaire.

Ad avviso della Commissione, queste stragi sono attestate dall'esistenza di diverse fosse comuni lungo tutto il percorso della rivolta da Uvira a Mbandaka. Sono altresì dedotte dallo sforzo deliberato e dalla fretta dimostrata dagli autori materiali presunti, posti sotto il comando dell'AFDL e dei suoi alleati, di far sparire le tracce e di distruggere le eventuali prove materiali.

Tutti i rapporti pubblicati e le testimonianze analizzate dalla commissione, provenienti da fonti diverse, sono in tal senso tanto costanti e concordanti che difficilmente si può sostenere trattarsi di una campagna deliberata per screditare il nuovo regime, figlio di una vittoria militare contro una dittatura vecchia di 32 anni. La Commissione ricorda che quella dittatura era disprezzata dalla maggioranza della popolazione zairese; essa sostiene quindi che l'AFDL ed i suoi alleati dell'APR non sarebbero gli unici responsabili dei crimini compiuti nel corso della "guerra di liberazione". La responsabilità dell'ex presidente Mobutu sarebbe personalmente individuata, al pari di quella dei suoi due ultimi governi, relativamente all'accettazione, al riarmo e all'addestramento, in territorio zairese, delle forze armate ruandesi e delle milizie Interahamwe sconfitte in Ruanda. Ciò è stato fatto in piena impunità, ben sapendo che queste ultime erano le presunte responsabili del genocidio compiuto in Ruanda tra l'aprile ed il luglio 1994, che continuavano a infierire contro le minoranze tutsi in Zaire e che si preparavano a invadere il Ruanda.

Infine, la Commissione non governativa ha analizzato il ruolo e le responsabilità della comunità internazionale, stati africani inclusi, e in particolare gli stati confinanti con la Repubblica Democratica del Congo. Per negligenza, incoscienza, pigrizia, sensi di colpa avvertiti in seguito al genocidio ruandese, o semplicemente per calcoli politici, la comunità internazionale non ha dimostrato una reale volontà politica per far fronte alla situazione prevedibile all'indomani del 1994. Ad avviso della Commissione, tutto si è svolto come se, dopo due anni e mezzo di sforzi diversi e infruttuosi per gestire il problema dei rifugiati nella parte orientale dello Zaire, insieme al grave problema del traffico illegale di armi da guerra del quale lo Zaire era diventato tessera determinante, gli elementi più importanti della comunità internazionale abbiano chiuso gli occhi davanti a una "soluzione militare africana", vale a dire l'iniziativa del Ruanda e del suo esercito e gli effetti nefasti provocati da essa per migliaia di vite umane. Dalle autorità ruandesi sono stati distrutti i campi profughi considerati alla stregua di caserme, dispersi i rifugiati, impedito l'aiuto umanitario; centinaia di migliaia di profughi sono stati rimpatriati a forza nei loro paesi originari mentre decine o centinaia di migliaia di altri morivano; e pur tuttavia, dopo più di un anno, la pace e la stabilità auspicate sono ben lungi dall'essere garantite nella regione dei Grandi Laghi.

Oggi questa "soluzione militare africana" sembra non aver soddisfatto completamente nessuno, malgrado la chiusura forzata dei campi profughi sembri aver dato una tregua a una comunità internazionale che si doleva di spendere quasi un milione di dollari al giorno per salvaguardare i profughi nella regione dei Grandi Laghi africani. Ad avviso della Commissione, si è trattata di una risposta umanitaria insufficiente a un problema politico, divenuta essa stessa problematica sul piano morale, politico, giuridico, sociale ed economico ai fini della stabilità dell'area. Tutto si è quindi svolto come se ci fosse un consenso implicito sul prezzo che i profughi ruandesi, in maggioranaza hutu, dovessero pagare sull'altare della ricerca di una stabilità in Zaire, le cui ricchezze naturali erano desiderate dopo la fine di Mobutu e del suo regime.

Questi crimini contro l'umanità erano di gran lunga preferibili a un presunto caos generale dopo la morte imminente e temuta del maresciallo Mobutu.



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