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Da "Umanità Nova" n. 26 del 13/9/98
"Nel corso di tutta l'era capitalistica le espansioni finanziarie hanno segnalato la transizione da un regime di accumulazione su scala mondiale a un altro. Esse costituiscono aspetti integranti della periodica distruzione dei `vecchi' regimi e della simultanea creazione di `nuovi regimi'. Alla luce di questa scoperta ho ridefinito il lungo XX secolo come composto di tre fasi: 1) l'espansione finanziaria della fine del XIX e dell'inizio del XX secolo nel corso della quale furono distrutte le strutture del `vecchio' regime britannico e furono create quelle del `nuovo' regime statunitense; 2) l'espansione materiale degli anni cinquanta e sessanta, durante la quale il dominio del `nuovo' regime statunitense si tradusse in un'espansione del commercio e della produzione di dimensioni mondiali; 3) l'attuale espansione finanziaria nel corso della quale vengono distrutte le strutture del `vecchio' regime statunitense e vengono presumibilmente create quelle di un `nuovo' regime"
Giovanni Arrighi "Il lungo XX secolo"
Nel numero del 1 settembre di UN, Renato Strumia ricapitolava, nell'articolo "Fuori dall'occidente, le montagne russe", alcuni caratteri propri della crisi russa e della sua connessione con il quadro economico e finanziario internazionale. Su alcune questioni, credo, sarebbe opportuno porre l'attenzione:
- per certi versi il crollo dell'Unione Sovietica ha avuto caratteri comparabili a quelli di una sconfitta sul campo con la conseguente gigantesca distruzione di capitali; - le difficoltà nel formarsi di una borghesia russa di tipo capitalistico corrispondono certo al fatto che i nuovi ricchi sono burocrati o mafiosi riciclatisi o ibridi fra i due tipi sociali, per un verso, e al fatto, per l'altro, che, in fondo, ogni borghesia nasce come classe criminale ma rimanda anche al fatto che la crisi sovietica sta dentro una transizione epocale, della quale l'espansione finanziaria è una manifestazione, che lascia spazi ristretti ad uno sviluppo regolare e "virtuoso" delle forze produttive; - che in Russia, quindi, si sia formato un ceto di speculatori, rachitica riproduzione postcomunista del capitale finanziario mondiale non deve stupire ed, anzi, è assolutamente comprensibile; - d'altro canto l'espansione finanziaria non è affatto il concretarsi di una sorta di capitalismo immateriale sganciato dai processi produttivi. Assumere quest'ipotesi sarebbe come pensare che la febbre sia il carattere costitutivo di un organismo che sta subendo una mutazione traumatica e non un'espressione di questa stessa mutazione; - non è, ovviamente, facile ipotizzare lo scenario che sortirà dall'attuale fase del dominio del capitale, quali segmenti ne usciranno rafforzati e quali deperiranno, come si ridislocheranno a livello mondiale la ricchezza ed il potere, quali equilibri politici caratterizzeranno i prossimi anni; - va, fra l'altro, ricordato che, da una parte, il capitale statunitense può utilizzare l'egemonia politica e militare su base mondiale per imporsi ai recalcitranti alleati europei ed asiatici e che, dall'altra, la grande malata, la Russia di fine millennio, mantiene un margine di forza di pressione notevole grazie all'arsenale atomico tutt'altro che smantellato; - in questo contesto, l'offensiva padronale contro la working class assume caratteri assolutamente radicali, in Corea del Sud i lavoratori subiscono lo smantellamento di aziende, la concentrazione ulteriore del capitale, la pressione poliziesca, i licenziamenti così come è avvenuto pochi mesi addietro ai portuali australiani e così come avviene, in forme diverse in sempre più vaste aree del pianeta; - ancora una volta i rapporti sociali sono il luogo centrale della ridefinizione della produzione e del potere. In Russia, milioni di uomini e di donne che non ricevono da mesi il loro salario sono una polveriera sociale assolutamente straordinaria, una polveriera che i pescecani della neoborghesia russa tentano di non far esplodere con i mezzi che hanno a disposizione cercando di coinvolgere nazionalisti e comunisti nella gestione della crisi e scaricando all'estero parte delle sue interne contraddizioni mediante il non pagamento dei debiti; - come qualcuno ha recentemente ricordato, paradossalmente la Russia crea più problemi al capitale occidentale oggi che quando era il cuore del blocco sovietico. Si potrebbe dire, con qualche forzatura ma senza, sostanzialmente, sbagliare che oggi il proletariato russo, fuori dal controllo dello stato partito, ha un impatto sociale che, nei passati decenni, non gli era stato dato di esercitare; - si tratta, con ogni probabilità, di un peso che non corrisponde ad una significativa capacità di iniziativa ed ad una chiara percezione delle possibilità di opporsi al dominio della neoborghesia. D'altro canto, questa difficoltà non è tipicamente russa anche se specifiche ne sono le caratteristiche. Molte "soluzioni" sono possibili alla crisi russa: una qualche forma di colpo di stato militare, il ritorno al potere, all'interno di qualche coalizione, del partito comunista in salsa socialdemocratica, una più forte affermazione dei nazionalisti o, anche, potrebbe riprendere il processo di dissoluzione della Russia che qualche anno addietro è sembrato arrestarsi.
I prossimi mesi saranno, quindi, cruciali per gli esiti della crisi. la nostra attenzione dovrebbe centrarsi, a mio parere, su due questioni, almeno:
- la denuncia dell'illusione liberale di una fuoriuscita pacifica e benefica, per le classi subalterne del blocco sovietico, dal "comunismo" e, di conseguenza, la critica contemporanea dello statalismo e del liberismo; - un lavoro più forte che in passato di coordinamento delle lotte, delle iniziative, delle forze su scala internazionale.
Nonostante i disastri determinati dalla controrivoluzione burocratica dopo la rivoluzione del 1917 e quelli prodotti dall'integrazione nel mercato mondiale negli anni novanta, è decisamente possibile che l'orso russo sia in grado di dare qualche salutare zampata ai signori del pianeta. CMS
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