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Da "Umanità Nova" n. 27 del 30/9/98

La Tragedia balcanica

Comunicato della Commissione di Relazioni Internazionali e della Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana

Per nulla risolta la tensione in Kosovo ed ancora incerta la situazione post-elettorale serba, si è riaperto in questi giorni un conflitto politico armato fra le forze governative albanesi e l'opposizione agli esiti tutt'altro che prevedibili. Come quattro anni fa la popolazione di questa regione economicamente è al centro di uno scontro di interessi che vede contrapporsi il partito socialista di Fatos Nano - imposto dalla politica di controllo e contenimento dell'Unione Europea - e il partito democratico di Sari Berisha, appoggiato dalla diplomazia militare americana.

Ciò che drammaticamente sta accadendo in questi giorni a Tirana è la prova provata di quanto la politica internazionale delle grandi potenze, finalizzata al dominio ed alla sottomissione delle regioni periferiche agli"imperi", non è affatto scomparsa con la caduta del muro di Berlino e con la dissoluzione dell'Unione Sovietica, bensì si propaga a macchia d'olio nell'intento di determinare situazioni di conflitto atte a distruggere qualsiasi possibilità di sviluppo e ricostruzione autoctone.

Da una parte gli interessi europei, frustrati dalla manifestata incapacità di una politica estera in grado di gestire la crisi balcanica, puntano sul governo albanese per avviare un processo di transizione in grado di contenere il flusso migratorio verso i propri confini, avviando una graduale ripresa economica dove i capitali stranieri possano liberamente svilupparsi grazie al basso costo della mano d'opera. Dall'altra parte la politica americana che a sua volta è determinata ad impedire che l'Unione Europea riprenda il controllo della situazione nei balcani, puntando ad un incancrenimento della situazione in modo da divenire una spina nel fianco del sistema economico europeo.

In tal modo la situazione balcanica si presenta né più né meno come una tragedia di un popolo che diviso da nazionalismi etnici e religiosi diviene terra di conquista e spoliazione a causa di interessi di politica internazionale che nulla ha a che vedere con la necessità di por fine ai conflitti armati. Anzi, gli stessi conflitti armati sono regolati ad arte così da impedire qualsiasi soluzione pacifica duratura.

L'Albania, così come il Kosovo e la Serbia meridionale, sono regioni geografiche povere, prive di risorse energetiche, e soprattutto ininfluenti sul piano politico. Da sempre considerate "stati cuscinetto", con la caduta dei regimi comunisti sono diventate località dove lo sfruttamento della manodopera, la speculazione finanziaria, la gestione delle risorse delle amministrazioni pubbliche sono nascoste da politiche nazionaliste protette e soggiogate da interessi del capitale internazionale, in buona parte mafioso.

Per questo ciò che sta succedendo in Albania non si tratta di un'insurrezione popolare, ma del tentativo di un colpo di stato che - come vent'anni fa in Cile - tra le quinte vede l'opera macabra dei servizi segreti americani.



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