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Da "Umanità Nova" n. 27 del 30/9/98
E' possibile ottenere attenzione, a livello istituzionale, sul diritto di cittadinanza degli stranieri da decenni in Italia, quando i nuovi che arrivano dal Nord-Africa, dalla penisola balcanica, dalla regione curda, ecc. vengono ormai ammassati in sadici neolager, in condizioni di vita vergognose e subumane, alla fame e alla miseria, in attesa di forzati rimpatrii, quando non avviene che qualcuno ci perda pure la vita? No, ovviamente. Non ci si può meravigliare che, venga negata la cittadinanza anche a chi ha tutti i requisiti per ottenerla, dal lavoro, ai permessi di soggiorno in regola, alle tasse sistematicamente versate, ecc. No, soprattutto se chi la chiede, provenendo dal sud del mondo, non è un "civilizzato", un "colono" disposto a baciare la mano dei nuovi padroni che lo hanno accolto, a farne propri i valori, la cultura, i costumi, a condividerne la visione ideologico-politica. Se si vuole, questo di Urbano Vicente Taquias, cileno fuggito dal Cile dal marzo del '74, dopo essere passato dallo Stadio di Santiago, e giunto in Italia nel gennaio del '75, con moglie e figlie, può sembrare una questione secondaria. Il ministero degli interni, retto dall'ulivista e pidiessino ex PCI Napolitano, sulla base di un rapporto segreto della polizia, gli ha negato la cittadinanza italiana. Neanche a parlamentari come Russo Spena, che gli hanno chiesto i motivi, Napolitano (memore evidentemente dei suoi trascorsi stalinisti) ha voluto svelarli, appellandosi a pretesi e inconsistenti regolamenti ministeriali che limiterebbero il diritto di accesso all'informazione su atti e documenti "che contengano notizie relative a situazioni di interesse per l'ordine e la sicurezza pubblica e all'attività di prevenzione e repressione della criminalità". Un atto dunque assolutamente immotivato a cui qualsiasi tribunale dovrebbe immediatamente porre rimedio, ma è ben difficile immaginare una magistratura sollecita nei confronti dei rifugiati politici non omologati. Tuttavia va ribadito: tra tanti Urbano ha avuto la "fortuna" (si fa per dire) di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Allora era quasi impossibile ottenerlo per chi non provenisse da uno stato a regime comunista, ma erano anche altri tempi; i giovani, i lavoratori, l'opinione pubblica erano capaci di grandi mobilitazioni politiche, anche su temi internazionali, come la questione cilena, e il parlamento dovette fare in fretta e furia una leggina per i rifugiati dal Cile, anche se poi non mancarono per molti difficoltà e dinieghi nella sua applicazione. E ha avuto, grazie a questo status riconosciuto e protetto dall'Onu, la possibilità di lavorare in regola. Operaio del cuoio in Cile, ha dovuto e saputo trasformarsi in saldatore specializzato; ha saputo cioè reinventarsi una professionalità e un lavoro propri, adatti alle sue esigenze di vita, ideali e politiche, un lavoro da "professionista" autonomo che gli permette di "staccare" quando ha necessità di andare in giro per dibattiti, conferenze, manifestazioni, incontri con altri esuli, ecc. All'inizio forse pensava di poter tornare abbastanza presto in un Cile libero. E si dava da fare per organizzare manifestazioni, incontri, raccolte di fondi, dibattiti, volantinaggio e diffusione di informazioni corrette sul Cile. Poi, quando è stato chiaro che il regime di Pinochet non sarebbe tramontato molto presto, dovendo prevedere per sé un periodo molto lungo in Italia e forse la definitiva rinuncia al Cile, l'orizzonte di intervento di Urbano, come del resto di molti esuli, si è allargato ai problemi della vita sociale del nuovo paese. Di qui il suo impegno nelle lotte degli operai del cantiere di Marina di Carrara e, successivamente, di altri cantieri, per condizioni di lavoro più salubri, in quelle per la difesa dei diritti umani delle minoranze marocchine, senegalesi, zingare, in quelle infine della popolazione di Massa Carrara per la difesa della salute e dell'ambiente contro le fabbriche chimiche di morte come la Montedison-Farmoplant di Massa e l'Enichem e l'ItalianaCoke di Avenza. Sono stati anni di attiva presenza tra gli immigrati, tra i lavoratori della Zona Industriale Apuana, e di partecipazione, prima a Massa Carrara, poi in Valle Bormida e ora ad Alessandria, alle lotte popolari, alle lotte sindacali e alle lotte per i diritti civili degli immigrati, soprattutto del Nord-Africa. Va bene, - si dirà - ma insomma la strada percorsa da Urbano, anche in considerazione del fatto che quando è giunto in Italia il fenomeno dell'aumento significativo, visibile della presenza di stranieri in Italia non era ancora iniziato, non è stato un calvario paragonabile a quello di altri extracomunitari che hanno continuamente a che fare con insormontabili questioni burocratiche, con difficoltà a trovare lavoro, con la clandestinità, ecc. Ma qui sta il nocciolo della questione, quello che la rende emblematica, cartina di tornasole delle reali tendenze politiche in atto oggi nel nostro paese, importante per chiunque. Niente è facile per un immigrato politico o meno che sia. Consideriamo la dimensione culturale e psicologica di chi è costretto ad abbandonare casa, paese, lavoro, ambiente, familiari, cultura, lingua, senza prospettive di un ritorno e senza prospettive di nessun futuro. Bisognerebbe farcela raccontare da Urbano e non solo da lui evidentemente, la storia dell'ingresso nell'ambasciata italiana nel'74 e poi, quella ancor più terribile, della permanenza di centinaia e centinaia di persone, ammassate in quell' ambasciata-lager, senza spazi, senza possibilità di vita privata, senza acqua e servizi sufficienti, senza far niente, come in gabbia, come animali troppo numerosi in uno zoo troppo piccolo, ma soprattutto retto e governato da personale di destra, ostile ai rifugiati e favorevole al golpe. Bisognerebbe conoscere il dramma personale della precarietà estrema e della estrema insicurezza in una condizione al limite dell'estremo umano e psicologico. Certamente sono vicende diverse, anche se si inscrivono lungo la stessa linea di oppressione e sfruttamento del Terzo mondo (o quarto, quinto, sesto?) questa di Urbano e quella degli immigrati dall'Africa o dall'Asia o dall'Europa post-comunista. Alla povertà estrema (raccontava Urbano che dopo il golpe, per andare a qualche appuntamento politico, per tentare di difendersi, di nascondersi, di salvarsi la vita, di organizzare qualche forma di opposizione e di sopravvivenza fisica, non c'era il denaro per prendere i mezzi pubblici, ma a non prenderli c'era il rischio di venir sorpresi dal coprifuoco) si accompagnava il pericolo per la vita, la probabilità ricorrente di finire di nuovo in qualche stadio, e sotto tortura. Spesso manca agli immigrati dal sud del mondo attuali, questa dimensione politica e di estremo pericolo. Ed è per questo che il rifugiato politico rappresenta una risorsa di coscienza democratica insostituibile. La consapevolezza critica, la coscienza politica, la capacità di vedere le proprie vicende personali all'interno di un disegno più ampio, internazionale, ha spinto gli esuli a schierarsi con chi sopraggiungeva per motivi anche solo economici e non di persecuzione politica. Spesso avviene che gli immigrati di più vecchia data guardino con sospetto, come a concorrenti, agli immigrati nuovi, specie se provengono da paesi diversi dai loro. Gli immigrati "politici", gli esuli non incorrono normalmente in questo errore e riescono a leggere nelle vicende altrui, di povertà, di fame, immigrazione, reclusione, marginalità, esclusione, repressione e negazione dei diritti umani fondamentali, i fili differenti e infiniti di una stessa trama: quella dell'oppressione e della violenza internazionali finalizzate alla schiavizzazione dei popoli non industrializzati. Tra il golpe di Pinochet e la fame dei marocchini o dei senegalesi c'è assoluta continuità: il popolo cileno ha tentato per alcuni anni di diventare arbitro del proprio destino sociale e politico contro le grandi multinazionali: una volta sconfitto ha pagato con decine di migliaia di morti, centinaia di migliaia di esuli, di torturati, di perseguitati questa scelta di autonomia e di libertà. Nei paesi del Nord-Africa a forte immigrazione verso l'Europa si sconta ugualmente, in termini di fame, di arretramento delle economie locali, di sfruttamento economico brutale da parte della finanza ineternazionale e dei grandi gruppi industriali, questa stessa mancanza di autonomia, di libertà, di possibilità di decidere per l proprio paese. Le forme e le motivazioni contingenti dell'una e dell'altra immigrazione diverse, ma la sostanza è la stessa, quella di popoli che non sono liberi ma oppressi e colonizzati. E' questo impegno che spiega, forse più della stessa appartenenza ideologica di Urbano, anche se non è possibile istituire divisioni, la sua "pericolosità" per lo stato italiano. Urbano è pericoloso, perché al di là delle sue stesse scelte anarchiche, ha praticato concretamente la solidarietà di classe. Nessuno forse lo sa, ma Urbano, a Massa Carrara è stato trai pochissimi che ha frequentato zingari, riconoscendo in loro, così distanti e diversi, così poco "ideologici" e così non "politici", dei veri, anche se "inconsapevoli" compagni di strada i cui problemi coincidevano con i suoi di esule e con i suoi di cittadino del Sud del Mondo e con quelli di tutta l'umanità in lotta per la propria autoliberazione. Così è stato per l'ambiente che è di tutti; così è stato sul lavoro; così con gli extracomunitari; tutti problemi e persone di cui era necessario occuparsi e con cui era necessario solidarizzare e schierarsi. Ma questo praticare l'internazionalismo e la solidarietà concreta, questo riconoscersi nell'altro in quanto proveniente dalla stessa parte economica e sociale, è effettivamente pericoloso per una società che si dichiara globale e utilizza i quattro quinti dell'umanità come cose, come variabili dipendenti dagli interessi e dai profitti dell'industria e della finanza internazionali, come pedine da gettar fuori dalla scacchiera e da divorare , appena non più utili per giochi di lor signori. Le società industrializzate, Italia compresa, hanno sì bisogno dell'immigrazione, ma solo se clandestina, senza diritti né umani né sindacali, facilmente sfruttabile e intercambiabile, un'immigrazione che consenta di pagare salari bassissimi, da sud-est asiatico, da bambini schiavi, senza neppure la fatica e il costo del trasferimento della propria azienda in Thailandia, in India o nel sud-est asiatico.
Questo avrebbero dovuto confessare il ministro di polizia Napolitano e la questura che chi, straniero, si occupa di rivendicare i diritti degli immigrati e di organizzarli, è per ciò stesso pericoloso. Ecco perché si sono spudoratamente trincerati dietro la "sicurezza dello stato": non gli diamo la cittadinanza italiana perché è pericoloso, ma non vi diciamo perché è considerato pericoloso, in quanto ciò minaccerebbe la sicurezza dello stato. Il serpente si morde la coda. Come sempre. E' la prassi della solidarietà che è eversiva; è la convinzione che ognuno ha dei diritti fondamentali non dipendenti dai confini che appare terrorizzante per chi crede che il sud del mondo sia abitato solo da selvaggi che dovrebbero baciare la terra dove posiamo i nostri piedi, visto che gli "portiamo la civiltà". Chi legge correttamente, nella realtà, la spoliazione del sud del mondo da parte del Nord industrializzato, chi dice che gli abitanti del sud del mondo hanno diritto di essere in qualche modo e immediatamente risarciti della loro fame e che una delle forme immediate di risarcimento e che il nord ricco dia loro lavoro e cibo, diventa, nella società della globalizzazione, inevitabilmente pericoloso ed eversivo, antagonista in modo radicale. Non solo ci si guarda bene dal dare cittadinanza italiana ad Urbano, che si impiccia di problemi "pericolosi" come la solidarietà e l'internazionalismo, ma perché non restino dubbi e non si verifichino nuovamente altri casi di "gente" come lui pericolosa, ma che non si può estradare al paese d'origine, Napolitano risolve il problema alla radice, schierandosi sul "bagnasciuga" contro marocchini, tunisini, senegalesi, turchi, curdi, e organizzano allegramente invivibili campi lager di raccolta per clandestini, battute di caccia ai fuggiaschi, battaglia contro chi tenta di ribellarsi, arresti e morti "misteriose", così non solo imparano loro, ma una volta tornati a casa, possono dissuadere altri da intraprendere la stessa strada terrorizzante, mentre quelli che sfuggono alle maglie dei controlli restano condannati alla clandestinità perpetua e senza speranze. In nome dell'ingresso in Europa e di Schengen, ovviamente. Giuseppina Corvaio
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