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Da "Umanità Nova" n. 28 del 27/9/98

Corrispondenza dal Congo

La situazione di stallo che si è venuta a determinare dopo l'internazionalizzazione del conflitto somiglia tanto a uno scenario strategico cui molti miravano sin dall'inizio di quest'ultimo conflitto. Riassumiamo i fatti sinteticamente: la confusione persistente sulla questione della nazionalità, in particolare di quella dei tutsi di origine ruandese installatisi nella Repubblica Democratica del Congo (già Zaire); il ricorso da parte dell'Alleanza delle Forze Democratiche del Congo di Kabila alla coalizione ruando-ugandese per condurre in porto la conquista del paese liberandolo da Mobutu; l'assenza sotto Mobutu di una struttura organica dell'esercito congolese e lo smantellamento delle quattro principali basi di difesa nelle province del Basso Congo; il comando in mani straniere delle Forze Armate Zairesi, con i relativi trattamenti degradanti e umilianti nei confronti dei quadri anziani; la legittimazione della presa del potere con le armi, anziché con metodi democratici, apportata dall'opinione pubblica nazionale e internazionale; la sospensione di ogni attività dei partiti politici (eccetto l'AFDL al potere); gli attacchi ai diritti ed alle libertà civili (arresti e detenzioni arbitrari, deportazioni, torture, verso militanti e leader politici avversari); la censura e la confisca dei mezzi di comunicazione privati e ufficiali operate dall'AFDL; i tentativi di ridurre al silenzio le associazioni della società civili, compresi i gruppi di difesa dei diritti umani; la personalizzazione e la concentrazione assoluta del potere da parte di Laurent Desiré Kabila; il mancato rispetto del calendario politico promesso da Kabila all'indomani della sua vittoria il 29 maggio 1997; la tendenza alla "etnicizzazione" dei poteri pubblici; l'infiltrazione e l'imposizione, da parte dell'autorità pubblica, dei tutsi di origine ruandese nelle strutture statali congolesi; l'ostruzionismo del governo congolese verso la missione di inchiesta dell'Onu sui massacri di rifugiati hutu nel corso del 1996-97; lo spirito egemonico dei paesi vicini, segnatamente Ruanda e Uganda; la lotta per la leadership tra gli stati nella regione dei Grandi laghi; la volontà dell'Occidente di dettare legge sulla diplomazia congolese; la permeabilità delle frontiere statali del Congo; l'occupazione politico-amministrativa del Kivu da parte dei ruandesi per conto dell'AFDL; la destituzione del Capo di Stato Maggiore, Gen. James Kabarehe, di origine ruandese, e il rimpatrio delle truppe straniere nei loro rispettivi paesi, tra cui il contingente ruandese; l'occupazione militare del Kivu, infine, da parte dei ruandesi il 2 agosto scorso e l'intervento armato di Angola e Zimbabwe a fianco di Kabila.

Oggi il paese è spaccato grosso modo in due, e non ritenendo plausibile che Uganda e Ruanda mirassero ad annettersi interamente il Congo, c'è da pensare che essi avessero puntato e puntino tuttora a inglobare il nord e il sud del Kivu, ricche e fertili aree in cui si annidano, rispettivamente, i ribelli ugandesi che il Sudan usa per dare fastidio al nemico Museveni (che appoggia i dissidenti sudanesi cristiani del sud antislamico) e gli hutu ruandesi responsabili dei genocidi del 1994.

Il rapporto tra Kabila e i suoi ex-protettori era così di duplice strumentalizzazione: il primo pensava di utilizzare i tutsi banyamulenge a proprio favore durante la marcia contro Mobutu l'anno passato, per poi sbarazzarsene una volta al potere; i secondi pensavano esattamente l'inverso, favorendo un governo "fantoccio" di Kabila. Fatto sta che la pax americana annunciata frettolosamente ad inizio di anno in occasione del lungo tour politico-affaristico di Clinton è lungi dall'avverarsi. Kabila si è dimostrato poco affidabile per tutti, in parte perché dominare in maniera accentrata tutto l'immenso Congo non è praticabile immediatamente (Mobutu stesso ci impiegò anni), in parte perché dopo aver concesso contratti di sfruttamento di risorse a imprese statunitensi, li ha strappati d'amblé per giocare al rialzo e alla concorrenza.

Il conflitto non è ancora terminato, le spaccature entro le rispettive cordate sono notevoli, e ne è prova la strage nella parrocchia e nel villaggio di Basika, a Bukavu, lo scorso 24 agosto, quando soldati ruandesi hanno massacrato oltre 600 civili inermi, e gli ex soldati di Mobutu, loro alleati nel frangente, hanno espresso fermo dissenso mugugnando o addirittura disertando, e benendo poi disarmati (se ne ignora la sorte). Ormai è evidente che truppe e quadri ruandesi sono alla testa dei ribelli ed è da vedere se mirano solo alla regione del Kivu o vogliono portare il conflitto sino in fondo.

Come sempre, chi paga le conseguenze della guerra sono le popolazioni civili, mutilate, uccise, violentate, derubate dalle milizie di entrambi i fronti. A Kinshasa, dopo la liberazione delle truppe fedeli a Kabila, si è sparato gratuitamente non solo contro i ribelli che cercavano di scappare dalla capitale travestiti alla meno peggio, fatti oggetto di campagne di odio anti-tutsi anche tramite media compiacenti (proprio come in Ruanda nel '94), ma anche contro coloro il cui comportamento non mostrasse visibilmente uno schierarsi con il vincitore di turno, magari perché semplicemente malati mentali (il 27 agosto, in pieno mercato principale...).

Salvo Vaccaro

N.B. Ho riassunto una serie di corrispondenze di fine agosto - metà settembre di alcuni rappresentanti della società civile congolese residenti nel Kivu, che si riconoscono nella sigla "Fonti Indipendenti del Congo" e che vogliono mantenere l'anonimato per comprensibili ragioni di sicurezza.



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