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Da "Umanità Nova" n. 28 del 27/9/98

Genova
La piaggio prende il volo per la Turchia

Prende il volo per la Turchia la Rinaldo Piaggio Aereonautica, storica azienda genovese con sedi a Sestri Ponente e Finale Ligure. A dare l'O.K. al decollo é il ministro ulivista Bersani il quale, tra una decina di aspiranti compratori, ha scelto proprio la cordata formata dalle italiane Ferrari (47%) e C.s.c. (2%) ma guidata dalla Turkish Aviation Foundation, che detiene il 51% delle azioni ed é a sua volta controllata dalla Tushav, una sorta di fondazione che coordina le attività civile e militari turche.

A far scegliere questa soluzione al governo italiano sarebbe stata la promessa, da parte turca, del mantenimento degli attuali livelli occupazionali: 1.080 lavoratori, compresi 300 attualmente in cassa integrazione (che la Tushav con abile mossa propagandistica, in occasione dell'inaugurazione del Museo Aereonautico Piaggio, ha dichiarato di voler subito far rientrare in produzione). Una promessa che non si sa fino a quando sarà mantenuta, considerato che i salari in Turchia sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli correnti in Italia. Ma l'entusiasmo del ministro Bersani - una vera e propria cotta, verrebbe da pensare - per i Turchi, lo spinge ad essere particolarmente prodigo nei loro confronti. La TAF - Tushav acquista infatti la Piaggio per 67 miliardi (51% del valore effettivo dell'azienda) e dell'operazione fanno parte anche i 170 miliardi stanziati dal governo italiano in commesse. Non solo. La Turchia, con questo affare, può entrare nelle coproduzioni strategiche di Falcon, Amx e Tornado e venire così in possesso di mezzi, strumenti e brevetti che farebbero fare un bel salto di qualità alle sue forze armate.

A ciò si aggiunga che i primi lavori "sicuri", per la nuova Piaggio turchizzata saranno tutti di carattere militare e riguarderanno proprio l'esercito turco. Vediamoli: manutenzione di 50 motori l'anno della flotta elicotteristica, costruzione di 20 veicoli P180 e P166, adattissimi alla ricognizione al suolo, creazione di un centro di revisione per velivoli a corto raggio, modifica a jet del P180, da destinare poi al mercato ex sovietico e nord americano.

Che il governo turco non abbia intenzione di utilizzare le nuove tecnologie, che inaspettatamente gli giungono in dono, in azioni filantropiche e umanitarie, é fin troppo chiaro;

La Turchia é impegnata dal 1974 in una sorta di guerra fredda contro la Grecia per la questione di Cipro, con lo smembramento dell'ex Jugoslavia e la crisi albanese é tornata ad affacciarsi sullo scacchiere balcanico, facendo sentire pericolosamente la propria influenza; nel paese i diritti umani sono sistematicamente violati e le opposizioni represse, mentre é in corso un vero e proprio genocidio nei confronti del popolo kurdo (40.000 vittime, 5 milioni di profughi, 4.000 villaggi distrutti) Questo é il paese bastione della NATO e sentinella dell'occidente in predicato di divenire - in virtù forse della piccola porzione di territorio che possiede al di qua dei Dardanelli - una nuova stella gialla nella bandiera d'Europa.

Questo é il paese a cui il governo Prodi regala un'industria aeronautica sana, che potrebbe e dovrebbe lavorare nel civile, ad esempio nel campo della protezione ambientale.

Che dire, poi, dell'amara conclusione di 4 anni di lotte esemplari da parte degli operai e dei tecnici dell'azienda ligure? Lotte per la difesa del posto di lavoro che hanno vissuto anche momenti di grande asprezza, come il blocco della ferrovia e dell'Aurelia e gli scontri con polizia e carabinieri fuori dai cancelli della fabbrica di Finale. Lotte che meriterebbero un epilogo ben diverso e che corrono, invece, il rischio di essere vanificate. Perché chi mai potrà impedire al governo turco, ormai proprietario dell'azienda, di trasferire la produzione nel suo paese?

Il coordinamento che in questi giorni si sta formando a Genova tra centri sociali, associazioni e forze politiche sensibili al problema (c'è già stata una manifestazione di cui riferisco a parte), ha di fronte a se una strada in salita ed irta di ostacoli. Occorre respingere il ricatto a cui il governo italiano vuole sottoporre i lavoratori interessati, facendo loro credere che l'alternativa alla produzione bellica - perché di questo si tratta - sia la disoccupazione. Come militanti anarchici abbiamo il dovere di squarciare il velo sulle menzogne governative, di cercare il confronto con gli operai ed i tecnici della Piaggio e di impegnarci a fondo perché la mobilitazione continui e non si esaurisca in un semplice cartello di sigle o, peggio, non scada in una palestra per apparati.

Fabrizio Acanfora



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