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Da "Umanità Nova" n. 29 del 4/10/98

10 settembre 1994
Dal fuoco della rivolta alle nebbie di palazzo

L'assoluzione completa - perché il fatto non sussiste - per 96 compagni/e e le condanne minori per altre/i 32, in relazione agli scontri avvenuti a Milano il 10 settembre '94 è una buonissima notizia che certo ha fatto venire il mal di fegato agli sbirri di ogni colore, ma la soddisfazione per questo fatto non può non farci vedere la distanza tra le pratiche di quattro anni fa e le attuali teorizzazioni dentro l'area dei centri sociali, o almeno di una parte di essa (Leoncavallo, Melting del Nord Est, ecc.).

La cosiddetta "Carta di Milano" partorita dall'assemblea nazionale dei centri sociali del 19 settembre, in preparazione della scadenza del 26, infatti contrasta in modo stridente con quanto le soggettività sociali, protagoniste della storica giornata del 10 9 '94, intesero affermare in quel lunghissimo e movimentato pomeriggio e quanto in buona parte continuano coerentemente a portare avanti.

Se per molti decenni all'interno della sinistra, il termine "riformista" ha suonato quasi come un'offesa simile a quella di collaborazionista; oggi si può dire che, essendo venuto meno il carattere riformista di una sinistra politica ormai indistinguibile dalla destra, una parte dei centri sociali si sta illudendo di potersi conquistare uno spazio "neoriformista" all'interno dell'assetto politico, ritenendosi in qualche modo "compatibili" con il governo di centro-sinistra.

Il costo di tale operazione, tutta giocata sul piano della trattativa politica e non di rado dello spettacolo, appare già alto perché la bandiera dell'autogestione sociale sta perdendo progressivamente il suo carattere antagonista per accedere ad ambiti istituzionali e parlamentari senz'altro più eleganti.

Specie dopo aver appreso i piani repressivi per il controllo sociale della commissione TREVI, in molti, negli ultimi anni, avevano creduto che per i centri sociali il maggior pericolo fosse quello di una pianificata "legalizzazione"; ma evidentemente sbagliavano, perché oggi vediamo rappresentanti e portavoce di centri okkupati ben accreditati nel dibattito " che conta" e persino inseriti nella definizione di politiche governative, mentre altri centri sociali e situazioni - occupati e non - che portano avanti esperienze di reale autogestione fuori dalle logiche del potere, contro le mediazioni istituzionali e in alternativa alla politica-spettacolo dei partiti.

Il problema quindi da affrontare è quello della sostanziale "istituzionalizzazione" di certi percorsi che non possono più dirsi "autonomi" o "incompatibili" perché, col pretesto di voler "uscire dal ghetto", di fatto stanno entrando in una dimensione in cui si chiede e si discute di tutto, ma con il proprio agire non si mette più in discussine niente del famigerato "stato presente delle cose".

E' storia - triste - di questi mesi aver visto i rappresentanti dei centri sociali andare a Roma per tentare di ricucire una crisi di governo, entrare a far parte di amministrazioni locali e aderire ad un movimento - partito del Nord Est, a fianco di soggetti che da un punto di vista di classe dovrebbero rappresentare il nemico da battere.

E così ora leggiamo nella "Carta di Milano" una lista di obiettivi (amnistia, diritto alla libera circolazione e chiusura dei lager per gli immigrati, decriminalizzazione dei reati legati all'esercizio dei diritti negati, depenalizzazione dell'uso delle sostanze stupefacenti, scarcerazione dei detenuti malati verso la fuoriuscita dall'orizzonte (sic) del carcere e delle istituzioni totali, reddito di cittadinanza) apparentemente giusti e ragionevoli, ma sbagliati e illusori proprio perché si lascia credere che, in questo contesto sociale politico, sia possibile raggiungerli senza mettere sottosopra questa società, come se fossero in qualche modo compatibili con il sistema capitalistico, con l'esistenza stessa dello stato, con il programma di governo di Prodi.

Inoltre di altre rivendicazioni (assegnazione per legge delle aree dismesse, finanziamento pubblico; ecc.) si sottovalutano disinvoltamente il carattere normalizzante e gli interessi economici legati al cosiddetto no-profit.

Per questo accennare ad una presunta "riforma conflittuale del welfare" come è stato scritto in tale documento è un puro "non sense" e ricalca le utopie riformiste di quanti un secolo fa, ritenevano possibile cambiare lo Stato borghese dall'interno, attraverso le lotte sindacali e le elezioni.

E già a quei tempi insospettabili, gli antiautoritari, avevano scelto un'altra strada.

KAS.



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