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Da "Umanità Nova" n. 29 del 4/10/98
Abel Paz, "Spagna 1936. Un anarchico nella rivoluzione", Lacaita Editore, Manduria 1998, pp. 280 C'è chi fa la storia e chi la vive. Il primo è portato necessariamente ad un distacco se vuole far sì che il suo raccontare serva a comprendere, analizzare e verificare i fatti/documenti storici. Il secondo è cosa viva con il racconto ed il suo scopo è quello di coinvolgere nella propria passione, travolgendo situazioni e personaggi in un turbinio emozionante. Nessuno dei due è in grado di dire/descrivere la verità. Pure soltanto a quest'ultimo è concesso raccontare la vita, arraggiandola se capita. Diego Camacho (in arte Abel Paz) con i suoi numerosi libri ci ha sempre abituati ad una lettura incantata -- e a tratti incantevole -- della storia, sia che si tratti di una ricostruzione biografica (si pensi al monumentale studio su Durruti, tra qualche mese anche in italiano per conto delle edizioni Zero in Condotta/BFS/La Fiaccola), sia che riguardi la sua autobiografia di militante anarchico donchisciottesco. Cosicché anche il presente libro che racconta la sua esperienza viva attraverso le vicende che vanno dal 19 luglio 1936 al 25 gennaio 1939, vale a dire il periodo che in Spagna vide la nascita e la morte del comunismo libertario (almeno per quanto riguarda gli anarchici), vuole essere il ricordo appassionato di una speranza in un mondo migliore che ancora oggi - alla sua veneranda età di 77anni - non si è spenta e neppure affievolita. La grinta, la tenacia, l'ardire di questo quindicenne da poco giunto in una Barcellona infuocata dagli avvenimenti insurrezionali ci accompagnano per tutte le pagine del libro, ciceroni accondiscendenti di quanto viene osservato: si tratti di una barricata, di una cucina popolare, di un ateneo libertario, di una collettività agricola, di un intero popolo in armi. Ma la descrizione del giovane Diego - sebbene aiutata e confortata dall'esperienza di un Diego più maturo e riflessivo - vuole anche lanciare uno sguardo sulle "opportunità sociali" che allora l'intero movimento anarchico iberico disponeva per realizzare il comunismo libertario e che le "opportunità politiche" prima frenarono e poi soffocarono definitivamente. Non per nulla tutta la descrizione storica degli eventi spagnoli si snoda attorno alla questione cruciale dell'ingresso degli anarchici nella Generalidad catalana, prima, e nel governo nazionale successivamente. Una questione spinosa, come sappiamo, e che da qualsiasi punto di osservazione la si voglia analizzare mostra una profonda ingenuità, sia da parte dei "vertici" della CNT e della FAI, sia da parte della cospicua base di militanti delle due organizzazioni anarchiche, nell'affrontare il problema dei rapporti di forza all'interno del processo rivoluzionario, il legame tra la difesa delle conquiste rivoluzionarie ed il loro consolidamento, la strozzatura della guerra nell'internazionalizzazione del conflitto di classe. Il racconto autobiografico di Abel Paz descrive lo stato di tensione/emozione che attraversa le esperienze dei militanti anarchici, soprattutto rispetto a scelte operate dalle segreterie della CNT e della FAI che per un eccesso di prudenza, lealtà, attendismo nei confronti delle altre forze politico-sindacali spagnole finirono per accettare e far proprie decisioni che condussero la rivoluzione del `36 ad una progressiva sconfitta. In modo particolare l'autore ripercorre puntualmente i fatti salienti di questo processo di arretramento, individuando soprattutto nella morte di Durruti (20 novembre1936), così come nelle Giornate del maggio 1937, i momenti in cui deliberatamente le strutture organizzative del movimento libertario non se la sentirono di dar pieno sfogo alla pressione rivoluzionaria che allora - in modo particolare in Catalogna - poteva contaredel pieno appoggio delle masse. Allo stesso tempo però Abel Paz ricostruisce il clima avvelenato - costruito ad arte dai comunisti spagnoli sotto la direzione completa ed assoluta degli agenti del Kgb sovietico -- che si respirava in quegli anni e che la velocità con la quale succedevano gli eventi non consentiva un chiaro e pacato ragionamento sul da farsi. Così da una parte gli "incontrollati", dall'altra parte i fin troppo "controllati" determinarono una situazione in cui il Movimento Anarchico Iberico perse la capacità di essere oltre che decisivo, anche determinante per il successo della rivoluzione sociale in Spagna. Ma di questo libro, che al pari di tutte le "Mémoires" affonda l'inchiostro nelle passioni quotidiane più profonde, ci piace sottolineare in questa nota il carattere naïf, spontaneo dei ricordi di un ragazzino diventato presto adulto che - come lui stesso ha scritto e ripetuto negli innumerevoli incontri con i compagni di tutto il mondo - la notte del 19 luglio 1936 si è addormentato ai piedi di una barricata e... non si é più svegliato.
Jules Elysard.
Todd May, Anarchismo e post-strutturalismo. Da Bakunin a Foucault, Eleuthera, Milano, 1998, pp. 200, L. 25000 Come accade per ogni altro ambito della società, anche nel settore della cultura, e nel caso in questione la filosofia politica, c'è una corsa alla leadership intellettuale su cui gettano gli occhi avidi di potere le ideologie in cerca di legittimità e le elites politiche a caccia di servi intelligenti. E' successo così che opere e autori, le cui riflessioni sono utili per la società in cui essi di collocano, sono stati spesso assoldati a questa e quella causa, come se l'appartenenza a qualcosa di molto vicino a un partito (a una "parte" e non a tutta l'umanità che voglia confrontarsi con idee elaborate e diffuse) desse maggiore luce a teorie e analisi al servizio di strategie politiche. Ora, potrebbe sembrare il caso che anche gli anarchici percorrano questa medesima via, peraltro squallida, rivendicando l'appartenenza al proprio mondo addirittura di tre dei più noti filosofi di questo secolo: Michel Foucault, Gilles Deleuze e Jean-François Lyotard, i quali peraltro non si sono mai dichiarati esplicitamente anarchici. A questa insidia, però, sfugge l'americano Todd May che invece si dedica in questo saggio a istituire dei raccordi paralleli tra il pensiero filosofico e politico dei classici dell'anarchismo, e gli effetti libertari delle teorie e delle analisi dei tre filosofi francesi tutti scomparsi nell'arco dell'ultima dozzina d'anni. Todd May non esita a centrare analogie e, più precisamente, le differenze tra anarchismo e post-strutturalismo (una categoria-etichetta pcoo felice ma tutto sommato convenzionale per evitare ripetizioni), specialmente sulla questione del potere, dell'essenza umanista del pensiero anarchico di derivazione rousseauviana, laddove Foucault, Deleuze e Lyotard elaborano riflessioni che arrivano a esiti libertari se non anarchici attraverso una articolazione di pensiero radicalmente innovativo, meglio idonea a colpire al cuore il presente, con particolare attenzione verso le relazioni di potere, l'eliminazione della soggettività quale istanza egemonica, in ultima istanza verso la dsestituzione di senso di un pensiero metafisico cui adeguare le analisi filosofiche e i presupposti della politica, teoria e prassi incluse. Allora, se non è il caso di appuntare freccette di conquista su una mappa virtuale della filosofia contemporanea, vale sicuramente la pena riflettere sul parallelismo e sulle differenze tra anarchismo e post-strutturalismo con l'obiettivo di approfondire e perfezionare la "cassetta degli attrezzi" teorici a disposizione degli anarchici, non solo rendendo grazie a Bakunin, Kropotkin e Malatesta, ma oggi anche a Deleuze, Foucault e Lyotard. Valerio A. Scrima
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