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Da "Umanità Nova" n. 29 del 4/10/98
Ancona 26 settembre 1998 Abbiamo salutato con gioia la notizia che ci hanno trasmesso oggi i compagni e le compagne marchigiane circa l'esito della prima ed unica udienza del processo in appello che vedeva Francesca e Federico ricorrere avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Fano il 6 maggio 1994. Come ricorderanno i nostri lettori tale sentenza aveva condannato i nostri compagni ad 8 mesi di reclusione "rei" di vilipendio al papa. Il processo svoltosi nel 1994 era, nei fatti, un processo ai Meetings Anticlericali, dopo le reiterate intimidazioni, provocazioni, sabotaggi, diniego delle autorizzazioni previste che Curia, Democrazia Cristiana, Questura e Sindaco avevano intentato negli anni precedenti nel vano tentativo di impedire lo svolgimento della manifestazione Fanese che coinvolgeva migliaia di persone sul piano locale, nazionale ed internazionale. Di fronte alla perdurante riuscita dell'appuntamento annuale a Fano di anticlericali, atei, liberi pensatori, gli ambienti clericali davano mandato all'autorità giudiziaria di fermare i meetings fanesi. Il sindaco Giuliani, democristiano (successivamente caduto in disgrazia come altri affaristi della così detta "prima repubblica") era il primo firmatario di un esposto indirizzato alla magistratura, fatto sottoscrivere a 200 ignari (come é emerso chiaramente nella fase dibattimentale del processo del 1994) cittadini fanesi nel quale si denunciava il Meeting Anticlericale di "atti, espressioni ed immagini offensive del sentimento religioso-cattolico dei fruitori di detti messaggi"; ciò dopo che i suoi dinieghi di autorizzazioni amministrative allo svolgimento della manifestazione che venivano invece normalmente accordati a qualsiasi altra manifestazione (nel corso delle quali se di marca clericale venivano profuse elargizioni di denaro pubblico sotto la voce patrocinio) non erano bastate a fermare i meetings. Un secondo esposto denuncia indirizzato alla magistratura veniva sottoscritto da prelati di Fano, Fossombrone, Cagli e Pesaro (primo firmatario il vescovo di Fano) nel quale si segnalava che i meetings Anticlericali avevano "ripetutamente vilipeso il Sommo Pontefice con espressioni ed immagini gravemente lesive della sua dignità e delle sue funzioni". Ciò produceva una ispezione (effettuata in modo occulto) da parte di funzionari della Questura durante lo svolgimento dell'Ottavo Meeting Anticlericale (1991). Sulla base di tale rapporto veniva individuato dalla magistratura il reato di vilipendio, corpo del reato l'immagine del manifesto di annuncio del Meeting stesso (con banconota da 1000 lire nella quale l'effigie era stata sostituita da una figura del papa disegnata da Vauro per "il Manifesto" e recante il titolo "8xmille Meetings") ed un ritaglio del settimanale satirico "il Male", ripreso da un numero del 1980, esposto nel contesto di una mostra di elaborazioni grafiche, foto, vignette e articoli di giornale; il rapporto di polizia individuava poi in Francesca e Federico gli organizzatori del Meeting essendo questi firmatari di richieste di autorizzazioni amministrative per lo svolgimento della manifestazione. Il principio della responsabilità penale é stato quindi estrapolato a chiunque ("in difetto di ogni migliore indagine", come si legge nella motivazione della sentenza del 1994) abbia in qualche modo partecipato al Meeting o abbia collaborato alla sua realizzazione. La sentenza odierna dimostra, come rilevato nel comunicato emesso dal Comitato 28 settembre (che trovate pubblicato su questo numero), come tale sentenza sia stata considerata INSOSTENIBILE dal Tribunale di Ancona il quale, lungi dal contraddire il Tribunale di Pesaro evidenziando un vizio di merito, ha risolto il problema evidenziando l'immancabile vizio di forma. Non di assoluzione dal reato di vilipendio quindi si può parlare ma ci si deve ridurre ad una sentenza di non procedibilità. Il che tradotto dal linguaggio dei parrucconi togati a quello della politica di controllo sociale significa che la sentenza di condanna persiste e pertanto persiste il reato mentre sarebbe politicamente insostenibile che due persone dovessero subire il carcere per i fatti a loro contestati. Il prezzo politico l'ha sicuramente pagato il potere che non ha mancato, anche in questa occasione di giocare, all'allarme anarchico: di fronte al Tribunale di Ancona erano schierati in bella evidenza 3 cellulari (autoblindo da con confondere con i telefonini) che alle ore 10 (al termine del processo) hanno ripreso la via delle caserme; accanto alla sessantina di agenti in divisa vi era il solito pullulare di signori, signorine e signorini in tutte le fogge borghesi agghindati con immancabile cellulare (portatile, questo confondibile con telefonino, ma in realtà ricetrasmittente operativa); alle poche decine di compagne e compagni che presenziavano al processo é capitata l'usuale sequela delle perquisizioni, fermi ed identificazioni anche ripetute più volte dentro e fuori il palazzo della magistratura (evidentemente lo sfoggio tecnologico del Ministero degli Interni non é sufficiente a razionalizzare gli accertamenti di polizia sempre che non si voglia intendere questi eventi come pure e semplici tentativi di intimidazione). Sarà che oggi la grande stampa aveva pompato l'ennesima udienza del processo che si sta svolgendo a Roma contro gli "anarchici cattivi"; sarà che anche il Questore di Ancona aveva bisogno del suo giorno di gloria; sta di fatto che per chi fosse passato davanti al Tribunale di Ancona sarebbe rimasto sorpreso di tanta agitazione. In questo caso si può ben dire che i sassolini della scarpa i giudici se li sono tolti con molto imbarazzo e poca eleganza dovendo scegliere se affrontare una ulteriore fase dibattimentale con il rischio di ridicolizzare ulteriormente la potestà giuridica o chiuderla lì cercando, per quanto in loro potere, di mettere tutto a tacere. Evidentemente il presidente della Corte d'Appello del Tribunale di Ancona ha optato per la "seconda che hai detto". Nonostante la consegna alla serietà non posso trattenermi da qualche sibilante battuta: le circostanze me lo permettono ed il fatto che (almeno per il momento e, noi ci si augura, anche per il futuro) un compagno ed una compagna siano liberi dalle beghe giudiziarie, mi induce all'ilarità. Questo non ci esime, a mio parere (ma anche a parere dei compagni e delle compagne firmatarie del comunicato emesso oggi al termine del processo), dal perseverare nella lotta contro tutti quegli strumenti giuridici, politici e sociali (quali anche gli articoli 278, 402 e 403 del codice penale) atti ad essere utilizzati dal potere per impedire la critica, il dileggio, la satira e "l'esposizione al pubblico ludibrio" (definizione letterale della parola vilipendio) nei confronti dei potenti. La vicenda della mobilitazione ad Ancona prevista per il 26 settembre scorso non ci ha visti all'altezza della situazione. Oggi possiamo pensare a nuove iniziative sul piano locale e in ambiti più vasti. I compagni marchigiani fanno sapere che sono in programma iniziative per il 3 ottobre a Fano e forse per il 10 ottobre ad Ancona. Nel momento in cui scrivo non é ancora possibile dare notizie certe su queste iniziative. Certo é che il senso dell'impegno preso a Fano il 20 e 21 giugno scorsi quando fu costituito il comitato "28 settembre" non si esaurisce con il felice esito della vicenda processuale. Ai prossimi numeri di UN per aggiornamenti e appuntamenti. Walter Siri
Oggi 28 settembre '98 è stato celebrato in Ancona il processo
d'appello alla sentenza del 6 maggio 1994 che condannava 2 attivisti
anticlericali fanesi per vilipendio al papa (art.278 c.p.).
Si conclude così una vicenda grottesca che aveva visto persino il
Pubblico Ministero di Pesaro chiedere, inascoltato, l'assoluzione.
Comitato 28 settembre contro il reato di vilipendio e per il diritto di critica
ai potenti
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