Da "Umanità Nova" n. 29 del 4/10/98
Se esiste una caratteristica capace di segnare un'intera epoca, bene, per quella che viviamo, questa è sicuramente la precarietà. Precarietà intesa non solo come rapporto specifico di lavoro, bensì come forma generale di rapporto fra le classi, fondata su un'insicurezza generalizzata che colpisce a fondo i vari comparti del mondo del lavoro e le stesse realtà studentesche. E' diventata oramai un luogo comune l'affermazione secondo la quale sia passato il tempo nel quale il "posto fisso" era una relativa certezza per la maggioranza della popolazione. Come tutti i luoghi comuni anche questo nasce dalla constatazione di un dato di realtà, ma con il suo rassegnato consenso occulta le responsabilità e gli interessi che hanno presieduto a questo mutamento di paradigma sociale. La sconfitta del movimento operaio novecentesco e dei movimenti radicali di opposizione, ha avuto come conseguenza un'immensa ridislocazione dei poteri tra le classi, a tutto vantaggio delle grandi imprese e dei poteri che detengono i poteri della produzione e della finanza. La quota complessiva della ricchezza mondiale riservata ai salari è andata sempre più diminuendo, mentre è aumentata esponenzialmente quella riservata ai profitti. Ricchezza che viene bruciata quotidianamente nel conflitto tra grandi imprese capitalistiche; conflitto che in maniera crescente vede come luogo del suo svolgimento il terreno della finanza e delle borse. Le grandi imprese utilizzano sempre più la sfolgorante espansione finanziaria degli ultimi 20 anni per ottenere profitti a breve termine, profitti che altro non producono che nuova competizione finanziaria dove ogni attore cerca di posizionarsi meglio rispetto all'altro in una lotta senza esclusione di colpi. Naturalmente per ottenere in continuazione capitali freschi, per alimentare il grande gioco, e il lavoro che viene messo sotto stress, quel lavoro che continua ad essere il luogo reale dove viene prodotta la ricchezza sociale destinata ad essere bruciata nel capitalismo-casinò delle borse. Questo meccanismo si interseca con una più generale ristrutturazione dell'organizzazione del lavoro: i processi informatici e la velocizzazione dei trasporti su scala globale, permettono infatti al capitale di organizzare la produzione in unità lavorative molto più piccole dei colossi fordisti, nonché disperse su un territorio molto più ampio coincidente con l'intero pianeta. Così il lavoro industriale non qualificato viene spostato là dove il suo costo è minore a patto che esistano terminali rapidi per il trasporto e regioni politicamente stabili nello stesso tempo, il lavoro qualificato non viene "esportato" all'estero, ma esternalizzato. La rinascita nel mondo capitalisticamente sviluppato della dimensione della piccola e media impresa, nonché del lavoro individuale, sono figlie di questa dinamica. Quanto era stato centralizzato dentro la grande impresa fordista, viene oggi disperso sul territorio senza alcun collegamento che non sia quello assicurato dalle direzioni finanziarie in grado di dirigere i flussi di capitali e materie prime verso queste unità lavorative. Così il lavoro viene pauperizzato, segmentato, ai lavoratori viene tolta ogni sicurezza perché producano di più a salari più bassi e con la testa piegata. La precarizzazione ha in questo processo un duplice scopo: ridurre i costi della produzione e mantenere i lavoratori nella paura. Se, fino a non molti anni fa, ogni lavoratore si sentiva ed era parte di un insieme che in forme diverse si opponeva, contrattava e confliggeva con le imprese, oggi il lavoratore è solo davanti al sistema di impresa, solo e in posizione sottomessa. Le leggi che hanno riformulato il mercato del lavoro, lo spezzettamento delle grandi unità produttive, l'imporsi della contrattazione individuale, sono i fenomeni che hanno segnato questo mutamento ed hanno prodotto una nuova figura di lavoratore: quello necessariamente collaborativo con l'impresa senza alcun collegamento con altri lavoratori. E' fondamentale spezzare questo modello sociale che con le attuali proposte di riforma scolastica, si sta estendendo anche al mondo della formazione. Per farlo è necessario dotarsi di strumenti conoscitivi sia di strutture di intervento. Il primo obiettivo da raggiungere, è quello di ricostruire delle garanzie minime per i lavoratori che permettano la fuoriuscita dal mondo della paura; molte proposte si affollano in questo senso: dalla riduzione drastica dell'orario reale di lavoro (non le ridicole 35 ore di orario legale che nessuno rispetterebbe) all'adozione di un salario garantito. Queste proposte sono tutte allo stesso modo generose e tutte colgono nella fuoriuscita dall'insicurezza l'unica strada percorribile per la ripresa del conflitto sociale. Bisogna però tenere conto, che senza strumenti capaci di imporle, nessuna di queste proposte può uscire dal dibattito autoreferenziale della sinistra. Quello che proponiamo è un lavoro politico di base strutturato su due assi portanti: un'opera a largo raggio sul lavoro diffuso, capace di sensibilizzare quanti più lavoratori, studenti, disoccupati nella prospettiva di creare una mobilitazione diffusa su questi temi; la promozione di conflitti anche localizzati su posti di lavoro allo scopo di battere i tentativi di precarizzazione messi in atto e di respingere l'arroganza delle imprese nel trattare i lavoratori come variabile dipendente dalle loro strategie. Individuare le forme e le metodologie che ci consentono di iniziare questo lavoro è il primo compito che intendiamo portare a termine. Comitato cittadino contro la precarietà "Facciamo cambiare di campo la paura"
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