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Da "Umanità Nova" n. 30 del 11/10/98

L'Europa in rosa
Tra elezioni in Germania e crisi in Italia

Germania, pallida madre, Italia pavida figlia....della socialdemocrazia

Con la vittoria dei socialdemocratici, dei verdi e dei postcomunisti del PDS in Germania possiamo considerare conclusa la rimonta del blocco neocorporativo europeo a fronte dell'ondata neoliberista degli anni '80. L'Europa è, per i prossimi anni, orientata a sinistra.

Le ragioni della vittoria della sinistra in Germania sono varie e non ci interessa, in questa sede, una valutazione approfondita nel merito. è, comunque, bene ricordare che, in un sistema politico bipolare, un blocco può vincere le elezioni grazie allo spostamento del voto di un numero relativamente limitato di elettori, che i democristiani tedeschi non sono i conservatori inglesi e che la loro stessa politica era neocorporativa, anche se un po' più severa di quella prospettata dai socialdemocratici, piuttosto che neoliberale, che vi è stata una discreta dispersione di voti su liste di destra che non hanno superato lo sbarramento del 5%, che settori di cittadini disaffezionato rispetto al circo equestre parlamentare hanno votato piuttosto contro la destra razzista che per la sinistra.

Resta il fatto che oggi Germania, Francia, Inghilterra e, forse, Italia hanno governi di centrosinistra e che, anche considerando le nazioni di minor peso, la CEE vede una maggioranza socialdemocratica.

Questa dinamica conferma una tesi che noi, contraddicendo il senso comune della sinistra "antagonista" e riformista, sosteniamo da tempo e cioè il fatto che il neoliberismo non è il destino manifesto del capitalismo di fine millennio ma solo una forma di governo dell'economia che viene utilizzata quando sembra opportuno ai gruppi sociali dominanti che, d'altro canto, non disdegnano il corporativismo democratico quando appare più adeguato al fine di permettere processi ristrutturativi dolci (sino a un certo punto) per quel che riguarda l'economia e la società.

In altri termini, la collaborazione fra padronato, stato e sindacati istituzionali permette di imporre alle classi subalterne misure che governi apertamente reazionari faticano a realizzare e, nello stesso tempo, di evitare o, almeno, rallentare, gli effetti più devastanti delle politiche neoliberiste (degrado delle infrastrutture, esplosione di rivolte urbane, crescita esponenziale della microcriminalità ecc.).

è sempre bene ricordare, comunque, che il potere di pressione dei gruppi economici dominanti sui governi di sinistra resta intatto, basta pensare alla possibilità, per le imprese tedesche, di spostare stabilimenti ed attività in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceka, Slovenia, Croazia ecc. per comprendere come la neosocialdemocrazia debba fare i conti con un'integrazione internazionale della produzione, del mercato del lavoro, della finanza che mette a serio repentaglio ogni pretesa di rilanciare il compromesso sociale che ha caratterizzato, in particolare in Europa, il secondo dopoguerra.

Mentre l'Europa fa un ulteriore passo a sinistra, il governo dell'ulivo, che di questa deriva è stato antesignano, vive una crisi che sembra decisamente più grave che in passato a causa della rottura interna alla maggioranza fra ulivo e PRC.

Riteniamo opportuno, a questo proposito, riprendere il filo di una riflessione precedente e valutarne l'attendibilità nel mentre valutiamo alcuni elementi di novità determinatisi negli ultimi mesi.

In prima battuta, la crisi di governo sembra avere le sue radici nella resa dei conti interna al PRC fra area che fa riferimento al segretario ed area di fedelissimi del presidente. Nelle ultime settimane i giornali ci hanno deliziato con le cronache di questa guerriciattola: insulti reciproci, sgarrettamento di dirigenti, licenziamenti e spostamenti di funzionari. promesse di poltrone ai voltagabbana (di norma i cossuttiani passati al gruppone bertinottiano), rilevanza dei trotzkisti, divisi a loro volta, fra ortodossi della IV Internazionale e bolscevichi hard del gruppo Ferrando ecc..

Che la lotta politica intesa come lotta di potere non sia cosa fine ed elegante non lo abbiamo appreso in questa occasione e non riteniamo che l'accento vada posto su questi aspetti dell'attuale calvario neocomunista se non per ricordare a qualcuno che corre il rischio di lavorare per il re di Prussia se si illude di "condizionare" Bertinotti nella gestione della linea politica del PRC.

D'altro canto Fausto Bertinotti ci ha tenuto a chiarire che non intende affatto porre all'ordine del giorno la costituzione dei soviet degli operai, dei contadini e dei soldati ma che si propone, più ragionevolmente, di riaprire il confronto con i DS per spostare a sinistra il governo, per preparare l'avvento di Massimo D'Alema alla presidenza del consiglio, per rilanciare una politica neokeynesiana che il governo dell'ulivo ha rimandato a tempi da definirsi negli anni passati nonostante le promesse che ha, a più riprese, fatto in tal senso.

Visto che, almeno a questo proposito, noi abbiamo una ferrea fiducia in Bertinotti, riteniamo che effettivamente non stia preparando l'insurrezione e che si proponga, più o meno, di realizzare quello che ha dichiarato.

Vi sono però, come dire, dei problemi marginali che rendono la tattica bertinottiana, nonostante la vittoria interna, tutt'altro che di facile realizzazione. Se, infatti, è vero che l'ulivo non può governare senza e contro il PRC, è anche vero, che sull'altro lato dello schieramento governativo, sono accampati i popolari ed i diniani che non sono certo disposti a farsi sostituire dal PRC nel ruolo di partners privilegiati dei DS. Il carattere alquanto raccogliticcio della maggioranza di governo e le pressioni dei due principali azionisti di riferimento (Confindustria e Vaticano) sembrano rendere impensabile, a breve, la svolta che Bertinotti presenta come fattibile anche se con qualche tensione.

Come è noto, la destra dell'ulivo è dolcemente corteggiata dall'UDR cossighiana che prospetta la nascita di un terzo polo, la buona vecchia DC, in grado di condizionare gli attuali comprimari e di farci tornare ad una situazione politica alla quale molti guardano con rimpianto. Solo la distribuzione in quantità industriale ai popolari e diniani di posti di governo e di sottogoverno ne ha garantito la fedeltà ai DS e un trattamento troppo rude potrebbe spingerli nelle braccia dell'antico amore.

Se, di conseguenza, escludiamo che Bertinotti possa ottenere, a breve, dall'ulivo qualcosa di diverso dal classico osso di plastica (come le 35 ore) con il quale è stato tranquillizzato nel corso delle crisi precedenti restano, e se l'ulivo non imbarcherà subito l'UDR, come pare, due soluzioni: - le elezioni anticipate; - il solito governo tecnico.

Le elezioni anticipate, in una fase nella quale il consenso per il governo è ai minimi storici, anche perché non è stata possibile le classica pioggia di elargizioni con la quale i governi comprano il consenso in fare elettorale, e non pare proponibile un patto di desistenza, condurrebbero alla comune rovina dell'Ulivo e del PRC. partendo dall'ipotesi che né i diessini né i neocomunisti desiderino questa sorte, è evidente che faranno di tutto per scamparla e per trovare soluzioni alternative.

Per loro fortuna, si trovano ad avere, un, come si diceva una volta, alleato oggettivo nel gruppo dirigente della Lega Nord che tutto può desiderare dalla vita tranne che andare alle elezioni in un momento che vede la lega alla frutta per la rottura con una parte consistente della Liga Veneta. Alla Lega Nord serve oggi del tempo per ricucire lo strappo, tentare di riportare all'ovile le caprette venete in fuga, definire una nuova strategia o, almeno, una nuova tattica.

All'UDR il tempo serve per portare avanti il progetto della nuova DC aggregando settori del Polo e dell'Ulivo e, quindi, dovrebbe essere disponibile ad una politica di appoggio al governo tecnico del quale andiamo ragionando.

Gli unici che avrebbero da guadagnare da nuove elezioni a breve ed in questa situazione sono i polisti che, peraltro, non sono in grado, da soli, di imporle.

Di conseguenza, dovremmo, in mancanza dell'osso di plastica al quale si è già fatto cenno, trovarci di fronte ad una fase di ridefinizione degli schieramenti politici con il PRC che dovrà ricucire le lacerazioni interne, sperare che i deputati e senatori cossuttiani non rompano la mitica disciplina comunista e non passino armi e bagagli a costituire il secondo gruppo di "comunisti unitari" della scena politica italiana, i DS che dovranno ricontrattare a destra ed a sinistra i propri spazi di potere, i centristi, e in particolare il leader della CISL D'Antoni, che continueranno l'opera loro ecc..

E' insomma, evidente che Fausto Bertinotti ed i suoi sono meno pazzerelli di quanto può sembrare a prima vista e che ritengono che, a fronte di un governo ulivo più UDR o di un governo tecnico, potranno coprire uno spazio sociale ed elettorale rilevante sena subire l'accusa di aver "consegnato il paese alle destre".

Va anche rilevato che uno scenario del genere non è, di per sé, il migliore per l'opposizione sociale visto che aprirebbe spiragli per le posizioni opportuniste e neosocialdemocratiche il cui svilupparsi verifichiamo in diversi ambiti, dai centri sociali al sindacalismo alternativo.

D'altro canto, gli scenari politici in cui operare non ce li scegliamo noi come non ci scegliamo quelli sociali, a noi si pone il problema di agire nel cuore delle contraddizioni sociali, di quelle contraddizioni che non vengono certo risolte dal prevalere di una maggioranza di governo sull'altra.

Sul piano della lotta politica vera e propria, va, però, condotta un'opera di denuncia delle giravolte del ceto politico di destra e di sinistra. Sarà, quindi, bene ricordare sommessamente agli smemorati professionali che l'attuale maggioranza bertinottiana è composta, in gran parte, da quegli stessi malvagi burocrati cossuttiani, fresche di transumanza, contro i quali pretende di essere sorta, che il programma politico di Bertinotti diverge da quello di Cossutta solo su questioni tattiche e non sui contenuti che pure dovrebbero contare qualcosa, almeno a parer nostro, che i richiami ad un'identità antagonista e le messe domenicali anticapitalistiche nulla aggiungono, nella realtà, alla politica di collaborazione di classe, di concertazione, di subalternità nei confronti dell'ordine sociale dominante dell'apparato del PRC.

Il fatto, poi, che la maggioranza bertinottiana sia rimpolpata da due pattuglie trotzkiste può deliziare i giornalisti in cerca di tocchi di colore ma, di per sé, ed anche lasciando da parte le nostre note divergenze da questa corrente della sinistra, rende solo evidente che nel quadro storico attuale anche il pizzetto di Leone Trotzki può venire utile per una politica riformista. Capita.

Per parte nostra, si tratta di rilanciare l'iniziativa sulle questioni sociali centrali e sviluppare la capacità di cogliere le contraddizioni dei nostri avversari per rendere più forte, determinata, autonoma l'opposizione sociale.

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