Da "Umanità Nova" n. 30 del 11/10/98
Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare della lotta all'ultima azione per il controllo della Banca Commerciale Italiana, storica istituzione bancaria italiana con sede a Milano, in piazza della Scala. La Comit non è più quella d'un tempo, quando il suo presidente Mattioli rappresentava in modo quasi simbolico la sintesi tra tanti "poteri forti": la finanza, l'industria, la borghesia antifascista, un partito comunista indeciso tra tentazione di rompere con il passato e voglia di collaborare alla ricostruzione post-bellica. La Comit non è più neanche quella di Cuccia, la comprimaria di Mediobanca, la pupilla del grande vecchio che per 50 anni ha gestito il salotto buono della finanzia italiana, costruendo giorno per giorno un futuro all'industria privata con l'uso più disinvolto possibile del capitale pubblico. La Comit era allora, insieme al Credito Italiano e alla Banca di Roma, il formidabile braccio operativo di Mediobanca, che gestiva attraverso la rete delle tre "banche di interesse nazionale" la totalità degli aumenti di capitale, la raccolta cioè dei capitali di rischio necessari a finanziare lo sviluppo della grande e media impresa italiana. La funzione storica di Mediobanca è stata quindi chiara: portare ossigeno al rachitico capitalismo italiano, sempre privilegiando la grande industria, gli interessi costituiti, le solite famiglie e i loro consolidati equilibri, soprattutto nelle fasi di crisi e attraverso l'organizzazione dei pool di salvataggio. E' gran parte merito di Cuccia se il capitalismo familiare all'italiana è sopravvissuto ai momenti peggiori, senza mai tirare fuori una lira di suo, addossando sempre allo stato i suoi più clamorosi fallimenti, e salvando sempre il controllo delle parti "buone" della struttura industriale e dei business più remunerativi. Tuttavia la storia va avanti ed altri hanno dimostrato di saper fare lo stesso lavoro di Mediobanca, utilizzando altri reti distributive ed altri interlocutori. Il primato di Mediobanca ha resistito fino ai primi anni `90, poi è cominciata una fase di progressivo appannamento. I principali aumenti di capitale sono stati gestiti, a partire da quel momento, dall'Imi di Arcuti, che ha giocato un ruolo fondamentale nella lucrosa attività di privatizzazione delle principali aziende pubbliche, come l'Eni, ma anche nell'allargamento del libro soci di grandi imprese private, come Mediaset. L'Imi si è così candidato a raccogliere l'eredità di Mediobanca, ed Arcuti quella di Cuccia. A questo punto si è presentata la necessità di operare delle scelte, soprattutto laddove si concentrano i poteri forti: in particolare è entrata in crisi quella che veniva conosciuta come "galassia del nord", l'asse Mediobanca-Generali-Fiat-Deutsche Bank. E' sempre arduo stabilire chi controlla e chi è controllato; tuttavia da come si sono svolti gli eventi si possono azzardare le seguenti ipotesi: 1) la famiglia Agnelli ha cominciato ad entrare in rotta di collisione con Mediobanca e con l'uomo che da oltre 20 anni l'aveva "commissariata", cioè Cesare Romiti. Con circa 180 miliardi di liquidazione se ne sono liberati e l'hanno mandato a presiedere il Corriere della Sera, come potenziale trampolino di lancio per un eventuale futuro da politico; 2) contemporaneamente ha deciso di spostarsi verso settori meno ciclici, come le banche e le telecomunicazioni, entrando attraverso l'Ifi-Ifil nella Telecom e nel San Paolo di Torino, e attraverso la Toro nella Banca di Roma; 3) all'inizio del `98 si è svolta una concitata fase di trattative relativa alle nozze del San Paolo con un'altra banca: tra Credito Italiano ed Imi, la famiglia Agnelli ha scelto la seconda ipotesi e ne ha imposto Arcuti alla guida; 4) questi, grazie alla sua precedente esperienza di direzione al San Paolo di Torino (e dunque di una intesa di vecchia data con il gruppo Fiat) e di una consolidata fama di tecnico, è riuscito a fondere i due istituti sotto il proprio controllo e a costituire un polo bancario potente sia sulla struttura di vendita retail, che sul piano del finanziamento a medio-lungo al settore statale ed al sistema delle imprese, candidandosi dunque a giocare un ruolo di primo piano nella futura ridefinizione del patto di sindacato che controlla la Fiat, in scadenza a fine anno; 5) Deutsche Bank, alleata della Fiat e degli Agnelli, annuncia a sorpresa Giovedì 17 settembre di avere in mano il 5% della Comit, chiedendo un posto in Cda (Consiglio di amministrazione) e dichiarando guerra al controllo esercitato da Mediobanca-Generali-Commerzbank; 6) tutto lascia presupporre che Deutsche Bank non intenda comprarsi la Comit in proprio, ma che abbia speso 1000 miliardi per conto del polo Imi-San Paolo, intenzionato a sfondare direttamente sul terreno della concorrente Mediobanca; 7) nella successiva seduta del Cda Comit il Presidente Fausti viene giubilato perché accusato di essere in collusione con il nemico e come tale aver ostacolato in tutti i modi la fusione con la Banca di Roma voluta da Mediobanca, per dotarsi di una rete di vendita che oggi non ha più. Al suo posto viene nominato Luigi Lucchini, con un mandato non troppo chiaro: è possibile che il vecchio tondinaro sia capace di quadrare il cerchio, fondendo Imi-San Paolo con Comit e poi con Banca di Roma, facendo sorgere finalmente quella grande banca di dimensioni europee che la Banca d'Italia desidera ardentemente. In questo caso Mediobanca perderebbe la partita, ma avrebbe qualche altra ricompensa ancora da definire. La grande partita a scacchi che abbiamo provato a ricostruire la dice lunga sulla portata dei fenomeni di concentrazione che stanno coinvolgendo il sistema bancario ed assicurativo italiano, alla vigilia del varo dell'euro. Quella che fino a poco tempo fa veniva definita la "foresta pietrificata" sta perdendo molte fronde. Nel giro di due anni si sono formati tre rilevanti gruppi bancari: Imi-San Paolo, Banca Intesa (Cariplo e Ambroveneto), Unicredito (Credito Italiano-Cariverona-Banca CRT). Altri gruppi sono in fase di graduale gestazione: MontePaschi-Bam, Bnl-Ina-Bco Napoli, Mediocredito-Bco Sicilia) e così via. Cresce la dimensione media necessaria per ripartire i costi fissi, si riduce la forbice dei tassi, si cercano nuove fonti di guadagno come fondi comuni e fondi pensione, si razionalizza la struttura organizzativa. Ci sono migliaia di posti di lavoro in pericolo ed una crescita esponenziale dei lavoratori in esubero. Presto ci sarà un assalto organizzato al fondo nazionale di recente istituzione per finanziare i prepensionamenti, mentre i lavoratori in servizio hanno davanti un secco peggioramento della paga e delle tutele contrattuali. Tutte le banche coinvolte in processi di fusione hanno nel cassetto un piano di snellimento, per razionalizzare gli organici ed eliminare i duplicati. Si sta accumulando un notevole potenziale di contenzioso e di conflitto, è come una bomba ad orologeria con la carica innescata. La crisi dei mercati di questi giorni, le ingenti perdite finanziarie occorse, le speculazioni sui derivati andate storte potrebbero essere il detonatore che innesca il meccanismo. L'autunno non sarà una passeggiata... Renato Strumia
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