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Da "Umanità Nova" n. 30 del 11/10/98

Immigrazione
La Francia dei campi

Il movimento dei Sans-papiers e le azioni contro le espulsioni hanno messo in evidenza la realtà della politica xenofoba dello Stato francese.

Pilastri di questa politica: i centri di custodia.

"Se lo straniero è indesiderabile, conviene adottare le adeguate misure di allontanamento... Se lo straniero, pur non essendo indesiderabile, ha la possibilità di lasciare la Francia, dovrà farlo entro un periodo di tempo da definire" proclamava una circolare del Ministero degli Interni francese del 5 agosto 1939. Quindi i campi di internamento di Argeles e di Rivesaltes per gli antifascisti spagnoli negli anni 30; i campi di concentramento di Drancy e Pithiviers, vere anticamere dello sterminio nazista, negli anni 40; i campi di lavoro per gli operai immigrati negli anni 50; i campi di prigionia per gli indipendentisti algerini negli anni `60. L'amministrazione francese possiede una buona pratica nella messa in opera e gestione dei campi di ogni genere. Quello che varia, a seconda dei periodi storici e delle tipologie delle popolazioni confinate, è il destino a cui queste vanno incontro.

Negli anni 70, nel paese si sviluppano nuovi modelli di campi: i "centri di custodia". Dopo la rivelazione della loro esistenza clandestina - la scoperta di quello di Arenc a Marsiglia in un hangar del porto - questi campi sono legalizzati dalla lege Bonnet del 10 gennaio 1980. Obiettivo: "custodire" gli stranieri in situazione irregolare per un periodo di tempo indeterminato, per identificare i loro paesi di origine ai fini dell'espulsione. In seguito, le molteplici leggi sul soggiorno degli stranieri hanno continuato ad affermare la legalità di questi campi, aumentando la durata massima della detenzione che oggi va dai 12 giorni (legge Chevenement) ai tre mesi, nei centri di custodia giudiziaria di Aniane (nei pressi di Montpellier), Ollioule e Orleans. L'uso ipocrita del termine "custodia" non riesce a nascondere che in realtà si tratta di internare, raggruppare, concentrare i rifugiati in attesa della loro espulsione, della loro deportazione nei paesi di origine.

Nel 1986 si contavano dodici campi di questo tipo; oggi ne esistono almeno trentadue, ripartiti in tutti i grandi agglomerati urbani, nonché in Guyana. Con una capacità complessiva stimata di un milione di "posti" (di cui quasi la metà nella regione parigina), i centri più importanti, dotati di filo spinato, torrette di guardia e truppe dell'esercito, somigliano a dei veri lager, come quello di Mesnil-Amelot (142 posti), vicino alla pista dell'aeroporto di Roissy, quello di Vincennes (134 posti), costruito all'interno di un'antica fortezza, o quello di Arenc (72 posti) nella zona portuale di Marsiglia; mentre i centri più piccoli possono assumere l'aspetto di una semplice guardina di un commissariato o della gendarmeria.

Oltretutto bisogna anche tener conto dell'esistenza di almeno 82 "zone di attesa" situate all'interno di aeroporti, porti e stazioni ferroviarie, destinate all'internamento degli stranieri intercettati dalla Dicilec (ex polizia di frontiera francese) in seguito al loro ingresso irregolare in Francia.

Chi decide l'internamento ? In un primo momento, i rifugiati fermati in una retata o in seguito a un controllo a vista, sono trattenuti su decisione amministrativa (della polizia) e non giudiziaria; allo scadere delle 24 ore di fermo, l'articolo 35bis della legge Pasqua del 1993, modificato dalla legge Chevenement, dà una svolta giudiziaria alla procedura: i rifugiati vengono condotti davanti a un giudice che potrà decidere se concedere la residenza, liberarli o mantenerli in custodia fino "all'esecuzione delle misure di allontanamento".

"Questa udienza ha luogo a Parigi, in un angusto locale del Tribunale Civile (...) nel quale si ammucchiano il giudice, il rappresentante della prefettura, lo stenografo, lo straniero, l'avvocato, l'interprete, gli agenti di polizia..." testimoniano i membri di una commissione d'inchiesta della Federazione Internazionale per i Diritti del'Uomo (FIDH) istituita nella primavera del 1996. "La durata delle udienze varia dai cinque ai quindici minuti, ma si svolgono invariabilmente in maniera spedita, in un'atmosfera da catena di montaggio", constata la commissione. Perché stupirsi allora se "il giudice che presiede l'udienza non indossa la toga"? D'altronde la maggioranza dei presenti "non si pone alcuna domanda sulle condizioni del fermo o su altre irregolarità". "La Francia non è un ospedale. Può provare negli Stati Uniti. Deve trovare un altro paese che le dia asilo", dichiara il giudice a una irregolare haitiana, incinta, nell'udienza del 6 maggio 1997. "Lei deve vivere la sua vita in Algeria" spiegherà lo stesso magistrato ad un algerino, padre di un bambino di nazionalità francese. Altri, invece, non assumono lo stesso tono paternalista : "Lei è senza documenti ? Si chiama Mamadou ? Ah no, Ali ? E' lo stesso..." è stato detto all'udienza del 7 luglio 1997... Risultato: ogni anno decine di migliaia di stranieri sono inviati nei campi di custodia da una giustizia emergenzialista.

Che fine fanno? Secondo la Cimade (servizio ecumenico di solidarietà), abilitato all'ingresso in questi centri speciali, il più importante, quello di Mesnil-Amelot, vede passare al suo interno circa 7000 rifugiati ogni anno. Un terzo di questi viene espulso, un terzo viene imprigionato per aver rifiutato l'imbarco, gli altri vengono rimessi in libertà. In totale, nel 1995, più di 18000 rifugiati sono stati internati in Francia. Più difficile è sapere quello che succede all'interno di questi campi. La sezione maschile del deposito di Parigi, situata nei sotterranei della prefettura, è da tempo interdetta a tutti gli osservatori esterni, associazioni o avvocati. Anche se un rapporto del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (CPT) ha denunciato fin dal 1991 le condizioni di internamento in questo centro, si è dovuto attendere quattro anni per una decisione della magistratura che ne ha imposto la chiusura nell'aprile del 1995, qualche giorno dopo il brutale pestaggio di un algerino da parte di otto poliziotti, un mese dopo il suicidio di un marocchino nella sua cella e cinque mesi dopo lo stupro di un algerino effettuato da un poliziotto...

In seguito questo centro è stato ristrutturato spendendo la bella somma di 24 milioni di franchi e poi riaperto.

Malgrado la copertura mediatica, il segreto continua a circondare questi luoghi. Un anno più tardi, la commissione d'inchiesta della FIDH ha ottenuto il permesso di visitarne soltanto due: quello di Nanterre (26 posti) e quello di Arenc; le porte dei centri di Bobigny (28 posti), Lille (39 posti) e Mesnil-Amelot sono rimaste chiuse: la parte sommersa dell'iceberg...

Nel settembre del 1995 i muri del centro di Nanterre sono stati scossi da due rivolte dei rifugiati ; nell'agosto del 1997 una cinquantina di sans-papiers hanno intrapreso uno sciopero della fame nel campo di Mesnil-Amelot. Secondo un recente rapporto del CPT, in molti centri i rifugiati detenuti sono privati della possibilità di svolgere esercizio all'aria aperta ; una pratica degna dell'isolamento carcerario, anche se la detenzione non dura che dodici giorni. La FIDH, da parte sua, denuncia "l'onnipresenza e l'ingerenza dell'amministrazione e delle forze dell'ordine a tutti i livelli della procedura" : quello che viene applicato nei centri di custodia è di fatto un regime di leggi eccezionali. Ci si immagini l'atmosfera che regnava nei campi di custodia amministrativa, quando sono state rese note le conclusioni della commissione del CPT (primavera 1998) che accusavano la polizia francese di maltrattamenti nei confronti dei detenuti, in particolare di origine magrebina e africana.

Ma all'uscita dai campi, i metodi non cambiano. Una volta in aereo, gli espulsi sono ammanettati e legati al sedile, spesso cloroformizzati. Un medico del Servizio di Urgenza Medica (SMU) dell'aeroporto di Roissy è stato accusato di aver somministrato loro del Barnetil, un potente neurolettico sotto inchiesta per i suoi effetti collaterali altamente dannosi. Lo Stato francese non bada a spese per mettere in opera la sua politica xenofoba: il forfait convenuto con l'Air France per le espulsioni ammonta a 15000 franchi (circa 5 milioni di lire) per ogni operazione, rifugiato e scorta compresi. Con quasi 400 espulsioni al mese dall'aeroporto di Roissy (secondo la Dicilec), si può stimare un budget "espulsioni" di 6 milioni di franchi al mese (2 miliardi di lire), senza contare quelle effettuate da Marsiglia. Quanto al budget per la custodia,

si può valutare in circa 7 miliardi di franchi in 10 anni. Anche il resto d'Europa è colpito dalla proliferazione di questi campi e dei maltrattamenti che in essi vengono praticati. Lo Stato belga ha deciso lo stanziamento di circa 100 miliardi di lire entro il 2002 per la costruzione di sette "centri chiusi". Nel gennaio 1997, 200 persone che chiedevano asilo, imprigionate a Rochester (Kent, Gran Bretagna), hanno intrapreso uno sciopero della fame. Secondo la National Coalition of Anti-Deportation Campaigns, quasi la metà dei detenuti soffrivano di "problemi di salute mentale o fisica e di traumi dovuti alle torture fisiche, alla malnutrizione e a condizioni sanitarie deplorevoli".

Malgrado le proteste dei difensori dei diritti dell'uomo e della donna e le azioni dirette contro la xenofobia di Stato (collettivo contro le espulsioni in Francia, campagna contro i centri chiusi in Belgio), la fortezza-Europa prende forma nei suoi aspetti più cupi. Non contenta di aver colonizzato e dominato il mondo, di aver strumentalizzato e organizzato la tratta dei neri e di continuare a saccheggiare le ricchezze del pianeta, l'Europa del capitale supera se stessa, gettando via i suoi immigrati dopo l'uso e imprigionandoli in massa.

Estratto da REFLEXes - Ndeg.51 - autunno 1998

http://www.ecn.org/samizdat/reflex



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