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Da "Umanità Nova" n. 31 del 18/10/98

Multinazionali. Affamare gli affamati

E' accettabile che le risorse vegetali che stanno alla base dell'alimentazione "naturale" vengano monopolizzate attraverso un brevetto depositato da qualcuno con l'unico intento di sfruttarlo a fini di profitti privati? è accettabile, ad esempio, che l'acqua non sia più un bene comune?

E' quanto sta avvenendo, sotterraneamente, oggi entro i processi di globalizzazione. Facciamo un esempio nel campo della catena alimentare. La Monsanto è una società transnazionale che da anni sta facendo shopping nel settore per acquistare una posizione predominante. Oggi l'intero comparto è già oligopolizzato: la Pioneer è il principale fornitore mondiale di mais, la Monsanto è il leader dei diserbanti (Roundup) e della soia (e si consideri che il 60% degli alimenti industriali contiene soia e il 25% della soia manipolata geneticamente viene prodotta e commercializzata all'estero dalla Monsanto), altre imprese di rilievo sono la Novartis, la Dupont e la Rhône-Poulenc. Nel 1997, il presidente della Monsanto, l'americano Bob Shapiro, ha potuto annunciare la triplicazione del prezzo d'azione: da 11.50 $ a 45 $ in soli due anni. Tra le varie acquisizioni, nel 1996 ha inglobato per 150 ML $ l'Agracetus, società che deteneva una serie di brevetti per la manipolazione genetica delle piante, mentre nel 1997 ha ingoiato il primo produttore statunitense di mais, la Colgene, per la modica cifra di 1 MLD $. Nel biennio, in totale, la Monsanto ha investito quasi 5 MLD di lire per acquisizione, mentre ha speso nel solo 1996 più di 1.3 MLD di lire per la ricerca biotecnologica. Il risultato è la posizione di leadership nella catena produttiva: per fare un esempio, chi acquista sementi transgeniche è costretto ad acquistare pure il diserbante Roundup, fornito dalla stessa impresa, che rafforza gli effetti nocivi sui terreni agricoli confinanti.

L'intreccio tra società chimiche, imprese agroalimentari e laboratori di ricerca biotecnologica è già fitto: si stima infatti che il business globale ammonti a 220mila MLD di lire. Per mirare dritto al cuore del problema, occorre modificare il processo produttivo, ed uno degli strumenti è quello della manipolazione genetica delle sementi, che distrugge la biodiversità dei terreni: già oggi in tutto il mondo sono oltre 34 milioni di ettari quelli coltivati con semi transgenici. Il guaio che l'ingegneria genetica non è una scienza esatta, e non si conoscono ancora gli effetti sulla fase finale di una catena alimentare manipolata geneticamente: non si sa infatti cosa cambia nell'organismo umano una volta alimentato con prodotti transgenici.

La casta degli scienziati e degli esperti è, come sempre in questi casi cruciali, spaccata tra chi vede con favore la ricerca biotecnologica (magari perché è quella che ne sostiene il ruolo professionale ed il prestigio sociale) e quella che esprime perplessità ad alta voce, invocando prudenza. Non tutte le manipolazioni sono dannose: quelle che trasferiscono l'habitat naturale di una pianta dal cielo aperto a una serra non provocano rischi per la salute. Ma di altri prodotti della "natura" manipolati geneticamente si sa già che possono provocare l'insorgenza di allergie, per non parlare della proliferazione di nuovi tumori sinora sconosciuti.

Ma per dare un giudizio negativo non è necessario aspettare gli esiti di una eventuale ricerca biomedica, che in quanto sperimentale si svilupperebbe solo dopo la manifestazione di patologie inedite e imprevedibili. I rischi ecosistemici per i terreni e le acque irrigue sono già sufficienti per una valutazione di opportunità; l'incremento di energia necessaria per la coltivazione industriale di terreni seminati con alterazioni genetiche ricorda le polemiche relative al soddisfacimento dei bisogni energetici attraverso l'uso dell'atomo. Fare del "terrorismo" sulla popolazione mondiale da sfamare attraverso colture transgeniche che incrementano la quantità della produzione alimentare ricorda da vicino infatti il "terrorismo" dei sostenitori dell'energia nucleare quale unico sistema per soddisfare i bisogni energetici mondiali, calibrati ovviamente sulla misura standard del lusso e della dissipazione energetica dei paesi ricchi a spese di quelli poveri.

Altro fattore di valutazione è la riduzione della politica agroalimentare planetaria ad alibi umanitario - l'emergenza fame sarà ancora la priorità, ad esempio, della negoziazione del futuro V Trattato di Lomé tra Unione europea e paesi ACP (africani, caraibici e pacifici), come dire che dal 1975 ad oggi, dal I Trattato ad oggi poco è stato fatto proprio per via della via umanitaria alla risoluzione del problema agroalimentare nel mondo, e quindi della fame di oltre 1.3 miliardi di individui sulla terra) - di cui la tecnologia transgenica si presta ad essere fedele servitore. Non mutando il sistema di fondo, che comporta la distruzione delle eccedenze produttive e non la redistribuzione, come tutti sappiamo (in Italia l'AIMA sovvenziona, tra l'altro, la macerazione di agrumi meridionali perché la Politica Agricola Comunitaria lo esige, così come ha imposto lo smantellamento dell'industria siderurgica italiana proprio quanto i nostri vicini della riva sud del Mediterraneo ne avrebbero bisogno per adeguare le infrastrutture ferroviarie!), è evidente come l'alibi umanitario nasconda l'organizzazione di un sistema produttivo funzionale ai profitti di un mercato oligopolistico.

Ciò comporta la divaricazione tra imprese transnazionali e produttori agricoli, tra industria e consumo: le ditte sementiere vanno alla ricerca di posizioni di predominio e di redditività a breve termine, mentre gli agricoltori temono la dipendenza dalle forniture, i cui prezzi sono legati a fattori finanziari e speculativi borsistici su cui non possono influire; la retorica del commercio mondiale esalta la flessibilità degli scambi che beneficia gli esportatori, sempre tesi alla riduzione dei vincoli legali, mentre i consumatori non possono fare altro che limitarsi a richiedere controlli di qualità e trasparenza delle etichettature.

Su questo piano l'Unione Europea ha già dato il benestare alla diffusione di prodotti transgenici (nel febbraio 1996 per soia manipolata geneticamente della Monsanto, nel dicembre dello stesso anno per il mais della Novartis) ed ha previsto in un Regolamento del 27.1.1997 dal titolo indicativo "Nuovi alimenti" la menzione nell'etichetta della dizione di alimento prodotto transgenicamente. Non è il caso di scendere nei dettagli, ma basta dire che controversa è la ricerca del livello chimico in cui è intervenuta la manipolazione genetica: sull'etichetta dovrebbe apparire visibilmente e comprensibilmente l'elemento di "differenza" tra prodotto "naturale" e prodotto "manipolato". Se per i derivati di soia e mais transgenici importati dagli Usa esiste tale obbligo, per i prodotti a loro volta derivati da tali derivati (scusate il bisticcio) non è richiesta alcuna etichettura differenziata.

Inoltre è difficile rilevare il gene modificato: la reazione chimica necessaria per verificare l'intervento transgenico (detta PCR, Polymerase Chain Reaction) costa 600mila lire per ciascun sondaggio, e il costo non grava sulle imprese bensì sul sistema dei controlli paese per paese (in Italia i Nas).

Infine, ammesso che l'etichettatura sia una salvaguardia degli interessi dei consumatori delle aree ricche della terra - non certamente di quello di produttori principali, che sono dislocati nelle aree povere del pianeta - quello che è inaccettabile è l'espropriazione di un sapere e di un saper fare che l'umanità nella sua indivisibilità ha sempre detenuto: la facoltà di riprodurre e moltiplicare il vivente, a tutto vantaggio di alcuni privati che controlleranno esclusivamente il processo di valorizzazione e di sfruttamento commerciale. Anche in questa sfera, la globalizzazione dei mercati improntati a politiche neoliberiste è nociva non tanto e non solo per gli interessi dei produttori, quanto per la salute degli individui nella loro globalità, e non in senso metaforico! Va pensata allora un'acquisizione di conoscenza e di consapevolezza politica che condanni le interferenze "capitalistiche" nei riguardi di una "natura" sempre più scrivibile tra virgolette, che conduca alla costruzione di una concatenazione inedita tra consumatori, ambientalisti e produttori agicoli del sud del pianeta, che da una parte inviti a un boicottaggio dei prodotti transgenici, dall'altro ad un sostegno fattivo nord-sud nei confronti di quelle produzioni ancora esistenti che resistono all'invasività tecnologica.

Salvo Vaccaro

box (da "Internazionale", n.224/98)
Per saperne di più via Internet:

Monsanto: www.monsanto.com
Novartis: www.novartis.com
Dupont: www.dupont.com

alcune campagne contro il cibo manipolato geneticamente:

Greenpeace: www.greenpeace.org/~geneng/main.html
Global Genetically Engineered: www.netlink.de/gen/home.html
Pure Food: www.geocities.com/Athens/1527
The Rural Advancement Foundation: www.rafi.ca/

Notizie su sementi e piante:

FAO: www.fao.org/waicent/faoinfo/agricult/agp/agps
www.infobiogen.fr/SDV/pltrans.html



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