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Da "Umanità Nova" n. 31 del 18/10/98

Rifondazione. Scenari del dopo scissione

Mentre, alla fine della settimana passata, ponevo per iscritto alcune riflessioni sulla crisi di governo non prevedevo che la spaccatura del PRC si sarebbe determinata con la velocità e la durezza che, nei giorni seguenti, abbiamo verificato né, per la verità, la davo per scontata.
Può essere interessante notare che, nonostante questa scissione del PRC, uno degli scenari ipotizzati nell'articolo precedente si è realizzato e, cioè, la caduta del governo e una situazione parlamentare tale da rendere probabile, se non certo, il ricorso ad un governo tecnico.
Dobbiamo, a questo punto, interrogarci non tanto e non solo sulle ragioni profonde della scissione del PRC, che sono abbastanza note, quanto sulla sua interna dinamica e sui suoi probabili effetti sul "popolo di sinistra".
La componente cossuttiana del PRC, come è noto, ha rotto la disciplina e l'unità del partito infrangendo il mito dell'obbedienza dei gruppi parlamentari comunisti alla direzione politica ed ha, in questo modo, dimostrato che, nonostante rivendichi l'eredità del PCI, i tempi nei quali i comunisti sapevano obbedir tacendo sono passati definitivamente.
Con la rottura i cossuttiani si sono sottratti a mesi di confronto interno al PRC e ad un congresso che li avrebbe, con ogni probabilità, visti ridimensionati. Inoltre possono mettere a profitto il loro controllo sul gruppo parlamentare, su molti eletti a livello locale, su settori di apparato politico e sindacale e portare in dote all'ulivo non solo un gruppo di vertice, come hanno fatto anni addietro i Comunisti Unitari, ma una struttura sufficientemente consistente ed articolata da essere interessante per un DS che, a furia di trasformarsi in un partito leggero, rischia di diventare ectoplasmatico.

Ritengo che, nel merito delle ragioni della scissione, si possa cadere in due semplificazioni che sono entrambe da evitarsi. La prima consiste nel porre l'accento solo sulle differenze culturali e politiche fra bertinottiani (movimentisti e massimalisti) e cossuttiani (partitisti e burocrati). Come, infatti, si è più volte ricordato queste due anime del PRC, in un certo senso si sono completate a vicenda e, per quel che riguarda l'oggi, molti bertinottiani sono stati cossuttiani sino a poco tempo addietro. La seconda consiste nel porre l'accento solo sui sessanta denari che l'ulivo ha di certo garantito ai cossuttiani come premio per la loro transumanza. è, infatti, innegabile che le scelte di questa componente sono coerenti con la tradizione togliattiana che le forzature bertinottiane, soprattutto nel loro ripetersi, mettevano a repentaglio. Quando Cossutta afferma che si propone la difesa degli "interessi del paese" c'è persino il rischio che lui e molti dei suoi credano a quello che dicono e, d'altro canto, la loro buona o cattiva fede non è al centro dei nostri interessi.
Il fatto è che la rottura c'è e sembra irreversibile, che probabilmente il piede è scappato sul pedale ai suoi interpreti, che lo scenario della sinistra è cambiato.
Se i cossuttiani sfuggiranno al ruolo di cespuglione dell'ulivo al quale sembrano destinati non è facile da valutarsi ma, soprattutto, sarà interessante capire come contino di uscire dall'angolo in cui si sono cacciati i bertinottiani.
è, infatti, assolutamente evidente che, a breve, potranno puntare sull'orgoglio di partito, sull'effetto novità derivante dalla seconda rifondazione, sulle simpatie di aree di movimento che già oggi si compiacciono per la dipartita dei malvagi cossuttiani.
è altrettanto evidente che, sul medio periodo, alcuni nodi verranno al pettine. Mi riferisco, in primo luogo, al necessario ma complicato patto di desistenza con l'Ulivo in occasione delle prossime elezioni, alla situazione negli enti locali e nell'apparato sindacale, agli effetti del dimezzamento dell'apparato e della perdita di burocrati sperimentati nella gestione della macchina di partito. Penso anche, per la verità, al fatto che il nuovo PRC bertinottiano tutto è tranne che un soggetto politico e sociale radicale e che si trovasse costretto o a lasciar cadere le pretese antisistemiche per entrare, in qualche modo, nella maggioranza o ad accettare l'emarginazione dal gioco istituzionale con l'effetto di perdere risorse, funzionari, centri di potere.
Ritengo di non essere troppo avventato se ritengo che la scelta sia obbligata e che sarà quella istituzionale e che, comunque, questa scelta porrà comunque dei problemi visto che lo spazio del centrosinistra sarà alquanto affollato dopo l'arrivo dei neonati comunisti italiani di Cossutta con l'effetto che i DS stenterebbero, anche se volessero, a garantire gli adeguati collegi blindati sia al PRC che ai cossuttiani.
è anche vero che i traditori possono a loro volta essere traditi e che i cossuttiani potrebbero essere buttati a mare ma questa è una possibilità per il futuro.

Qui ed oggi si tratta di porre l'attenzione su di una situazione contraddittoria ma interessante: l'attuale debolezza del movimento di classe non potrà certo essere trasformata in forza da qualche sfilata del rifondato PRC che, perso nei giochi parlamentari ed istituzionali, si radicalizza dopo aver contribuito per anni a bloccare il conflitto sociale e ad indebolire, di conseguenza, la classe stessa. D'altro canto, le tensioni sociali sono tutt'altro che sopite come dimostrano diverse recenti vicende ed una maggior vivacità e spregiudicatezza del PRC potrebbe permettere un qualche radicamento nei settori più combattivi della working class e, almeno per qualche tempo, indebolire il cordone sanitario che la sinistra statalista ha steso intorno alla classe. Nelle fessure che si determineranno l'iniziativa diretta dei salariati potrà incunearsi con effetti da non sottovalutare.

In altri termini il rifondato PRC può essere un elemento di integrazione sociale più efficace che in passato o, al contrario, l'anello debole della catena.

Sta anche a noi operare perché si realizzi la seconda possibilità.

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