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Da "Umanità Nova" n. 31 del 18/10/98

Biotecnologie
Terminator: un brevetto mortale.

Tutti conosciamo Terminator, la saga di film hollywoodiani; adesso scopriamo che ha pure un brevetto americano (US 5723765) ed uno europeo (EP 775212), ma non si tratta di un eroe virtuale dello schermo, bensì di una tecnologia che ha sempre a che vedere con il virtuale, ossia con il manipolato geneticamente. E' il nome di una tecnica per rendere improduttiva una semente, bloccandone così il ciclo riproduttivo. L'obiettivo è presto detto: i contadini che utilizzano più volte le sementi saranno costretti a ricorrere al mercato per acquistarne ogni volta di nuove. E il mercato è dominato da non più di due-tre imprese transnazionali che già da tempo, sommessamente, stanno accentrando nella proprie proprietà azionarie laboratori e tecnologie idonee per la manipolazione genetica delle semi e delle piante. Per restare nell'esempio del Terminator, la società Delta and Pine Land, a sua volta di proprietà della Monsanto, conta di fare affari per 1.5 MLD $ all'anno.

Grazie ai brevetti, gli stati consentono l'accentramento proprietario di tecnologie che pure hanno un impatto notevole sui cicli produttivi alimentari: il risultato indiretto è la privatizzazione di fatto del settore, espropriando i contadini di ogni latitudine del proprio lavoro tradizionale. Non si tratta infatti solo di costi accresciuti per via dell'acquisto di sementi rese sterili, ogni volta che occorre avviare un ciclo produttivo - oggi riguarda il mais, il tabacco, ma domani riguarderà il riso, il grano - ma anche della condanna delle colture tradizionali, biologiche, quelle compiute incrociando e selezionando le sementi migliori in modo da adattarle alla biodiversità del terreno. Uno dei guai delle sementi transgeniche è infatti quello di minare l'ecospecificità dei terreni e delle acque necessarie per irrigarli: è dimostrato come i 40 metri di distanza tra campi seminati e coltivati tradizionalmente e campi seminati e coltivati, per così dire, "artificialmente" è assolutamente insufficiente per salvaguardare le prime colture, che vengono colpire ugualmente dalla sterilità.

Tutto nasce, in teoria (e in ideologia, va da sé), con l'intento "benevolo" di produrre piante inattaccabili da erbicidi, virus, insetti e agenti patogeni in modo da rendere più produttivi i raccolti nel mondo (anche se, sottolineiamolo, il maggior costo di tali sementi compensa quello dell'eventuale trattamento diserbante, certo con minore manodopera...). Il sottintenso è che la sterminata popolazione mondiale, e il trend demografico in crescita non tanto in termini assoluti, quanto relativamente ai paesi più poveri del pianeta, quelli dove la fame è ancora un problema prioritario, siano le ragioni della carenza di prodotto globale alimentare; la tecnologia può essere un volano per incrementarne la quantità complessiva. A ciò va replicato, e da decenni minoranze non fanno altro che ripeterlo, che i dati di partenza sono falsi, che la ragione della fame è l'erosione delle terre fertili non solo per motivi di desertificazione "naturale" (siccità, alluvioni sono eventi "naturali" nella misura in cui urbanizzazione, degrado ecologico, buco dell'ozono ed effetto serra sono effetti "naturali" e non "umani"...), ma anche e soprattutto per la cattiva distribuzione delle risorse alimentari nel mondo. Specialmente se osservate dal metro della dimensione: grande industria agricola, con gli impatti ecosistemici prevedibili, e piccola agricoltura comunitaria. La forbice degli aiuti e del sostegno, anche in questo caso, è a tutto sfavore di quell'agricoltura realmente vicina alle popolazioni affamate, mentre si privilegia la grande quantità da commercializzare.

Come per altre sfere della produzione, anche in questo caso si è dimostrato che l'accentramento industriale in agricoltura promette un incremento produttivo del 10-15%, laddove un sistema coordinato di piccole fattorie diffuse, se sostenute adeguatamente, sono in grado di rendere sino a dieci volte di più rispetto a grandi estensioni monocolture. Inoltre la riduzione della biodiversità dei terreni comporta una progressiva diminuzione della superficie coltivabile, come se non bastassero i già citati processi di desertificazione, di cementificazione dei terreni (per far posto a dighe, autostrade e insediamenti urbani, come è avvenuto in Etiopia e Somalia anche grazie alla cooperazione italiana negli anni Ottanta). Infine, il ciclo residuale della coltivazione, che è sempre funzionale all'ecosistema - le erbacce nutrono animali, le donne le colgono per farne medicamenti, i semi vengono ripiantati - viene sconvolto.

Evidentemente tutto ciò importa poco agli stati che concedono i brevetti, quando non sovvenzionano addirittura la ricerca scientifica! 87 sono gli stati in cui è stato depositato il brevetto del Terminator (Armenia, Australia, Austria, Barbados, Bielorussia, Belgio, Benin, Brasile, Canada, Burkina Faso, Estonia, Cameroon, Finlandia, Grecia, Germania, Italia, Svizzera, Giappone, Togo, Stati Uniti, ecc.): come si vede sono presenti stati ricchi e stati che al loro interno presentano rilevanti problemi di miseria alimentare (in soldoni, la fame: insufficienza di Kgcalorie per abitante, secondo i parametri del Dipartimento allo Sviluppo delle Nazioni Unite, UNDP), e stati che addirittura non hanno ancora realizzato una riforma agraria degna del XX secolo (per non parlare del XXI secolo), come il Brasile.

Salvo Vaccaro



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