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Da "Umanità Nova" n. 32 del 25/10/98

Letture

Vinicio Russo, E lo chiamano sviluppo. Povertà, disuguaglianza e potere nel mondo, Manni, Lecce, 1998, pp. 176, L. 25000

Quali sono le cifre della disuguaglianza nel mondo? e quali le cause più plausibili? questo breve saggio di Russo, cooperatore internazionale di una organizzazione non governativa pugliese, ce li espone con linguaggio semplice e comprensivo, riproponendo con evidenza drammatica la questione sociale del XX e del XXI secolo: la povertà nell'era del capitale globale.

Quel che prima era rilevabile nei contesti nazionali, e che provocò ribellioni e insurrezioni sino all'affermazione di movimenti reali tesi all'emancipazione e al miglioramento delle condizioni materiali di esistenza - cosa che fu parzialmente possibile solo per un frammento delle società del pianeta in cui era all'apice lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo (e sulla donna) - oggi è esteso a dismisura su dimensioni mondiali.

Le cifre in assoluto fanno paura: 50 milioni di "poveri" in Europa, oltre 30 negli Usa, e queste sono le aree di ricchezza inequamente distribuita, figuriamoci poi nei paesi un tempo colonizzati come l'Africa, dove fame e aids, ad esempio, procedono di pari passo a ritmi giganteschi, o persino nelle nazioni "rampanti" come il sud-est asiatico. Anche in termini relativi, la povertà è disuguale se è vero che la soglia è fissata "arbitrariamente" in 500mila lire mensili per sopravvivere in Europa, e analoga somma, ma all'anno, nei paesi un tempo detti in via di sviluppo...

L'autore collega lo sfruttamento e la povertà con l'evoluzione demografica, l'invecchiamento dei paesi ricchi (con sinfrome conservatrice ed egoistica di accerchiamento), il surplus alimentare malamente gestito con iniqua distribuzione e l'artificiale ribasso dei prezzi delle materie prime agricole (ad esempio, liberalizzando il commercio dal nord verso sud, ma non viceversa, con dazi doganali che penalizzano l'esportazione grezza di materie prime di cui il sud è produttore per favorire invece prodotti semilavorati tecnologicamente a tutto profitto delle strutture transnazionali dominate dal nord; oppure semplicemente escludendo la seta indiana dai trattati commerciali dell'Organizzazione Mondiale del Commercio perché i criteri deliberati andrebbero a vantaggio, una volta tanto, dei produttori e non dei commercianti).

Il complesso dei dati e dei legami politicamente significativi dà l'idea di ciò che viene impropriamente definito lo sviluppo umano. Se il quadro è chiaro, manca ancora una elaborazione strategica che possa indicare passaggi e soggetti a livello planetario che inneschino un processo di resistenza attiva e di trasformazione rivoluzionaria ad ampio raggio, muovendo dal territorio locale. Ed è su questo che le letture invitano alla riflessione.

Salvo Vaccaro



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