unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 33 del 1/11/98

Giochi di potere

Non deve meravigliare che uno dei leader della Seconda Repubblica sia arrivato alla presidenza del Consiglio grazie ad un accordo con una delle figure più compromesse della prima repubblica, il tanto discusso Francesco Cossiga. Chi osserva le cose del "palazzo" sa bene che la politica istituzionale é figlia del trasformismo, della corruzione materiale e morale di un ceto politico (i "politicanti") oggi più che mai svincolato dalla realtà sociale. Appaiono ipocrite dunque le accuse di Berlusconi e camerati contro il degrado morale dei voltagabbana approdati all'UDR e dei loro nuovi alleati di sinistra. Questi signori, si fa per dire, dimenticano, ad esempio, che nel 1994 il governo Berlusconi riuscì a superare l'esame del Senato solo grazie al provvidenziale "salto del fosso" di due senatori eletti nelle file del Partito Popolare, squallidi figuri che per questo furono in seguito compensati con incarichi di rilievo. IL pantano parlamentare non può che produrre melma. Ipocrita appare anche la motivazione con la quale d'Alema ha giustificato l'alleanza con i cossighiani. Come é noto il nuovo presidente del Consiglio ha dichiarato di aver accettato il sostegno dell'UDR "proprio per giungere a nuove regole elettorali che rendano impossibile il ripetersi di certi trasformismi". In realtà D'Alema é solo un ipocrita "adoratore del potere" che sa benissimo che Cossiga e di suoi mandanti sono tutt'altro che degli idioti pronti ad andare al macello, cioè ad accettare nuove regole elettorali che in futuro li escludano dai giochi di potere.

Mentre gli stalinisti di Cossutta giurano facendo le corna (riportando così alla mente analoghi gesti fatti negli anni'70 da una vecchia volpe democristiana, l'allora Presidente della Repubblica Leone), e il Presidente del Consiglio ex comunista si dilunga in dotte citazioni... di un altro democristiano, Aldo Moro, il primo governo presieduto da un post-comunista si appresta a far approvare una finanziaria che sembra piacere a tutti ma soprattutto agli ambienti del potere economico e con questo siamo probabilmente arrivati al nocciolo della questione. A chi giovava una crisi di governo in questo momento? Se si riflette un attimo si capisce che erano in molti a non volere le elezioni, ma non le volevano soprattutto gli esponenti del capitale finanziario ed industriale, che hanno l'interesse a vedere proseguire il processo di ridistribuzione del reddito a loro favore iniziato dal governo Amato nel 1992 ed egregiamente proseguito dai governi successivi di Ciampi, di Berlusconi, di Dini e di Prodi. Ma questi interessi forti sanno bene che tale processo ha avuto un solo momento di crisi reale, quello coinciso con l'avvento al potere di Berlusconi: tutti ricordano le grandi manifestazioni contro la Finanziaria dell'autunno 1994 che le sinistre seppero sapientemente pilotare fino alla caduta del cavaliere nel gennaio 1995. Voglio dire che questi ambienti hanno un interesse reale a vedere le sinistre al potere perché solo un governo delle sinistre può garantire il successo della politica neo-liberista evitando lo scontro con il grosso del movimento dei lavoratori. Affidarsi alla sinistra del partito unico é dunque un investimento per gli uomini della Confindustria, ma anche per la massa vociante dei piccoli e medi industriali del "mitico" nord est.

Ma le sinistre sembrano garantire a sufficienza anche la Chiesa che continua a bombardare questo come i governi precedenti con le sue bordate propagandistiche sulla famiglia e soprattutto sulla scuola. E' di questi giorni la diffusione di dati "allarmanti" sullo stato finanziario delle scuole cattoliche di grado superiore. Senza l'intervento dello Stato, dicono gli ambienti clericali, i licei cattolici rischiano il fallimento. Si tratta di argomenti pretestuosi: la Chiesa cattolica ha storicamente privilegiato la costruzione di scuole di livello inferiore (asili, elementari e medie) facendo evidentemente una scelta mirata ai più giovani e quindi meglio plasmabili dall'ideologia cattolica. Pare evidente che con la scusa di voler salvare dal fallimento i suoi pochi licei la Chiesa cerca di dotarsi di quei grimaldelli necessari ad invadere anche questa fascia di scuole.

Pure la Chiesa, dunque, ha tutto l'interesse a condizionare con la melma dell'UDR, oltre che con i peones del PPI , il governo D'Alema.

Naturalmente neppure l'Ulivo voleva le elezioni, timoroso di perderle e quindi di venire ricacciato all'opposizione con la conseguente fastidiosa perdita di posti di potere (leggi manager insediati massicciamente nei posti di comando dell'industria statale in via di privatizzazione). "Il potere logora chi non ce l'ha" deve aver pensato D'Alema ma, probabilmente per decenza, ha deciso di non inserire un'altra citazione di un vecchio democristiano, oggi processato per mafia, nel suo discorso alla camera. Le elezioni non le volevano neppure i neo socialdemocratici bertinottiani, che devono aver tirato un bel sospiro di sollievo alla notizia della formazione del governo D'Alema. Il nuovo governo ha permesso di sputtanare gli scissionisti di Cossutta di fronte ai settori più combattivi del partito ed ha dato un po' di ossigeno ai pochi quadri rimasti fedeli al "leader maximo" che ha bisogno di tempo per riorganizzare le fila e preparare le avances a tutti quei militanti dei movimenti che nei prossimi mesi verranno invitati ad aderire a quello che verrà definito "l'unico partito di opposizione". Su questo occorre fra chiarezza ed evitare ogni tipo di confusione: una cosa é l'opposizione parlamentare, un'altra é l'opposizione sociale e rivoluzionaria. Rifondazione Comunista non ha niente di rivoluzionario, nel senso di una trasformazione radicale della società, ma é solo un'espressione di un progetto che qualcuno ha giustamente definito neo socialdemocratico. Sintetizziamo quello che é avvenuto negli ultimi anni nelle fila della sinistra istituzionale: la crisi del processo di accumulazione capitalistico ha provocato la rottura del compromesso tra stato, capitale e partiti social democratici che aveva dominato fino alla fine degli anni '70, favorendo il successo tra le masse dei social comunisti.

Il fallimento del progetto socialdemocratico ha spinto il grosso dei dirigenti riformisti su posizioni "moderniste", sostanzialmente contigue alle scelte neo liberali del grande capitale, posizioni che stanno trovando nei governi Blair e D'Alema la loro realizzazione pratica. Una minoranza ha invece ritenuto di lasciare i vecchi compagni di strada procedendo col tentativo di rinnovare il progetto socialdemocratico, presentandolo come una sorte di "male minore" capace di lasciare la porta aperta ad una futura sterzata verso il comunismo. Si tratta in realtà della riproposizione del vecchio massimalismo social comunista sempre pronto a scendere a compromessi con lo stato ed il capitale. E' di fondamentale importanza aver ben chiaro che solo una politica che si propone il superamento del regime capitalista e statalista può ottenere riforme radicali e significative. Come diceva il buon vecchio Malatesta una settantina di anni fa, solo la paura costringe i detentori dei privilegi a cedere. Insomma anche le riforme sono una cosa troppo seria per lasciarle fare ai neoriformisti.

La risposta libertaria a questo tipo di manovre, in un contesto generale che vede almeno a livello istituzionale il trionfo dello Stato e del capitale non sta tanto in un inutile massimalismo parolaio, quanto nella capacità di intervenire all'interno dei movimenti, riproducendone la centralità e favorendone la radicalizzazione, ricorrendo al ricchissimo bagaglio teorico e pratico che l'anarchismo fornisce ai suoi militanti e simpatizzanti. Un bagaglio che non ha bisogno di alcuna "rifondazione" poiché si é sempre rinnovato nel corso di decenni di lotte politiche e sociali sempre condotte all'insegna della lotta per una società migliore, sulla basse di un metodo autogestionario e federalista che nell'azione diretta ha il suo fulcro.

Mario Barsotti



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