Da "Umanità Nova" n. 33 del 1/11/98
A ottant'anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, il 4 novembre torna ad essere il giorno consacrato alle celebrazioni di quella "vittoria" e delle Forze Armate. Apparentemente potrebbe sembrare che la retorica patriottica e militarista abbia lasciato il posto alla riflessione e alla ricerca storica; ma così non è, e basta scorrere il programma delle commemorazioni ufficiali che si terranno a Vittorio Veneto e dintorni, per accorgersi che ben poco è cambiato, come dimostra il Raduno Nazionale dei Paracadutisti - corpo peraltro inesistente ai tempi della Grande Guerra - inserito in tale programma celebrativo e tenutosi a fine settembre proprio a Vittorio Veneto, senza che alcuno avesse niente da obiettare o che si ricordasse quali eroiche imprese hanno compiuto in tempi assai recenti i Paracadutisti in Somalia. Ma l'aspetto più emblematico dell'utilizzo politico che ancora si fa di quell'immane strage (soltanto i caduti italiani furono oltre mezzo milione) è la persistente e sistematica censura dell'ALTRA guerra, quella dei disertori, delle insubordinazioni, delle fucilazioni, della rivolta di Torino, di Caporetto: su tutto ciò non c'è "revisione", ma solo oblio. Per questo, coerentemente con il nostro immutato disfattismo antimilitarista, ci piace e ci interessa ricordare il "rovescio della madaglia". Dal 1915 al '19 il totale dei processi iniziati nei confronti dei militari (in maggioranza per diserzione e renitenza alla leva) ammonterebbe secondo alcune ricerche a 1.030.000; di questi 370.000 riguardarono cittadini italiani chiamati alle armi mentre erano all'estero, perlopiù come emigrati, e mai rimpatriati. Le condanne a pene detentive, di cui molte sospese per non allontanare i "colpevoli" dal fronte di guerra, risultano essere state 220.000. Secondo alcuni studi storici, nel triennio 1915 - 18 si registrarono 470.000 denunce alla magistratura per renitenza alla chiamata e 400.000 per reati commessi sotto le armi; inoltre al 2 settembre'19 risultarono celebrati 350.000 processi con 210.000 condanne. Molto più oscuro risulta essere invece il quadro delle condanne a morte. Dalla Relazione della Commissione d'Inchiesta governativa, istituita dopo la disfatta di Caporetto, risultano 729 fucilazioni eseguite durante tutta la guerra in seguito a condanne pronunciate dai Tribunali di guerra. Nella stessa Relazione vengono menzionati solo due casi di "decimazione", senza processo: quello della brigata Catanzaro e quello della brigata Ravenna, rispettivamente con 28 e 18 fucilati; inoltre il deputato Luciani, nel '19, ebbe a dichiarare in Parlamento che in totale, durante l'intero conflitto erano state eseguite 843 fucilazioni ossia che, oltre alle 729 avvenute dopo "regolare" condanna, 114 militari erano stati uccisi con esecuzione sommaria o per decimazione di reparti. Questi i pochi dati ufficiali, in contrasto con le stime espresse dalle recenti indagini storiografiche che ipotizzano oltre 2.000 soldati italiani fucilati per decimazione o in modo sommario nei reparti di linea e nei reggimenti di marcia, e intorno alle 5.000 le fucilazioni senza processo tra i soli "sbandati" di Caporetto. Ma l'indagine storica quest'anno almeno un regalo ce l'ha fatto, rivelando come morì il generale Antonio Cantore, eroe nazionale e oggetto di numerosi monumenti e lapidi, caduto sulle Tofane il 20 luglio 1915. Secondo le versioni ufficiali Cantore era stato colpito da un "cecchino" austroungarico, ma da un attento esame del foro lasciato dalla pallottola mortale sul suo berretto si è scoperto che l'arma che l'aveva sparata era sicuramente italiana e, d'altra parte, è noto che dopo la morte di Cantore gli alpini fecero festa per una settimana. M.R. Per chi vuole approfondire:
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