unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 33 del 1/11/98

La posta dello zio Ciro

<<Zio Ciro, senti un po'. Come avrai notato da tempo gli handicappati fanno parlare di sé. Questa volta però non si tratta più delle solite umiliazioni, offese, ingiustizie che sono costretti a subire da una società che se può fare a meno di loro è ben contenta. No! Questa volta gli handicappati sono portati ad esempio per la loro ferrea volontà di "riuscire" anche in condizioni di assoluto svantaggio; come Aimee Mullins che, sebbene ad un anno le hanno amputato le gambe, a 22 anni è diventata una top model sfilando su una passerella di Londra con corpetto di cuoio, pizzi, trine e protesi ricamate col colore dei fiori.

E che dire delle foto di Oliviero Toscani per la pubblicità della Benetton che ha scelto per la nuova campagna proprio loro, gli handicappati, con i loro sguardi in primo piano, fiere espressioni di una diversità fisica che non può essere nascosta. Anzi, come nel caso della top model, è proprio l'handicap ad essere ostentato, divenendo manifesto di una condizione che - finora - era sempre stata relegata ai margini di una carità pelosa e di una compassione untuosa Perché tutta questa "visibilità"? Cosa si cela dietro a questa ennesima miseria della spettacolarizzazione? O è meglio dire spettacolarizzazione della miseria?

Gianfranco, handicappato.

Non so cosa rispondere. Innanzitutto ho un dubbio: devo iniziare con "Caro Gianfranco", o è meglio "Caro handicappato"? Non è certo questione di poco conto. Perché, come certo saprai, nessuno si sente diverso finché qualcuno non gli fa pesare la sua diversità, discriminandolo, emarginandolo o semplicemente ignorandolo. Così è se nel rispondere, ancor prima di argomentare la mia opinione, io penso: "sto rispondendo a un handicappato ad un omosessuale a una donna a un bambino" e da questa differenza ne elaboro mentalmente una diversità determinata da un pre-giudizio che condiziona inevitabilmente il mio rapporto con "l'altro".

Facciamo così: io ti rispondo nel modo in cui tu hai voluto pormi la domanda, accettando in questo modo un dialogo fra uguali che sanno di essere diversi (tu fai le domande e io rispondo) e che accettano questa momentanea diversità come condizione del dialogo. Per di più, ai nostri e agli altrui sguardi siamo "invisibili", e questo è ciò che ci differenzia maggiormente da chi vuole rendere visibile qualunque cosa, anche la "meno bella da vedere" fa "pubblicità progresso".

Eppoi l'immagine dev'essere sempre bella, per cui tutte le immagini sono soltanto belle, e quindi sono tutte uguali nel loro essere belle. Senonché la pubblicità, la moda, sono costantemente alla ricerca di nuove immagini della realtà che oltre ad esser "belle" devono essere "vere", in quanto la realtà dell'immagine è ormai satura degli stessi volti, stesse situazioni, tessi fondali, stesse emozioni. Così - in questi due settori in cui sembra ci sia la maggiore concentrazione di "creativi" - è scattata l'idea geniale: perché non proviamo con gli handicappati che in quanto "immagine" sono le meno sfruttate e quindi le più "vere"?

La "verità" di queste immagini, però, non é sull'handicap, perché paradossalmente è proprio l'handicap ad esser nascosto in quanto esse mostrano un soggetto disabile (la top model senza gambe, il ragazzo down) che non solo non accusa nessun svantaggio derivante dal suo handicap, ma addirittura diviene il simulacro ideologico del "successo", della "vittoria", della "bravura", al punto da suscitare la più banale delle reazioni umane, ossia: <<se lei/lui ci sono riusciti figuriamoci noi, normali>>.

Ciò non significa affatto che la società ha accettato gli handicappati e si è fatta carico della loro realtà (ossia dei loro piccoli - ma grandi, perché a volte insormontabili come un gradino di qualche decina di centimetri - problemi quotidiani); piuttosto ha iniziato a sfruttarli come immagine positiva di una società democratica, vicina a chi è in difficoltà, ha bisogno, e non deve per questo più essere emarginato. L'immagine di una società che - perlappunto - non ha nulla a che vedere con la realtà di questa società. Quello che supponevi tu, mio caro Gianfranco: una spettacolarizzazione della miseria a riprova di quanto sia misera questa società e la sua spettacolarizzazione.>>



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