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Da "Umanità Nova" n. 34 del 8/11/98
Mentre negli Stati Uniti Arafat e Netanyahou firmano accordi che sembrano preludere più alla guerra che non alla pace e gli estremisti religiosi delle opposte fazioni si scatenano, c'è chi in Israele e in Palestina lavora concretamente alla costruzione di una pacifica convivenza fra i due popoli. Di queste azioni si sa poco o nulla per questo riportiamo la cronaca, liberamente tratta dal ndeg. 84/85 luglio - agosto 1998, di "The other Israel" (POB 2542, Holon 58125, Israel), della campagna iniziata la scorsa estate dai pacifisti israeliani contro la rivoltante pratica di demolire nuove costruzioni palestinesi.
Fra assassini e demolizioni Il 23 giugno, sotto il sole cocente di mezzogiorno, una cinquantina di militanti di diversi movimenti pacifisti israeliani si ritrovano nel soggiorno della casa della famiglia Abu-Turki, nel piccolo villaggio palestinese di Hirbat Kilkas, a sud di Hebron. Il capo della famiglia era stato ucciso qualche giorno prima da due adolescenti provenienti dalla vicina colonia ebraica di Beit Hagai. Il direttore della scuola di Beit Hagai aveva scandalizzato Israele definendo l'assassinio come una "giovanile scappatella". Mentre la figlia del defunto, una bambina di nove anni, teneva agli invitati un discorso sorprendentemente eloquente e adulto, un palestinese ha fatto irruzione nell'appartamento annunciando che l'esercito stava per demolire alcune case vicino a Yatta, un villaggio situato a una ventina di Km da Hirbat. Dopo aver preso congedo con emozione dall'addolorata famiglia, i membri di "Gush Shalom" si sono precipitati verso le loro vetture, al fine di raggiungere Yatta. Quando hanno raggiunto il villaggio i militari erano già partiti mentre la famiglia Ibrahim si trovava disperata di fronte alle rovine di quella che fino a due ore prima era una fattoria moderna situata in mezzo alla loro proprietà. Non c'era più niente da fare se non dire "Siamo desolati per voi, ci vergogniamo, lo diremo al mondo intero". Fatti come quelli descritti avvengono sempre più spesso . Quando si gira tra i villaggi palestinesi, si vedono le rovine, si ascoltano le lamentele delle famiglie che vivono nel terrore dopo aver ricevuto l'ordine di demolizione della loro casa e attendono da un momento all'altro, di giorno come di notte, l'intervento dei militari e dei bulldozer. I giornali palestinesi riferiscono abbondantemente di questi fatti mentre la stampa israeliana si limita quasi sempre a pubblicare brevi comunicati dell'esercito sulle "costruzioni illegali" e le "contravvenzioni alla legge".
Palestinesi fuori legge La legge in questione può essere così riassunta: un palestinese non può mai ottenere il permesso per costruire sulla terra dei suoi antenati mentre i coloni ottengono immediatamente l'autorizzazione a costruire sulla stessa terra dopo che è stata confiscata ai palestinesi. Da giugno il ritmo delle demolizioni si è considerevolmente accelerato, forse a causa delle voci sul "dopo dispiegamento" che dovrebbe provocare il divieto di utilizzare i bulldozer. I militanti del CAHD, il comitato israeliano contro le demolizioni di case, sono sovraccarichi di lavoro. Anche i "rabbini per i diritti dell'uomo" si sono interessati al problema. Parecchi altri movimenti israeliani per al pace, come delle ONG palestinesi, i volontari americani dei gruppi cristiani per la pace portano il loro sostegno a questa campagna. Tutto ciò comporta un lavoro intenso. Occorre raccogliere tutti i documenti sui brutali interventi con i dettagli più sordidi, informare la stampa locale e internazionale, moltiplicare gli sforzi per attirare l'attenzione e la simpatia dei media israeliani (con un certo successo con il quotidiano di sinistra "Ha'artz", con un successo discreto per i due canali televisivi, con risultati praticamente nulli per quanto riguarda la grande stampa). Messaggi sono inviati anche all'estero tramite le reti telematiche e sembra che il gabinetto del premier Netanyahou cominci ad essere preoccupato per il numero di fax, telegrammi e lettere di protesta che stanno arrivando un po' da tutto il mondo. Manifestazioni e presidi sono organizzati sia in Israele che di fronte ai consolati israeliani in altre parti del mondo, con la parola d'ordine "i palestinesi hanno bisogno della casa, gli israeliani hanno bisogno della pace". Per due settimane una tenda montata dal "Comitato palestinese per la difesa della terra e del diritto" ha girato nelle città e nei villaggi della riva occidentale dove erano state demolite delle abitazioni, al fine di protestare contro tali demolizioni, attirare l'attenzione dell'opinione pubblica e assicurare alle famiglie e alle comunità palestinesi la solidarietà degli israeliani. L'iniziativa ha anche cercato di costringere i parlamentari a prendere posizione contro quest'infamia. Per questo la tenda è stata posta per alcuni giorni di fronte alla sede del parlamento israeliano.
"Nazisti!" Forse l'effetto maggiore di questa campagna è stato l'episodio avvenuto il 9 luglio, quando un gruppo di militanti pacifisti di Gerusalemme, fra i quali un deputato del gruppo Meretz (sinistra parlamentare), che si stava dirigendo verso il villaggio nel quale si trovava la tenda itinerante, veniva informato che una casa stava per essere demolita ad Anata, alla periferia di Gerusalemme. Il gruppo ha allora deciso di dirigersi verso il villaggio e ha sorpreso i militari mentre erano in piena azione di demolizione della casa abitata da Selim e Arabjeh Scawamreh e i loro bambini. I fatti sono stati riportati da Gila Svirsky, giornalista di "Ha'aretz" e militante del gruppo "Bat Shalom", provocando un grosso scandalo nazionale. Il duro scontro tra militanti pacifisti e militari ha attirato l'attenzione della grande stampa israeliana molto più del calvario della famiglia Scawamreh, ben più dell'utilizzazione delle armi da fuoco da parte dei militari contro gli abitanti di Anata che ha provocato 11 feriti fra i quali un giovane di 15 anni che ha perduto un rene. Anche l'estrema destra ha riferito l'episodio, lamentando il disagio dei militari, offesi dal fatto di essere stati trattati da nazisti dai loro connazionali. "Come hanno potuto definirci nazisti - ha dichiarato l'ufficiale che comandava l'unità impegnata ad Anata - noi ci siamo limitati ad eseguire gli ordini, senza provare alcun sentimento". Commentando l'accaduto il noto pacifista israeliano, Uri Avnery ha scritto su "Ma'ariv" del 20 luglio: "Ho molto riflettuto su queste parole. E' evidente che l'ufficiale si riferiva al fatto che i nazisti uccidevano gli ebrei. Egli non sa che per un'intera generazione le parole `noi non facciamo che eseguire gli ordini' si sono impregnate nella coscienza ebraica come lo slogan ripetuto sino alla noia dai criminali di guerra tedeschi. Il fatto che i militari sostengono di non aver provato alcun sentimento rende la cosa ancora peggiore. Rimane il fatto che i manifestanti erano persone rispettabili, non accusabili di estremismo; fra essi due professori universitari e il rabbino capo di Strasburgo. Come è possibile, dunque, che tali persone abbiano potuto usare un termine così spregevole? Tutti i giorni sentiamo parlare di demolizione di case palestinesi costruite `fuori legge?. Spesso si leggono solo poche righe sui giornali. Ma quando capita di vedere tali demolizioni con i propri occhi ci si rende conto che si tratta di azioni orribili. Un bulldozer avanza verso un muro, morde una prima volta, poi una seconda, una terza fino a che il muro si incrina e crolla a terra in una nuvola di polvere. E questo non è il peggio. Si odono i pianti degli uomini, delle donne e dei ragazzi, si vedono i loro magri averi sparsi per terra attorno a quella che era la loro casa. E' solo perché il cuore di questi soldati si è indurito che essi possono effettuare questo lavoro senza provare sentimenti". Per informazioni: CAHD, Tveria St, 37, Jerusalem (a cura di M. Z.)
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