![]() Da "Umanità Nova" n. 35 del 15/11/98 Mercanti di fumo a Buenos AiresLa IV Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici che si è tenuta aBuenos Aires a partire da lunedì 2 novembre ha ancora una volta dimostrato quanto sia incompatibile lo sviluppo economico capitalista con la difesa dell'ambiente. Ma ciò che ha maggiormente impressionato è stata l'ipocrisia assunta dai delegati dei Paesi industrializzati nell'accusare -- prima-- i Paesi in Via di Sviluppo di essere i maggiori responsabili dell'emissione dei gas di serra che provocano il surriscaldamento del Pianeta, esuccessivamente barattare la loro quota di inquinamento in cambio di aiuti allo sviluppo sostenibile in questi Paesi. La prima Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo, svoltasi a Rio de Janeiro nel 1992 aveva sottolineato che per realizzare uno sviluppo durevole, la protezione dell'ambiente doveva costituire parte integrante del processo di sviluppo e non poteva essere considerata isolatamente; inoltre il diritto allo sviluppo doveva essere realizzato in modo tale da soddisfare equamente i bisogni delle generazioni attuali e future, relativi sia allo sviluppo che all'ambiente. Sono trascorsi appena sei anni e ben altre due Conferenze sul Global-Warming provocato dall'effetto serra si sono svolte a Berlino e a Kyoto, con il risultato che non solo le emissioni di gas inquinanti non sisono mantenute al di sotto della soglia concordata del 5%, ma alcuni Paesi (in primis gli USA) hanno aumentato unilateralmente la loro quota inquinante del 15%, contestando addirittura i criteri con i quali si era stabilito di abbattere l'inquinamento atmosferico. Presentata la questione in questo modo, sembrerebbe che l'incapacità di adeguare lo sviluppo economico alle compatibilità ambientali spetti all'egoismo e alla cattiveria dei Paesi ricchi che si rifiutato di applicare gli accordi sottoscritti-- ma non ratificati -- lo scorso dicembre in Giappone fintantochè i PVS non si decidono a ridurre le loro emissioni di gas inquinanti, prodotte da una crescita industriale legata soprattutto a produzioni ad alto impatto ambientale (siderurgiche e petrolchimiche in modo particolare). Industrie che furono delocalizzate a partire dalla metà degli anni '70 proprio in questi paesi per sfruttare l'eco-dumping (la scarsa tutela giuridica dell'ambiente) da parte delle società transnazionali come la statunitense Union Carbide, che altrimenti non avrebbero più potuto produrre sostanze nocive a causa di una legislazione severa ed attenta alla tutela dell'ambiente nei Paesi ricchi (do you remember Bophal?). In realtà la globalizzazione dell'economia -- sancita fin dal 1944 con gli accordi di Bretton Woods attraverso la crescita economica accelerata tramite il libero scambio dei prodotti e la deregolamentazione degli investimenti finanziari-- ha fatto sì che i paesi del sud del mondo aprissero le frontiere e convertissero le proprie economie da una produzione diversificata, tendente all'autosufficienza locale, ad una produzione destinata all'esportazione sul mercato globale. Il che vuol dire che da fornitori di materie prime e risorse non rinnovabili (come il petrolio) sono diventati soprattutto fornitori di ambienti per le produzioni altamente inquinanti, e per i rifiuti tossici, finendo per dispensare ai padroni del Pianeta le riserve di acqua, terra, foreste, aria, da tutti considerate risorse "rinnovabili". Che questa situazione possa ora essere posta sotto stretta sorveglianza da parte di una Conferenza Mondiale dell'ONU, non solo appare ipocrita, ma addirittura si presenta come una beffa. Non tanto perché i lavori che si stanno svolgendo a Buenos Aires assomigliano ad un mercatoin cui si cerca di "vendere fumo", ma perché dinnanzi ad un mercato economico che si è esteso al di là dei confinidegli Stati, il raggio d'azione delle autorità governative è del tutto inadeguato acontrollare (ed eventualmente sanzionare) il reale potere dellemultinazionali. Di conseguenza l'effettiva funzione di gestione etutela del territori è passata dalle mani degli Stati (anche se uniti in un'assiseinternazionale) a quelle delle multinazionali, che per loro natura servono solo gli interessi a breve termine dei loro azionisti più potenti. Forse che l'indice Dow Jones della Borsa di New York è così sensibile all'effetto serra da disinvestire nella produzione industriale cinese, brasiliana o sudcoreana? E il guadagno? Jules Elysard.
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