unlogopiccolo

Da "Umanità Nova" n. 35 del 15/11/98

La metafora texana di Cofferati

Da qualche tempo è di moda, nel mondo politico ed economico, darsi alla fumettologia, additando, come nume ispiratore e modello da emulare, questo o quell'eroe di carta. Il nuovo corso, che pone in soffitta i vecchi modi di riferirsi a un decisivo maestro di pensiero, è inaugurato da Veltroni con le sue "figurine", seguito a ruota da un Bertinotti, già amante di Tex ma che ora preferisce Dylan Dog e da Il Sole 24 ore che sponsorizza l'Euro utilizzando il signor Bonaventura (ricco ormai da far paura). Ora è la volta di Cofferati, il quale, addirittura, scrive un libro per dimostrare che Tex, il ranger delle praterie, rappresenta la quintessenza del sindacalismo. Naturalmente ci troviamo di fronte a una operazione di lifting ma quella di Cofferati è una boutade che non ci lascia indifferenti, in un momento in cui sindacalisti di regime, governi e imprenditoria, scambiandosi di ruolo, si sono concertati per infondere il bene all'Azienda Italia. La concertazione, sappiamo, è quel patto di complicità, stipulato tra i detentori del potere reale, di cui necessita il capitalismo italiano per traghettare, senza troppi scossoni, dentro quel grande Far West che è il mercato globale. Come un trio per archi, orchestrato dalla genialità del Fondo Monetario Internazionale, i tre eseguono monotonamente la partitura (stampata a Maastricht) del loro brano più noto dal titolo Pagherete caro, pagherete tutto. Ma nei saloon della frontiera, così privi di regole, l'invito a non sparare sul pianista perde senso. Nel West, sappiamo, sopravvivono solo chi spara più velocemente, buono o cattivo che sia, e chi è più scaltro. Cofferati, naturalmente, sta dalla parte dei buoni, ama gli eroi e dal bravo ragazzo che è vi si identifica. E' così che, stanco di un mondo senza regole, decide di indossare i panni del suo eroe preferito, amato fin dalla più tenera infanzia: Tex Willer. Come lui intere generazioni si sono formate leggendo fumetti e una quantità pressoché infinita di fumetti è stata stampata appositamente per formarle intorno a certi valori. Potente mezzo pedagogico di massa, la fumettistica è stata essenziale, col cinema e la radio, in epoca pre televisiva, alla comunicazione di regime. Affezionarsi a questo o a quell'eroe era già, per un giovane, formarsi a certi valori, darsi una struttura ideologica non ancora compiuta ma già orientata, introiettare il particolare senso di giustizia che animava l'eroe preferito. Tutti gli eroi dei fumetti, buoni per definizione, non sono però mai schierati contro le istituzioni e se lottano contro cattivi potentati, è perché questi sono "deviati" o "corrotti". Il Tex di Cofferati, però, rispetto ad altri eroi, spesso solitari e genericamente giustizieri, è un ranger ovvero un uomo del governo. Particolare non trascurabile che svela la natura intrinseca del texano Cofferati il quale, degno discepolo di Lama, suo vero maitre a penser, del personaggio bonelliano evoca il suo ruolo istituzionale, delineando e pubblicizzando, in maniera netta, le coordinate di una eroicità a suo modo ritrovata. Co-traghettatore del capitalismo italiano verso nuove e più lucrose frontiere, era naturale che il nostro, attingendo ai fumetti per costruirsi il look, scegliesse i panni di un ranger, prendendolo a modello per suggerire alla sua platea qual è la giusta interpretazione da dare al sindacalismo di mercato che incarna. Per Cofferati "Tex è un avvocato dei poveri e il sindacalista ha, più o meno, la stessa funzione (...). Uomo bianco, viene nominato capo di una tribù di indiani e stabilisce con la loro diversità un rapporto di rispetto e di integrazione". Come Tex, quindi, Cofferati è l'uomo bianco, capo di una tribù, per propria ammissione, diversa da lui (i lavoratori) e lui, lettore di fumetti più che di libri di storia, stabilisce con quella tribù , ma poi lo farà anche col generale Custer e con Buffalo Bill, un rapporto di rispetto e integrazione (a chi, a cosa?). Con acume d'aquila della notte, il buon ranger, guida la sua generosa tribù verso il bene, incurante delle perdite che sacrificalmente questi lasciano dietro di sé. Da buon ranger vede, si, l'ingiustizia sociale, la vessazione padronale, il ricatto del lavoro e se ne dispiace ma il suo mestiere è lavorare per conto del governo e trovare la pista giusta. Una pista che però è poco visibile a causa della carenza di regole. All'Aquila Cofferati, quindi, non interessano le eventuali perdite, al massimo se ne dispiace, ma le regole, e sentenzia: "L'origine della tensioni sociali sta nella mancanza di regole, motivo centrale di conflitto nelle storie di Tex. In Tex la legge è una costante. L'unica cosa che nelle storie di Tex non cambia mai è il valore della legge. A violarla sono sempre i forti, mai i deboli. I deboli non usano mai la forza, si rivolgono al ranger. Una lotta che sfocia nella violenza non rende più forti i promotori: uno sciopero nei servizi crea disagi insuperabili ai cittadini e isola i lavoratori". Naturalmente per la nostra Aquila delle praterie cittadini e lavoratori sono due tribù diverse e se una sciopera fa violenza all'altra. L'acume texano di Cofferati tralascia di notare come le leggi, da sempre, le fanno i forti e attenervisi, soprattutto in fase conflittuale, significa assoggettarsi ai forti, e quindi, giocoforza, scendere con essi a patti, contrattando, concordando, accordando, fino a concertarvisi, in una corsa al massacro che può fare comodo solo al ranger di turno, ai suoi interessi personali o di partito. Altro che avvocato dei poveri! Impoverita e fiaccata da decenni di menzogne e di imbonimenti, a quella tribù ormai allo stremo resta un'unica possibilità per non soccombere del tutto: cacciare dal villaggio qualsiasi avvocato di cause perse, capace solo di barattarla da dietro le quinte. I lavoratori non sanno cosa farsene di capi così, tantopiù se bianchi e diversamente orientati. Ma Cofferati la sa lunga e, disarmata la tribù, strematala, insiste nel guidarla nella notte, fidando che nel buio la concertazione con gli ex nemici, si fa per dire, venga accettata come una necessità ineluttabile per superare il guado, per uscire dalla palude e trovare il paradiso. L'opportunismo cofferatiano giunge all'acme quando si tocca la questione dei partner. Sappiamo che Tex, senza i suoi fedeli pard è come dimezzato, come il visconte di Calvino. Infatti CGIL, CISL e UIL hanno, fin dagli anni sessanta, formato un affiatato trio per allietare, sempre con la stessa musica, le loro tribù, già combattive, calmandone i bollenti spiriti. Ora però che la prateria ha mostrato la sua vasta infinità, quel trio storico, fattosi uno e trino, pur recitando il gioco delle parti, ha cercato, e trovato, altre affinità, altri pard, unitariamente galoppanti verso un presupposto bene comune (del Paese!). Così il nuovo Tex (di) Cofferati, novella mosca cocchiera, vola nel buio per consegnare la sua cavalcatura a chi vuol farne bistecche: confindustria e governo. Scontato che un ranger non considera cattivo chi persegue il bene (il bene del Paese), ne consegue che cattivi sono tutti coloro che tale bene ostacolano e per Cofferati è bene che ci si attenga alle regole (quali?) e cattivi sono coloro che non le rispettano (chi?). Sappiamo, però, che, da che mondo è mondo, le regole le impongono i più forti, quindi è cattivo chi intralcia l'incedere dei forti, chi ostacola il tranquillo e profittevole cammino del capitalismo italiano attraverso la prateria (leggi pirateria). Guai, quindi, a chi non comprende questa semplice verità e osa andare controcorrente, sia all'esterno che all'interno del mondo del lavoro. La realt^, Tex o non Tex, si rivela con tutta la tragicità che nessun fumetto potrà mai rappresentare e la questione essenziale, offuscata dal nostro con un fumoso eloquio, è che Cofferati, in nome di un'idealità liberista acquisita in fase formativa, considera normale lo sfruttamento legalizzato e si scaglia, da giustiziere prezzolato, contro quello non ancora legalizzato o palesemente illegale. Differenziare, però, tra sfruttamento legale e sfruttamento illegale è questione di lana caprina perché lo sfruttamento, legale o illegale che sia, sempre sfruttamento è e rimane. Ma per il segretario della CGIL (e gli altri sindacalisti di mercato) i lavoratori sono ormai solo risorse, al pari delle altre, come quelle hanno un senso (economico) solo se vengono sfruttate (altrimenti che risorse sarebbero?) e per essere utilizzate profittevolmente, quindi, devono poter permettere particolari performance a chi se ne deve servire. Per le nuove frontiere del capitalismo le risorse umane debbono essere estremamente mobili e flessibili, sia in entrata che in uscita, ottimi eufemismi per cassare termini quali: licenziamento, trasferimento coatto, aumento indiscriminato del carico di lavoro, innalzamento dell'età lavorativa, taglio del salario diretto, indiretto e differito. Poiché un buon ranger è pagato per garantire il rispetto delle regole, una volta stabilite, queste debbono valere per tutti, sfruttati compresi. I deboli, pertanto, restano deboli (e tali devono restare altrimenti nessun Tex avrebbe più ragione d'esistere) e se si incazzano e prendono l'iniziativa, come il buon Marlon Brando di Fronte del Porto, uscendo dalle regole concertate, diventano automaticamente cattivi e se sono anche violenti (scioperano autonomamente senza il benestare del ranger) la questione si trasforma, su due piedi, in problema d'ordine pubblico, area in cui il ranger Tex Willer, come tutti i ranger, sguazza per sua natura.

Santo Catanuto



Contenuti UNa storia in edicola archivio comunicati a-links


Redazione: fat@inrete.it Web: uenne@ecn.org