![]() Da "Umanità Nova" n. 35 del 15/11/98 La posta dello zio Ciro
Caro Zio Ciro, hai mai giocato al SuperEnalotto? Te lo domando in quanto mai e
poi mai avrei pensato di essere fra i partecipanti di questa forsennata (e per
me inconcludente) corsa a diventar miliardari. Eppure anch'io - due volte alla
settimana - ci provo coi numeri. Niente di strano, ovvio. Chi non ha mai
giocato nella sua vita? Sennonché mi pare che questa volta più
del "gioco" il SuperEnalotto è divenuto il simulacro di una
società che ha ormai relegato la possibilità del cambiamento (sia
individuale che collettivo) alla buona sorte, al punto da non accettare
più alcuna scommessa che "le cose cambieranno per davvero", ma soltanto
che "le cose cambieranno per fortuna".
Caro Fortunato, ho appena finito (mannaggia!) di stracciare la schedina cosicché eccomi qui a risponderti. Dicevi bene: il "gioco". Se esiste qualcosa di perennemente assente nella società capitalista questo è il gioco. Per due semplici motivi: primo, non può esistere attività gratuita; secondo si deve sempre e comunque vincere. Ora giocare vuol dire divertirsi e il divertimento è per sua natura un "passatempo"; sennonché ci hanno sempre obbligato a credere che "il tempo è denaro" e che quindi bisogna saperlo spendere e non buttarlo via, "perdendo tempo". Quindi se si deve proprio giocare, bisogna farlo da professionisti, ossia vincendo: costi quel che costi! E chi è più professionista nel gioco delle scommesse se non lo Stato? Allo Stato scommettitore non solo gli importa di non perdere, ma gli preme che siano in molti a perdere, facendo in modo però che tutti credano di poter vincere. Così è per la Sisal e il Lotto e tutte le lotterie che da fine d'anno son passate a mensili, settimanali, giornaliere e a ore. Anzi, possiamo dire che la periodicità delle scommesse di Stato ed il loro stratosferico montepremi è direttamente proporzionale alla miseria materiale e culturale della società. Più un Paese è povero, più le lotterie statali sono ricche. Che poi la speranza che "le cose possano cambiare" si affidi ormai soltanto alla fortuna, è sicuramente un triste segno dei tempi, poiché denuncia nella sua semplice quotidianità quanto questa vita sia proprio una vita di merda, al punto che neppure è possibile trovarvi in essa un barlume di speranza in un mondo nuovo. Un "mondo nuovo" che Durruti e gli anarchici del '36 sapevano di portare nei loro cuori. Quindi, mio caro Fortunato, se vuoi proprio "giocare" non ti resta che vincere. Se poi vorrai lavare la tua coscienza di rivoluzionario in pantofole, dai pure un occhio al deficit di Umanità Nova e non fare il taccagno. Per pulir la coscienza di un rivoluzionario ci vuol ben più di un buon detersivo!
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