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Da "Umanità Nova" n. 37 del 29/11/98
Tutti sono a conoscenza che lo Stato turco nega l'esistenza dei Kurdi come
popolo, minoranza, etnia; in Turchia è proibito parlare, cantare,
studiare e pubblicare in lingua kurda, è vietato dare nomi kurdi ai
bambini. Ci sono poche scuole e pochi asili e in tutti rigidamente si insegna
solo in lingua turca. La popolazione kurda è emarginata da ogni servizio
socio-sanitario e culturale, in breve i kurdi vivono segregati, sottoposti a un
vero e proprio regime di apartheid. In generale, comunque, le libertà
civili sono molto limitate per tutta la popolazione della Turchia; soprattutto
per quanto riguarda le libertà sindacali e la salvaguardia dei diritti
dei lavoratori: basta ricordare che ancora oggi in Turchia il Primo Maggio
è illegale. I carceri turchi sono dei gironi infernali nei quali il
detenuto sa quando entra e difficilmente sa quando esce e in quali condizioni.
La Turchia nonostante ciò è un partner fondamentale sia
dell'Alleanza Atlantica sia dell'Europa. L'Italia è legata alla Turchia
da trattati commerciali e politici importanti che datano da molti anni. I
soldati turchi che operano nei territori kurdi sono equipaggiati con armi
italiane, come italiani sono gli elicotteri da combattimento e i blindati.
Recentemente, il 22 settembre di quest'anno, il ministro degli Interni
Napolitano ha firmato un accordo con la Turchia proprio sulla questione della
collaborazione alla lotta contro il terrorismo. E per la Turchia terrorismo
significa PKK.
La questione di Ocalan, dunque, ha solamente scoperchiato l'ipocrisia di un
Europa sorniona che fa orecchie da mercanti sul caso dei diritti umani e civili
del popolo kurdo.
In questi giorni nessuno si è scandalizzato dell'ampia azione repressiva
del governo turco nei confronti delle organizzazioni che difendono i diritti
dell'etnia kurda. E' notizia di queste ore che oltre 1200 militanti dell'HADEP
(partito democratico filocurdo) sono stati fermati dalle autorità turche
e il segretario della sezione di Ankara è stato arrestato con altri
sessanta militanti mentre stava facendo uno sciopero della fame in
solidarietà con i detenuti kurdi. Non esiste dunque libertà di
pensiero e di associazione per i kurdi e per i loro alleati. Qualunque
associazione in Turchia che difenda i diritti dei kurdi è illegale e
ogni organizzazione, anche quelle turche, che critica il governo o mette in
discussione la legislazione antikurda è accusata e perseguita
perché considerata "separatista" e perché mina
"l'integrità e l'unità territoriale dello Stato e della Nazione
Turca".
Ocalan è un leader sconfitto e in fuga, che ha giocato l'ultima carta,
quella politica della diplomazia internazionale, per salvare la propria
organizzazione e non a caso le dichiarazioni rilasciate in questi giorni da
Apo, abbandono della lotta armata e dei metodi terroristi, dimostrano come il
PKK abbia perso la sua ventennale battaglia. A settembre la Turchia aveva
iniziato ad ammassare truppe ai confini della Siria, stato con il quale da
molto tempo esistono tensioni su questioni sia territoriali che di antagonismo
politico e militare. L'iniziativa del governo turco si inquadrava in un'ampia
azione militare che negli ultimi mesi aveva portato a sconfiggere i resti della
guerriglia del PKK il cui gruppo dirigente, compreso Ocalan, da tempo si era
trasferito in Siria. Assad, il padrone della Siria, da sempre appoggiava il PKK
in funzione anti-turca, offrendo aiuti e coperture, nel gioco di quella
complessa partita di scacchi che coinvolge tutti i governi dell'area. Quella
delle alleanze fra Governi e i vari partiti kurdi che sono presenti compresi
fra Iran, Iraq, Turchia, Siria e Libano, è una politica consolidata che
però determina la debolezza della lotta di autodeterminazione del popolo
kurdo, che spesso è coinvolto in guerre fratricide. Sappiamo tutti della
durezza dello scontro in atto nella regione fra i Governi dei vari paesi e i
kurdi; e spesso, troppo spesso, qui da noi la vera solidarietà, quella
verso i popoli che lottano per la sopravvivenza e per la propria
dignità, viene confusa con la solidarietà a organizzazioni e
partiti che, seppur inizialmente formatisi per difendere i diritti
all'autodeterminazione, spesso, come nel caso kurdo, finiscono per combattere
fra di loro con metodi terroristici, non curandosi dei danni che causano al
proprio popolo.
La pressione del governo turco del primo ministro Yilmaz sulla Siria si
è fatta sempre più forte, tant'è che il capo di stato
maggiore dell'esercito turco Huseyin Kivrikoglu aveva dichiarato che i rapporti
con Damasco erano già "allo stato di guerra non dichiarata".
L'aggressività del governo turco nei rapporti con i paesi vicini
mascherava anche una forte tensione interna dovuta a vari problemi economici
fra i quali il recente scandalo della privatizzazione della Turkbank, un affare
da 600 milioni di dollari e che vede fra i principali imputati proprio il primo
ministro Yilmaz e che probabilmente entro breve termine lo porterà alle
dimissioni.
D'altra parte l'iniziativa del governo turco ha trovato la Siria in una
particolare e delicata situazione politica e militare, che probabilmente
è stata la prima causa della decisione di disfarsi dell'incomodo ex
protetto Ocalan che è stato costretto a partire repentinamente per la
Russia. Difatti, il governo siriano è sempre più preoccupato
dalla stretta alleanza militare ed economica, sotto l'egida degli Stati Uniti,
fra la Turchia e Israele e non è ancora riuscito ad avviare un tavolo
delle trattative per il recupero della zona del Golan, ancora sotto controllo
israeliano.
La Russia appena ricevuto il pacco Ocalan si è ben guardata di
piazzarselo in casa con tutti i problemi politici ed economici interni che deve
affrontare. Inoltre, sembra, che l'arrivo di Ocalan sia stato in qualche modo
agevolato dalla mediazione del leader nazionalista Zhirinovskij e da quello del
partito comunista Zjuganov, motivo in più, per la diplomazia di Eltsin,
per liberarsi dello scomodo ospite, onde evitare ulteriori vantaggi
propagandistici ai suoi avversari.
Il caso Ocalan, dunque, è una partita internazionale assai complessa
dove il ruolo del PKK si limita al tentativo di salvare la propria
organizzazione, o ciò che ne rimane, soprattutto in Europa dove spesso,
come in Germania e in Francia, il partito è fuorilegge.
L'atteggiamento del governo D'Alema si è fatto forte della clausola
della Costituzione che vieta l'estradizione di una persona in un paese dove
vige la condanna a morte, e se la questione si prolungherà a causa dei
tempi lunghi della burocrazia, essa comporterà comunque una serie di
problemi di cui solo in parte qualche avvisaglia si è già
manifestata, come la questione ventilata della rottura dei rapporti commerciali
fra Italia e Turchia. Ma la diplomazia italiana, come ha recentemente
confermato Pietro Fassino, ha già delineato i suoi compiti. In sintesi
la posizione è questa: "Ocalan è un capo di un'organizzazione
illegale che è stato fermato in Italia e il nostro paese non intende con
questo dare ospitalità a individui che combattono il governo turco con
azioni terroristiche. L'Italia non entra nel merito della questione kurda
perché essa è un problema interno della Turchia e non è un
problema internazionale. L'Italia, nel pieno rispetto degli accordi
internazionali, provvederà ad accettare l'estradizione del leader kurdo
per quei paesi che lo richiederanno e dove, come in Germania, non vige la pena
di morte. L'Italia denuncia l'aggressione della campagna turca contro le
aziende italiane e ne chiede l'immediata sospensione". Come si vede la
diplomazia non solo italiana ma di tutti i paesi è come un elefante che
balla in una pista di circo ricoperta da migliaia di bicchieri di vetro dove
quest'ultimi rappresentano i trenta milioni di kurdi che vivono nell'area medio
orientale. Nessuno si preoccupa di loro, sono solamente un problema di ordine
pubblico interno ai singoli paese che li ospitano, l'importante è
salvare i buoni affari!
Dunque, è necessario denunciare l'ambigua politica del governo D'Alema
che, seguendo "il consiglio" statunitense, sta assumendo un atteggiamento da
Ponzio Pilato, e avviare una larga mobilitazione a sostegno dei diritti dei
kurdi. Un'iniziativa concreta di solidarietà per alleviare le condizioni
della popolazione, una condizione sine qua non per un auspicato
dibattito a più voci, base essenziale per avviare un processo di
autodeterminazione autonomo e indipendente che crei le condizioni per la
nascita di una federazione libera dei territori del kurdistan.
F.B.
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