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Da "Umanità Nova" n. 37 del 29/11/98
Sudan meridionale: strana presenza americana A Kajo Kaji, al confine sudanese con l'Uganda, c'è un centro di assistenza ai mezzi pesanti in cui lavorano statunitensi e sudafricani, tutti di etnie africane. L'Ovest e il Nord-Ovest dell'Uganda, insieme alle confinanti zone sudanesi e congolesi rappresentano un punto chiave nella guerra in corso nella Repubblica Democratica del Congo e nel conflitto del Sud Sudan. Un triangolo territoriale in cui convergono aspetti taciuti, o nemmeno immaginati, dei quadri politici nazionali, regionali e internazionali. Espressioni di interessi che hanno scelto la strada della destabilizzazione per rafforzarsi e non cooperano certo per la pacificazione dei Grandi Laghi Africani o del Sud Sudan. Uno scacchiere particolarmente complesso, con articolazioni inattese e talvolta incontrollabili. Per cominciare a delinearlo è pertanto opportuno partire dagli schieramenti più o meno già identificati sul campo. Si può iniziare col "raggruppamento" dei Governi di: Congo-Kinshasa (e alleati bellici extraregionali come Angola e Zimbabwe) e Sudan. Mentre la Francia tenta di incunearsi nuovamente dopo la disfatta subita tra il '94 ('perdita' del Ruanda) e il '96 (uscita dall'allora Zaire), gli Usa manifestano aperto sfavore nei confronti del Presidente congolese Laurent Désiré Kabila. Meno conclamata, sul campo, è la misura in cui Washington appoggia il 'calderone' chiamato Rivolta banyamulenge che dichiara di fare riferimento al Movimento Democratico Congolese (Mcd). Le loro truppe sono 'fornite' dai vertici politico-militari di Ruanda e Uganda, da un Burundi in situazione di smentita partecipazione (e da sussurrate altre presenze nilotiche ma in esigua percentuale). Poi dai banyamulenge (tutsi congolesi), da elementi provenienti dalle forze armate del precedente regime congolese (Faz), ma anche da raggruppamenti di ribelli come quelli sudanesi dello Spla (Esercito di Liberazione Popolare del Sudan) che controllano una rilevante fetta del Sud Sudan, fra cui, "appunto", Kajo Kaji, a soli 20 km a nord di Nimule, la "porta" sull'Uganda situata sull'estrema propaggine del corso sudanese del Nilo. Ed è qui la struttura d'appoggio ai mezzi pesanti dell'esercito di Kampala, dotata anche di sofisticati impianti satellitari. Un sostegno di fatto del potere di Kampala che, nonostante l'immagine rassicurante conquistata nel panorama internazionale, deve fare i conti con una miriade di forme di dissidenza, non di rado armate. Ne è l'esempio più conosciuto la Lord's Resistance Army (Lra), che coopera con Khartoum. Ancora da alcuni anni a questa parte in Uganda si è in effetti registrato un deciso incremento dei ribelli di ceppo bantu, in particolare i banyankole e i baganda. Sono in larga parte provenienti dai quadri dell'esercito e particolarmente temuti dal Presidente ugandese Yoweri Museveni per il loro bagaglio tecnico-militare. Ed ecco che un 'provvidenziale' ingresso nel vicino Congo, peraltro in una zona dalle grandi ricchezze minerarie, aiuta il Governo a stringere in una morsa le bande armate. Ciò ha comportato variazioni significative degli 'equilibri' locali 'promuovendo' inevitabilmente le azioni dell'una e dell'altra parte, incrementando i traffici di armi (già due anni fa durante l'avanzata di Kabila caddero due aerei - uno israeliano e uno ugandese - carichi di rifornimenti militari).
Nigeria - appello alla mobilitazione internazionale contro la Shell In Nigeria, la settimana è stata particolarmente tesa nella regione del delta nigerino, abitata dalla popolazione Ogoni, e dove, ogni giorno, sono prelevati 2 milioni di barili di petrolio. Lo scorso martedì 10 novembre, il principale movimento di difesa dei diritti degli Ogoni, ha dichiarato che la compagnia petrolifera Shell, deve ridefinire, entro il 2000, le sue strategie imprenditoriali nella regione, oppure andarsene. La dichiarazione è stata resa pubblica in occasione del terzo anniversario dell'esecuzione dello scrittore Ken Saro-Wiwa, presidente del Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni (Mosop), che causò il ritiro della Shell dalla terra Ogoni. Mercoledì 11 novembre, un commando di giovani ha preso d'assalto, nella stessa regione, una piattaforma della Texaco. L'azione non ha causato morti né feriti, ma il commando ha rapito 7 stranieri di cui non si hanno più notizie. Ieri, 13 novembre, il presidente Abdusalami Abubakar ha reso pubblico un comunicato con l'intento di rassicurare le compagnie petrolifere straniere. Il governo infatti, si appresta a moltiplicare misure di sicurezza (che non sono state precisate) per garantire il regolare svolgimento delle loro attività professionali. Quanto alle popolazioni locali, continuano a richiedere sempre e solo due cose: rispetto per l'ambiente naturale nel quale vivono e partecipazione ai guadagni ottenuti col petrolio estratto dalla loro terra Mentre si innalza sempre di piu' la tensione nella regione del delta del Niger [Nigeria] dove la popolazione e l'ambiente vengono massacrati dalla Shell appoggiata dal regime militare, appoggiato e tenuto in piedi a sua volta dalla multi anglo olandese, adesso la Shell sta aprendo un nuovo "fronte" nell'Amazzonia peruviana distruggendo l'ambiente e le popolazioni indigene primitive. Ancora una volta il profitto della Shell, ottenuto calpestando ambiente e comunità locali, va a braccetto con i regimi dittatoriali come quello militare in Nigeria o quello assassino di Fujimori in Peru'. Fuoriuscite di petrolio, fiamme continue ed altre operazioni a forte impatto ambientale, hanno devastato la natura nigeriana e seriamente danneggiato la salute e le possibilita' di sopravvivenza delle popolazioni locali. "I nostri fiumi e i nostri ruscelli sono tutti ricoperti di petrolio. Da tempo non respiriamo piu' ossigeno, ma solo velenosi gas combusti. l'acqua non si puo' piu' bere, a meno che non si vogliano provare gli effetti del petrolio sul corpo umano. Non coltiviamo ne utilizziamo piu' ortaggi, sono contaminati." ( Dere Youths Association, 1970. A Protest Presented to Representatives of the Shell-BP Dev. Co of Nig. Ltd., following a blow-out at the Bomu oilfield.) Dal 1970, le comunita' indigene del delta del Niger, hanno iniziato una protesta pacifica contro la Shell che ha distrutto il loro territorio. Le loro lotte sono state represse con violenza omicida. I militari nigeriani hanno sempre caricato e represso le manifestazioni (in un caso uccidendo piu' di 80 persone e demolendo 495 case). Il carcere, la tortura, lo stupro ed altri abusi dei diritti umani sono la pratica comune verso chi si oppone alla Shell in Nigeria. Una settimana internazionale di mobilitazione contro la Shell è stata decisa dal 10 al 17 novembre. Manifestazioni e presidi sono già stati organizzati in molte città : dall'Argentina all'India, dalla Germania al Canada, dagli USA alla Gran Bretagna.
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