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Da "Umanità Nova" n. 38 del 6/12/98

Corrispondenza dall'Indonesia

Da un paio di settimane un compagno del nord Europa si trova a Giacarta per un giro "turistico - militante". Sulla rete sono comparsi alcuni suoi flash sulla situazione indonesiana, in particolare della capitale appunto, che di seguito così riassumiamo. Le notizie sono pervenute via a-infos@tao.ca..

1 L'eccidio del 12-13 novembre.

In quei giorni l'esercito si è scatenato contro i dimostranti, che erano in piazza in numero veramente considerevole: si parla di oltre 500 mila, forse 1 milione di persone, uccidendone almeno 16-19. La cifra non è precisa perché accanto ai morti accertati vi sono state sparizioni di alcuni militanti. Tutti gli edifici, eccetto quelli militari e governativi, per giorni hanno esposto la bandiera a mezz'asta, un'espressione minimale che però ha dato il senso del disfavore che incontra il regime "di transizione" di Habibe.

La percezione che nonostante tutto nel paese vi sia una qualche libertà di espressione il nostro osservatore l'ha ricavata dal fatto che le televisioni e la stampa hanno potuto parlare ampiamente dell'accaduto arrivando fino ad intervistare i feriti ricoverati nell'ospedale militare, e chiedendo l'intervento di osservatori internazionali per stabilire se vi fosse stata o meno violazione dei diritti umani.

2 Il ruolo dei militari.

Fin dalla caduta di Suharto i militari tendono ad occupare sempre più posti all'interno dell'amministrazione ed a rendere indispensabile la propria presenza. Reclamano un duplice ruolo per sé: quello di difendere il paese da nemici esterni e quello di mantenere la pace all'interno. La presenza di truppa è in ogni caso sempre cospicua, anche se parlando con la gente sembra impossibile che l'uscita dalla situazione di stallo attuale possa essere quella del colpo di stato come nel '65, quando i morti arrivarono ad oltre un milione.

3 Uno sguardo alle opposizioni.

L'opposizione moderata (il PDI di Megawati Sukarnoputri, il PAN col suo leader Amin Rais e Gus Pur, questi ultimi due moderati islamici) in questo periodo è del tutto tranquilla, sembra addirittura che voglia evitare di far parlare di sé. Le sue richieste sono la graduale riduzione del ruolo delle forze armate nella vita civile e la preparazione delle elezioni promesse per il prossimo anno.

FORKOT rappresenta un partito appena poco più che democratico, ma molto militante.

FAMRED raggruppa invece i fondamentalisti sia islamici che cristiani, svolgendo un ruolo che per ora al nostro osservatore non è del tutto chiaro.

KOMRAD è la principale organizzazione studentesca dichiaratamente anticapitalista. Gli studenti svolgono un'opera di agitazione permanente nel paese, indicendo per ogni giorno manifestazioni in luoghi diversi, in modo da non stremare la militanza. Singolare è anche che in queste manifestazioni cerchino di evitare di coinvolgere la popolazione normale per tema di creare un clima di repressione simile a quello del 12 novembre.

Una frangia estremista può essere considerata Front Jakarta, che qualche giorno addietro ha sfilato sotto le bandiere del Che con gli slogan "rivoluzione o morte".

A Giacarta sono anche presenti, anche se in numero limitato, esponenti dei movimenti di liberazione periferici: Timor est, Aceh e Irian Jaya (Papua) che rivendicano l'autonomia delle loro regioni.

L'unico partito veramente consistente che si proclama anticapitalista è il PRD (radical-democratico), la cui composizione è un misto abbastanza eterogeneo per un osservatore europeo. In esso vi sono militanti che si richiamano a Castro, Lenin, Guevara, ma in passato sono sicuramente anche circolati scritti anarchici visto che le nostre idee risultano non del tutto sconosciute.

In circolazione vi è anche un giornale clandestino (il nome non è citato) che tira attorno a 30.000 copie ed esiste dal 1995. Il suo ruolo ha assunto una importanza considerevole dal momento in cui ha cominciato ad ospitare le collaborazioni di giornalisti normali che per tema di veder censurati i loro pezzi o per non esporsi personalmente, hanno preferito pubblicare in esso le notizie a cui riuscivano ad accedere. Malgrado la "liberalizzazione" seguita alla caduta di Suharto, esso continua a rimanere clandestino.

Questa del "doppio livello organizzativo" è una costante per molte organizzazioni e partiti che oggi operano alla luce del sole.

4 I diversivi etnici e di religione.

Negli scorsi giorni islamici e cristiani si sono fronteggiati in conflitti che molti non esitano a definire creati ad arte per mantenere alta la tensione e soprattutto per distoglierla dalla lotta contro l'attuale regime e al tempo stesso rafforzare il ruolo dei militari come "forza di pace interna". Soltanto in questa luce si spiegano le aggressioni pretestuose cominciate con una rissa in una discoteca fra Ambonesi e Javanesi. In seguito alcuni Ambonesi avrebbero incendiato una moschea (la voce popolare dice che qualche incosciente è stato pagato per farlo). La ritorsione degli islamici, organizzati in un "Fronte di Difesa" è stata immediata con l'uccisione di tre Ambonesi e il rogo di una chiesa e di una scuola femminile cattolica. I militari stazionavano a qualche centinaio di metri dai luoghi dove sono avvenuti gli scontri, e pur essendo presenti in numero cospicuo (almeno 500) e con tre carri armati, non sono intervenuti.

Anche la questione etnica (in particolare anti-cinese) è un focolaio per ora sopito ma al quale, come già al momento della caduta del dittatore, le forze della conservazione del potere possono far ricorso, soprattutto valendosi del Fronte Islamico, per far convergere le tensioni verso ambiti maggiormente controllabili da chi è interessato al mantenimento del potere.

Adattamento e traduzione di A. N.



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