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Da "Umanità Nova" n. 38 del 6/12/98
All'indomani della firma degli accordi Wye Plantation tra Arafat e Netanyahu sotto l'egida di Clinton, ho avuto l'opportunità di sondare le reazioni della comunità palestinese residente a Palermo che converge su un centro di documentazione a cui è pervenuta copia in arabo dell'accordo, prontamente tradotto e spiegato a noi presenti all'incontro. Rispetto a quanto noto dalla stampa, la lettura integrale non presenta reali novità: le percentuali di territori liberati , il compromesso di una fascia adibita a parco naturale, l'impegno palestinese contro il terrorismo arabo (di Hamas e della Jihad), la supervisione della CIA nella formazione dei quadri repressivi palestinesi, che già presentano un volto in linea con il tradizionale autoritarismo delle aree arabe. Quel che è risultato più interessante, e che ritengo valga la pena di riferire in queste pagine, è la reazione visibilmente spaccata della comunità palestinese, di cui il frammento palermitano è specchio. E' noto come sin dagli accordi di Oslo, i giudizi sono stati nettamente contrapposti, tra chi riteneva dopo tutto un passo avanti verso la definizione di un'autonomia e poi di un'indipendenza del popolo palestinese e delle sue nuove istituzioni, e chi riteneva che proprio quegli accordi svendevano quelle prospettive per cui tante generazioni hanno lottato e pagato caramente con la vita e con la diaspora. L'intesa di Wye Plantation, al di là degli esiti reali che verranno conseguiti, evidenzia una solidità delle due tesi contrapposte. Da una parte, quella filo - governativa, già si lavora al dopo Arafat, e al modo in cui consolidare una base istituzionale, anche grazie agli aiuti economici europei e politico - militari statunitensi, senza illudersi di un fantomatico sostegno dei paesi fratelli arabi, mai stati in vera sintonia con la causa palestinese, se non per opportunismi politici pro domo propria. Dall'altra , si levano critiche vibranti contro la dilagante corruzione dell'élite al governo che circonda Arafat, che ha depredato parte degli aiuti internazionali senza ovviare a quella carenza di servizi sociali su cui, invece, ha puntato hamas sin dall'inizio della sua presenza politica. Inoltre è forte la preoccupazione che l'interferenza di paesi stranieri sul percorso dell'autonomia palestinese sia non solo imbarazzante ma addirittura controproducente. Infine, sdegnata è la reazione della comunità palestinese che vive all'estero nei riguardi della insufficiente carica di democrazia che connota la politica governativa (incarcerazioni arbitrarie , detenzioni ai limiti dell'umano, pena di morte, repressione della stampa, chiusura delle comunità estere e loro integrazione forzata negli alvei istituzionali). Nei confronti del concorrente Hamas, le posizioni sono differenziate; nessuno crede al reale fondamentalismo islamico (si ritiene che la società palestinese, proprio per via delle lotte, sia sostanzialmente laica e immune all'infiltrazione islamica), che viene invece valutato come investimento argomentativo, mentre si individua correttamente la sua forza nel radicamento sociale verso cui basterebbe indirizzare puntualmente la spesa sociale e recuperare al contempo al gioco politico della dialettica parlamentare Hamas. Senza dubbio, chi vive all'estero è più aduso a ipotizzare soluzioni di stile democratico a problemi di tal genere, pur avvertendo la sensazione di un deficit culturale del mondo arabo relativamente alla questione della democrazia, della tutela dei diritti (umani, sociali, lavorativi, etc.). Infine, emerge palesemente l'imbarazzante tenuta all'oscuro delle reali poste in palio nel Medio - Oriente: si ignora il "golpe" di Arafat della trattativa diretta con Rabin e con Peres che hanno portato agli accordi di Oslo, scavalcando la tavola di madrid a cui era presente la delegazione palestinese dei Territori occupati e non l'OLP, e in cui la presenza di intermediazione non era limitata esclusivamente agli USA, ma comprendeva l'ONU e l'Europa; si ignora l'inconsistenza di alcuna intesa sugli aspetti principali di qualsiasi accordo di pace: confini, sovranità, continuità territoriale soprattutto, il che ha portato all'anomalia di un accordo istitutivo di un nuovo regime di apartheid statuale. L'insufficiente formazione politica è stupefacente, se pensiamo quanto era forte la presenza palestinese non solo in Italia attraverso la comunità studentesca (ad esempio i Gups), ma anche nell'immaginario terzomondista di un'intera generazione di militanti extraparlamentari: sembra infatti che oggi, grazie alle ipotesi degli accordi, l'attenzione sia scemata, l'interesse politico disciolto, e i palestinesi si ritrovano più soli, anche in virtù di scelte rivelatesi poi errate. Salvo Vaccaro
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