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Da "Umanità Nova" n. 40 del 20/12/98

L'azienda scuola

L'apologetica governativo - clericale sulla "parità scolastica" e il relativo "bla - bla" dei "media" hanno - in sostanza - una cosa in comune: occultano la natura storica dell'odierna operazione politica, cioè il suo carattere rifondativo dell'istituzione scolastica.

Infatti: se (conformemente alle "idee dominanti", cioè alle idee della classe dominante) la società è vista, nel suo complesso, come un'azienda la cui attività è regolata dal mercato, ne discende che la scuola rappresenta un settore aziendale volto alla riproduzione (delle condizioni sociali di produzione) e, come tale, sta sul mercato.

E', cioè, semplice merce/istruzione che si offre - come ogni merce - in vista della produzione di altre merci. Diventa dunque fondamentale per il potere - in questa logica - rimuovere dalla scuola di massa (pubblica o privata che sia) ogni (residuo) carattere propriamente formativo , cioè relativo alla fondazione/trasmissione dei saperi, nonché - inscindibilmente - alla loro critica. Rimuovere il sapere come critica, è il vero significato - storico - della liquidazione in atto della scuola pubblica e del suo carattere laico.

La scuola pubblica, infatti, ha storicamente rappresentato - dalla rivoluzione francese e dal risorgimento italiano - il luogo ove la contraddizione e il conflitto tra scuola/formazione e scuola/riproduzione si sono resi palesi ed espliciti. La sfera pubblica - pur nella sua evidente "miseria" (anzi, paradossalmente, spesso proprio attraverso di essa) - ha sostanzialmente garantito il carattere aperto e visibile, dunque storico e razionale di questa contraddizione, in cui si riassume l'asse portante stesso (giova ricordarlo) della "paideia" occidentale.

Ciò che si vuole rimuovere dalla scuola tutta è precisamente il conflitto: tutte le attuali "riforme" governative vanno in questo senso, dall'"autonomia" (che impone alla scuola pubblica il modello aziendale, legandola al mercato); alla "parità" che fonda il mercato stesso delle scuole, rilegittimando pienamente (e coerentemente, a questo punto) - nella scuola privata rifinanziata - quella istituzione che da sempre ha preteso, in linea di principio, di rimuovere il conflitto dal processo formativo; alla stessa nuova tendenziale "modularità" di disciplina e struttura orarie, che - sotto il nome di "flessibilità" - ne afferma e ne mostra il carattere puramente strumentale, funzionalista, fungibile (le materie "usa e getta").

Insomma nel pubblico come nel privato, la scuola viene ricondotta e ridotta a puro movimento riproduttivo subalterno e strettamente funzionale all'assetto sociale esistente, sopprimendone l'interna tensione.

Che la chiesa e la scuola cattolica italiana tentino di approfittare di questa occasione storica, per riprendersi consistenti quote di controllo su un settore cruciale, è perfettamente logico. Che la Sinistra ("storica"?) al governo - di fede aziendalista e mercantile - oscuri con la sua politica scolastica il significato stesso di quella laicità della scuola (come precondizione essenziale di ogni processo formativo critico) che in Italia fu storicamente affermata, nella teoria e nei fatti, dalla Destra storica del Risorgimento (largamente formata per vitale paradosso, da cattolici non - clericali), chiarisce - meglio di molte analisi - la totale subalternità della Politica (e dei politici) all'Economia (e ai suoi padroni).

Non dunque l'ideale "libertà di coscienza" è in ballo (qui la chiacchera clericale raggiunge il grottesco e l'impudicizia), ma la ben più materiale "libertà delle merci", in una sfera - quella della formazione - trasformata in mercato. Anzi, rimuovendo dalla scuola il pubblico conflitto formazione/riproduzione, si da più libertà alle merci sottraendone alla "coscienza", cioè - concretamente - agli uomini, ai giovani, agli studenti. Insomma, dietro alle giaculatorie sui "valoro", si vede bene la logica ferrea del "valore" (l'unico - per usare un termine cattolico - ad incarnarsi davvero).

Con la necessaria modestia, ma con fermezza, noi ci rifiutiamo di rimuovere la storia, poiché vogliamo tenere ben aperta questa contraddizione, salvaguardandone il terreno, cioè la scuola pubblica.

Roberto Prato



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