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Da "Umanità Nova" n. 40 del 20/12/98

Il '68 fra storia e realtà

Sembra proprio che questa volta sia finita. Almeno fino al prossimo decennale. Perché se la situazione sociale non migliorerà saremo costretti a sorbirci le litanie e le giaculatorie di quelli che avendo fatto il '68 sono per questo riusciti a prendere il potere - seppure in via del tutto personale - da brandire le loro "memorie di rivoluzionari" come medagliette al valore.

Ma per fortuna è finita, anche se un certo disgusto per tanta prosopopea su di un fatto che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone e che invece è stato rappresentato all'ombra di personaggi maturi, posati e responsabili, suscita ancora il voltastomaco. D'accordo che gli anni della propria gioventù sono i più belli in quanto avventurosi e intraprendenti; d'accordo pure che gli anni della "contestazione" sono stati sicuramente gli anni che hanno registrato le trasformazioni sociali più radicali, ma che tutto finisca a tarallucci e vino, quasi a voler dire che si è scherzato quando si credeva che fosse necessario "cambiare questa vita di merda", se permettete non lo possiamo accettare e non lo accetteremo mai.

E non perché il '68 ha rappresentato l'unico, vero momento rivoluzionario che ha scosso le democrazie mature dei Paesi industrialmente avanzati. Lo sappiamo e l'abbiamo sempre detto: la contestazione giovanile della fine degli anni '60 è stata una forte brezza che ha scosso l'albero delle certezze di questa società dei consumi che ha poi finito per aspirarla nelle turbine dei meccanismi di consenso e riproduzione dell'ordine, della gerarchia del sistema economico capitalista. Ma detto questo, non bisogna dimenticare che il movimento che ha manifestato una totale insofferenza ed un rifiuto radicale nei confronti dei valori regnanti in tutti gli anfratti della società (dalla scuola alla fabbrica, dalla clinica psichiatrica al teatro di posa, dal carcere alla famiglia, alla politica, all'economia, alla cultura...) è stato un movimento che non solo ha dato vita "al '68", ma ha permesso che la critica della società e del suo sistema economico - produttivo non si esaurisse nelle aule universitarie, dove - forse - prima era nata contestando i corsi e il "sapere borghese" profuso dai cattedratici, e adesso - con la forza della viltà - la si vuole ingabbiare, promuovendo corsi e lo stesso sapere che da "bravi borghesi" i nuovi cattedratici (usciti dal '68) difendono e ammansiscono.

Naturalmente oggi i Capanna, i Liguori, i Mughini, i Boato, i Ferrara, i D'Alema e i Veltroni (per citare solo i nostri ruspanti ex-sessantottini) hanno gioco facile nel ricostruire la storia di quei momenti, permettendo di stabilirne l'inizio, l'intensità della durata e la fine.

Sono al potere.

Sono il Potere.

Quello più subdolo, ciarliero, demagogo, pronto a giustificare ogni piroetta, capriola, "rovesciamento di prospettiva". Loro sono riusciti a portare l'immaginazione al potere e a farla diventare un incubo, al punto che era forse impossibile immaginare un potere così "immaginifico" da far sparire i nemici di classe, gli avversari, i padroni.

Delle destre (i fascisti) neanche l'ombra: tutti rappacificati con una bella pietra...tombale. Perché il passato è passato e quando lo si ricorda è soltanto per servirsene giustificando il presente.

Lo si è fatto con il Risorgimento, poi con la Resistenza, ora con il '68.

Questa é la memoria per i vinti: per farli sentire ancora più perdenti, persi e soli. Ma loro, i vincitori, cos'hanno vinto? Di poter pubblicare - e con successo - dei saggi memorialistici? Di poter contare quanti passi hanno dovuto compiere per raggiungere lo scranno del potere (una poltrona di Ministro, di Assessore, di Rettore, di Direttore editoriale, di Amministratore Delegato)? Di fare la bella figura dell'ex-sessantottino, impegnato e un po' fricchettone? Di una cosa però si può esser certi: che la contestazione della società da parte di questi individui non é mai stata reale, perché é a loro servita per elevarsi socialmente, molto più di quanto avrebbero potuto fare astenendosene.

A noi rimane il sogno di una società libertaria di libere ed uguali, di signori senza schiavi, di arte senza mercanti, di piaceri senza sacrifici.

A loro resta l'incubo. Che prima o poi questo si avveri. E allora la storia non ce la potranno più a raccontare.

Jules Élysard.



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