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Da "Umanità Nova" n.3 del 31 gennaio 1999

Ulivo/bonsai. Scatole vuote

È assolutamente evidente che l'attuale crisi politica, quella che prende le mosse dalla decisione di Romano Prodi di dar vita ad una lista per le elezioni europee con il movimento "Cento città" che raccoglie un certo numero di sindaci famosi e con l'ex magistrato Antonio di Pietro, ha delle ragioni completamente interne agli equilibri del ceto politico che costituisce la maggioranza.

Non è, infatti, possibile, per quanti sforzi si facciano, individuare una base sociale, un programma politico, una cultura di riferimento per l'ulivo bonsai che Prodi propone al buon popolo, basta pensare all'accoppiata fra il filosofo postoperaista Cacciari e il questurino Di Pietro per risolvere ogni dubbio nel merito.

Le ragioni della nascita del nuovo movimento sono esplicitamente legate al tentativo di Romano Prodi di rientrare in politica dopo lo sgarrettamento inflittogli da Cossiga e D'Alema ed a quello di una serie di leader dell'area di centro sinistra di utilizzare lo stesso Prodi per occupare uno spazio politico ed elettorale (quello del centro legato alla sinistra) che, per diverse ragioni appare sguarnito e frantumato.

Le stesse polemiche che la scelta di Prodi ha provocato derivano dalla, comprensibile, preoccupazione dei diniani, dei popolari e dei DS per l'accresciuta concorrenza nello stesso segmento di mercato.

Si potrebbe rilevare, con qualche ragione, che non vi è nulla o, almeno, nulla di significativo di nuovo sotto il sole. Il carattere squallido della politica parlamentare non è una novità degli anni '90, i passaggi di campo vi sono sempre stati come vi è sempre stata la concorrenza fra alleati.

D'altro canto, se ricordiamo che, in fondo, l'ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù, dobbiamo riconoscere che quanto va accadendo nella sfera della politica istituzionale è significativo non per i legami con il corpo sociale ma, appunto, per l'assenza di legami.

Basta, infatti, pensare alla natura del partito di massa nell'Italia della prima repubblica per cogliere la portata delle mutazioni in corso: il PCI, la DC, il PSI ma anche i repubblicani, i fascisti, i liberali erano partiti che corrispondevano, in qualche misura, ad un'idea di società, a culture politiche, a insediamenti sociali.

La loro natura burocratica e parlamentare, il peso degli apparati, la sottomissione ai poteri reali ne facevano strumenti di integrazione e subordinazione delle classi subalterne, gli stessi rapporti interni erano gerarchici ed alienati ma, in qualche misura, dovevano fare i conti con una società non ancora assunta come un grande magazzino nel quale tutte le merci offerte sono esplicitamente della stessa natura.

Il fatto che i partiti della seconda repubblica siano dichiaratamente scatole vuote, creazioni di gruppi di notabili che possono passare da un campo all'altro senza problemi non è quindi privo di significato.

Viviamo, con la solita celerità italiana, la piena integrazione nel modello occidentale, in un modello che non prevede corpi intermedi significativi fra cittadini/clienti e rappresentanti/venditori.

Questa mutazione delle stesse modalità della conduzione della lotta politica favorisce, anche se i leader politici che la esprimono affermano il contrario, l'indifferenza dei cittadini per la sfera elettorale, indifferenza che non è più assunta come un problema e una contraddizione ma come un segno della maturità della nostra democrazia.

Tornando all'ulivo/bonsai, è assolutamente chiaro che si propone di dar vita ad un ennesimo partito "leggero", capace di assorbire la frattaglie del centro ulivista, di ridimensionare i DS e di sottrarre qualche segmento di consensi al polo per garantire ai suoi esponenti un ruolo nel prossimo governo ed al buon popolo un secondo governo di centrosinistra.

È altrettanto chiaro che un progetto del genere entra in rotta di collisione, oltre che con gli alleati tradizionali, con l'UDR cossighiana che si proponeva di espandersi nella stessa area elettorale. Da ciò i putiferi sollevati dal mai troppo lodato Francesco Cossiga. D'altro canto l'UDR, se si escludono le clientele meridionali di Clemente Mastella, non gode dell'attributo dell'esistenza e, se uscisse dal governo, non godrebbe nemmeno di quello della gestione di quote corpose di sottogoverno e, di conseguenza, è costretta a oscillare fra proclami isterici e genuflessioni umilianti al governo.

In buona sostanza, insomma, siamo di fronte ad un ulteriore momento del degrado della politica parlamentare, del suo ridursi a regolamento di conti interno.

D'altro canto, l'impudicizia del ceto politico è, per molti versi, connessa alla debolezza del conflitto sociale. Se la politica si riduce a mercato delle vacche in maniera così ostentata è anche perché l'azione delle classi subalterne non pone all'ordine del giorno le questioni significative dal punto di vista del funzionamento della società.

È, infatti, decisamente probabile che se costoro dovessero vedere messi a repentaglio i loro privilegi sarebbero indotti a fare blocco o, almeno, a misurarsi su questioni parzialmente diverse a fronte delle attuali.

La politica parlamentare arriva ad essere un inframondo, a ben riflettere, perché non ha, speriamo per poco, nemici reali da affrontare e perché lo stesso potere reale è sempre più altrove, nelle stanze degli eurocrati, nel centri studi padronali, negli apparati di un potere capitalistico internazionale al cui confronto costoro non sono che dei patetici pulcinella.

Credo, quindi, che la nostra critica del parlamentarismo trovi oggi conferme ed argomenti nuovi e che, pertanto, vadano posti al centro delle nostre proposte proprio le questioni che il circo equestre parlamentare cerca di occultare.

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