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Da "Umanità Nova" n.3 del 31 gennaio 1999

Living with The Living

A Bologna, dal 15 gennaio al 20 febbraio all'Arena del Sole è esposta la mostra Living with The Living, il Living Theatre in Europa (1964 - 1983).

Vent'anni di viaggi e di rappresentazioni in Italia e in Europa si ricompongono attraverso i documenti e gli oggetti emersi dai bauli e dai contenitori che Serena Urbani, attrice del Living, riportò in Italia dalla Francia.

Locandine, programmi di sala, recensioni, manifesti, libri e oggetti personali di Julian Beck e di Judith Malina si snodano nel percorso di una mostra che restituisce l'avventura teatrale e culturale del Living Theatre negli anni del suo più radicale nomadismo. Immagini e reperti ripropongono il vivacissimo dibattito culturale e politico che ha accompagnato gli spettacoli del Living, fra scandali e riconoscimenti internazionali, nel dispiegarsi di una vicenda artistica che ha già, nelle pagine del catalogo che correda la mostra, il respiro della storia.

Pubblichiamo in merito un articolo della curatrice della mostra Cristina Valenti.

Che fosse un archivio importante lo si capiva da come Serena Urbani, attrice e organizzatrice italiana del Living Theatre, si accendeva parlandone: non lo si poteva abbandonare in quel magazzino in Francia, andava recuperato assolutamente. C'erano tutti i materiali raccolti negli anni di lavoro in Europa: dalle prime tournées, quelle definite "dell'esilio", dopo la chiusura del Living Theatre a New York, durante le rappresentazioni di The Brig, fino agli ultimi anni e all'ultima produzione in Francia, quell'Archeologia del Sonno attraverso la quale Julian Beck, già malato, aveva cercato di superare un ulteriore confine, forse per cercare nel mistero della mente risorse segrete, con le quali vincere la sua ultima, impossibile battaglia. In mezzo, fra il 1964 e il 1983, ci sono gli anni delle creazioni europee, Mysteries and Smaller Pieces (1964), The Maids (1965), Frankenstein (1965), Antigone (1967), Paradise Now (1968) e quindi la scelta della strada, con la Dichiarazione d'azione, nel 1970, l'abbandono dei teatri e dell'Europa, il Brasile e il ciclo di spettacoli dell'Eredità di Caino, con cui il Living rientra in Europa nel 1975 per rimanervi continuativamente fino al 1983: otto anni di nomadismo teatrale, senza una sede, senza sovvenzioni, vivendo di spettacoli portati ovunque, dalle grandi città ai più sperduti paesi, da un capo all'altro dell'Italia e d'Europa.

L'archivio europeo è dunque quello dell'esilio e del nomadismo. Come immaginarselo, allora? Verosimilmente, come un accumulo di documenti e reperti teatrali salvati dal vortice degli anni e dei viaggi, caricati a scaricati da pullmini volkswagen dentro valigie e contenitori di fortuna, di spostamento in spostamento, di trasloco in trasloco. Ma Serena lasciava intendere altro, e fortunatamente le si diede fiducia. Grazie all'intervento dell'Istituto per i Beni Culturali, Serena poté occuparsi materialmente del trasporto e giunse trionfante dal suo viaggio francese con un carico inaspettato di scatoloni, bauli, valigie... Gran parte di quei contenitori proveniva dal trasloco della casa romana di via Gaeta, che il Living aveva abbandonato partendo per Parigi: scatoloni che non erano neppure stati sballati in Francia e che contenevano ancora il lavoro descritto da Julian Beck nella pagina del suo Diario datata Roma - Parigi - Nantes, 1deg. febbraio 1983 e intitolata The Living Leaving Rome:

"Lasciando Roma. Fine della Campagna Italiana. Imballare: la carta d'Italia staccata dal muro di camera mia, chiuso il capitolo. L'agitazione della partenza, arrangiamenti, imballare, imballare e imballare, scatole, cartoni, bauli, valigie, [...] il passato in corsa, attraverso il presente, dentro il futuro. Ed ora il lavoro degli anni '80. L'obiettivo rimane fermo, alto e magnifico: bellezza ed intelletto di cuore e spirito a rincorrere libertà e pace, amore e creatività, vita contro morte" e "Alle spalle i sette anni italiani: [...] come abbiamo danzato dentro e fuori da 175 città e paesi, camminato per le strade, portato l'esperimento nei teatri, con le nostre poesie dentro le fessure dei pavimenti, ed inondato il pubblico con i salmi dei nostri cuori, e poi partiti".

Ora una significativa selezione dei materiali dell'Archivio è esposta a Bologna, nella mostra intitolata Living with The Living. Il Living Theatre in Europa (1964-1983), curata da chi scrive ed inaugurata il 15 gennaio scorso presso la Galleria Espositiva dell'Arena del Sole (via Indipendenza 44), dove sarà visitabile fino al 20 febbraio (dal lun. al sab., ore 17-19).

Il percorso della mostra consente di attraversare una vicenda fatta di utopia praticata, nell'arte e nella vita, e sostenuta da un'organizzazione materiale complicatissima: il Living aveva inventato infatti una strategia di sussistenza raffinata come un gioco ad incastri, che si snodava per centinaia di città e paesi, con rappresentazioni pressoché quotidiane, iniziative culturali e politiche, lavoro pedagogico e laboratori, relazioni e incontri, progetti e produzioni di nuovi spettacoli. Quella del Living era un'economia elementare eppure inaudita nel mondo teatrale, in quanto basata esclusivamente sulla vendita degli spettacoli: Julian Beck (che se ne occupava) doveva riuscire a riempire di repliche l'intero calendario solare per assicurare il sostentamento alla compagnia, poiché il Living Theatre non ha goduto pressoché mai di alcuna sovvenzione (e mai - in particolare - nei tanti anni di lavoro in Italia).

Vent'anni di viaggi e di rappresentazioni in Italia e in Europa si ricompongono attraverso i documenti e gli oggetti emersi dai bauli e dai contenitori recuperati da Serena: locandine, programmi di sala, recensioni, manifesti, libri e oggetti personali di Julian Beck e Judith Malina, fra i quali non mancano sorprese e piccoli "tesori": la tessera dell'IWW di Julian Beck, iscritto come "lavoratore dello spettacolo", il costume che indossava nei Sei Atti Pubblici, i suoi baschetti, le camicie strette e i pantaloni a "zampa di elefante", la collezione di saponette da viaggio, la biblioteca anarchica, nella quale spiccano il Programma anarchico di Malatesta, i testi sulle collettività spagnole, i libri sulla controcultura libertaria americana...

Quello del Living Theatre è un archivio vivente perché, dalle sue carte e dai suoi oggetti, la vita della compagnia riemerge con la vivezza del presente: il passato sempre "in corsa" dietro le spalle e un obiettivo acceso davanti agli occhi. E' come se i materiali dell'archivio ci consentissero non di rievocare astrattamente i fatti, ma di avvicinarli nella loro concretezza, che è quella dei colori dei manifesti serigrafati, dell'inchiostro dei volantini ciclostilati, dello stile del linguaggio e della grafica, e, soprattutto, dell'evidenza dei numeri: i 175 paesi attraversati solo nei sette anni "italiani", i tanti teatri e i tantissimi spazi alternativi (molti organizzati da gruppi anarchici), e tanti altri numeri, che balzano agli occhi con chiarezza scorrendo le schede cronologiche che scandiscono il percorso della mostra.

Fra le ragioni dei numeri e la pratica dell'utopia, in nome di una storia vivente, si distende l'apparente contraddizione di Judith Malina, che, parlando della sua esperienza, dice: "è terribile come le cose diventino storia", eppure ha lavorato alla costruzione di questo archivio certamente nella prospettiva della storia.

L'Archivio è due cose insieme: è progetto in sé, in quanto organizzazione della memoria al servizio della storia, ed è documento di un progetto - del vasto progetto rappresentato dalla storia del Living Theatre. E la mostra racconta questa storia ricordando che il passato che continua a parlarci è quello che contiene visioni.

Cristina Valenti



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