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Da "Umanità Nova" n.4 del 7 febbraio 1999

Equilibrio sostenibile
Rifiuti zero, zero emissioni

Per migliaia di anni, prima dell'avvento della società industriale e della chimica di sintesi. la principale attività produttiva dell'umanità è stata l'agricoltura: i rifiuti venivano in gran parte utilizzati nella lavorazione della terra e ciò contribuiva a migliorare ed aumentare la produzione. I tempi e i ritmi della produzione consentivano all'ambiente di smaltire naturalmente quei pochi scarti e rifiuti non immediatamente riutilizzabili.

E' con la rivoluzione industriale che questo meccanismo ecologicamente virtuoso viene interrotto. La machina a vapore trasforma la produzione artigianale in produzione industriale, incrementando la quantità di merci, sia aumentandone la velocità di circolazione che il periodo di vita. Più merci, più mercati, più profitto. Tutto ciò a scapito della ricchezza e della dignità della maggior parte dell'umanità (i salariati di città e di campagna) e con effetti pesanti sullo stato dell'ambiente e del territorio e sui cicli ecologici, oltre che sullo stato di salute degli esseri umani aggrediti ora da nuove patologie "artificiali" e da malattie croniche. Insomma: inizia così l'era dell'usa e getta!

Con l'uso del petrolio quale fonte energetica e con l'invenzione dell'energia nucleare i problemi e le contraddizioni salgono vertiginosamente. Grandi complessi chimici e centrali a carbone, a olio combustibile, atomiche creano enormi disastri ambientali e sanitari. Ogni elemento utile alla vita viene consumato in modo non sopportabile, distrutto, inquinato: aria, acqua, suolo vengono alterati, cresce la temperatura del pianeta Terra. Per la prima volta ciò avviene a causa di interventi artificiali/tecnologici e non per cause naturali.

Il modello di "sviluppo" e di uso della natura che ha determinato tutto questo, condotto dall'economia capitalista e dal mercato, produce merci destinate ad una parte limitata della popolazione (il 20% della popolazione mondiale consuma l'80% delle risorse) e allo stesso tempo produce rifiuti e inquinamento per la totalità della popolazione mondiale.

Nella logica del mercato, anche i rifiuti e l'inquinamento diventano "merce" in grado di dare profitti colossali (sia con lo smaltimento illegale e incontrollato che con la gestione pubblica e/o privata). Rifiuti e inquinamento divengono anche occasione di sfruttamento non solo all'interno dei cicli produttivi ("la fabbrica del rifiuto") ma anche sul territorio, destinato ad ospitare impianti inquinanti o siti di stoccaggio.

Nella logica dell'"usa e getta" viene svalutato e svilito il reale valore dell'oggetto in sé e della forza lavoro che lo ha prodotto; viene invece premiata la produzione di merci destinate ad essere dismesse nel giro di poco tempo. Merci che devono essere smaltite in tutti i modi possibili, leciti o illeciti che siano.

Dallo sviluppo insostenibile all'equilibrio sostenibile

Il dominio e la diffusione di questo modello di sviluppo produrrebbe danni definitivi alla natura e sull'ambiente se tutta la popolazione mondiale e tutti i territori del pianeta avessero gli attuali livelli di produzione e consumo propri dei paesi industrializzati.

Per cercare di porre rimedio a questa situazione da più parti viene indicata la "sostenibilità" come la via d'uscita più saggia dell'attuale situazione insostenibile di degrado. Ma questa "sostenibilità" viene generalmente intesa come aggettivo di "sviluppo", per cui la mitica ricetta messa in campo è lo "sviluppo sostenibile". La sostenibilità diventa così un termine retorico di moda che serve a tenere insieme (ma fino a quando?) interessi e valori conflittuali, tanto da diventare, nella pratica, una sorta di marchio doc per vendere meglio territori, città, amministrazioni pubbliche e imprese private.

Il concetto di "sviluppo sostenibile" nasce già vecchio e inefficace e le azioni politiche e programmatiche ad esso ispirate si sono dimostrate inadeguate ad affrontare in modo serio i problemi ambientali e sociali.

In particolare appare inadeguato e insufficiente il modello di sostenibilità che si è imposto, elaborato dalla "World Commission on Environment and Development" nel 1987, noto come "Rapporto Brundtland, probabilmente perché era quello che presentava minori conflittualità con gli aspetti strutturali e portanti dell'attuale forma di organizzazione sociale ed economica.

Vediamo, brevemente, di cosa si tratta. Per sviluppo sostenibile si intende "uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri". In pratica il rapporto pur riconoscendo limiti fisici e biologici cui devono sottostare le utilizzazioni di materia ed energia e i sistemi economici non assume tali limiti come prioritari ed assoluti ma come "limitazioni imposte dallo stato della tecnologia e dell'organizzazione sociale alla capacità ambientale di soddisfare esigenze presenti e future." Si crede possibile in buona sostanza un controllo tecnologico dei processi naturali.

La sostenibilità è utilizzata come strumento per assicurare lo sviluppo, senza metterne in discussione i modelli o utilizzare i dati conoscitivi che possono ostacolare o ridimensionare alcune scelte. In questa ottica, per esempio, l'enfasi posta sulla tutela dell'ambiente, per esempio nella Legge regionale (NdR. Toscana) sui rifiuti n. 25/98, scinde ambiente e salute non ponendo in primo piano i rischi per la salute dell'uomo. Si può qui cogliere lo sbocco naturale di certo ambientalismo che partendo dal realismo del "non dire sempre no", arriva al "mai dire no", ovviamente in piena sostenibilità.

La sostenibilità dello sviluppo è il principio fondante, almeno a parole, della programmazione della Regione Toscana. Essa è intesa come integrazione del paradigma ecologico e di quello economico nella prospettiva di "creare nuove opportunità per gli attori istituzionali, economici, sociali".

Occorre invece fare riferimento non allo "sviluppo sostenibile" ma all'"equilibrio sostenibile". Un equilibrio dinamico che ponga come elementi primari e fondamentali di ogni azione di trasformazione umana della natura che voglia essere ecologicamente corretta materia, energia, informazione (sia quella biologica che quella culturale). Occorre riferirsi piuttosto a società sostenibili che abbiano al centro non il mercato e le merci ma le relazioni con la natura e tra gli esseri umani.

Nella direzione di un equilibrio sostenibile segnaliamo il contributo fornito dal Rapporto del Wuppertal Institut, pubblicato in Italia dalla EMI nel 1997 con il titolo "Futuro sostenibile". Anche se non sempre condivisibile, il rapporto definisce alcuni punti irrinunciabili:

- riduzione dell'utilizzo delle risorse naturali nei paesi più ricchi in modo da evitare danni alla natura e alle popolazioni;

- riduzione dell'impiego di materiali ed energia lungo l'intero ciclo di vita dei prodotti e delle merci fino al momento del prelievo delle risorse dall'ambiente;

- l'attenzione ai cicli ecologici non deve essere slegata da quella alla equa distribuzione delle risorse e delle ricchezze tra quanti sono ricchi e quanti sono poveri, tanto al Nord che al Sud del mondo.

Passare da azioni difensive ad azioni offensive: la "questione rifiuti"

Le usuali politiche ambientali, quando vengono effettivamente fatte, guardano prevalentemente a valle del ciclo produttivo privilegiando generalmente legislazioni di vincolo e/o di restrizione/minimizzazione delle emissioni e degli impatti, tecnologie di disinquinamento, riduzione dell'inquinamento entro presunte soglie di accettabilità facendo finta di dimenticare i processi di accumulo nei corpi ricettori e nelle catene ecologiche ed alimentari e gli effetti di sinergia (sindrome del filtro...).

L'atteggiamento dominante è quindi quello dello stupido: prima inquinare e poi disinquinare.

Una stupidità con una finalità precisa: il doppio guadagno. Prima si guadagna producendo inquinamento, poi si guadagna di nuovo per eliminarlo. E chi può meglio inventare tecnologie disinquinanti di coloro che hanno la pratica delle tecnologie inquinanti? Nel frattempo si depaupera l'ambiente e crescono le malattie.

Dobbiamo allora, collettivamente, spostare l'attenzione verso l'inizio del ciclo di trasformazione della materia e dell'energia e verso l'intero processo di produzione delle merci e delle sostanze. In quest'ottica un ambientalismo serio e coerente deve porre in cantiere iniziative volte alla chiusura di alcuni cicli produttivi, e in particolare quelli finalizzati alla produzione di:

- sostanza nocive (con rischi di media gravità);

- sostante tossiche (con rischi gravi, acuti o cronici, anche mortali);

- sostanze teratogene (che producono malformazioni congenite ed ereditarie);

- sostanze mutagene ( che possono produrre difetti genetici ereditari);

- sostanze cancerogene ( che possono produrre il cancro o aumentarne la frequenza).

Il modo in cui viene affrontata la questione rifiuti nel nostro paese (dal "decreto Ronchi" del 1997 alla legge regionale toscana n. 25/98) è un esempio quasi didascalico dello "sviluppo sostenibile", un modello debole e alla lunga inefficace, nella sostanza inquinante e, per certi aspetti, "perverso".

La complessa questione "rifiuti" viene affrontata infatti in maniera subalterna:

- all'illusione della possibilità di controllo tecnologico dei sistemi complessi;

- alla fede nella superiorità della forma tecnologica dei processi sociali e culturali, da cui discende la subalternità alla logica impiantistica entro la quale gli impianti non sono considerati come strumenti ma come fine ultimo delle pratiche di soluzione veloce dei problemi. Un atteggiamento che si conforma alla logica del profitto finanziario legato alle diverse filiere tecnologiche. Che poi tali pratiche spesso non siano la soluzione, anzi presentino un peggioramento dell'ambiente e della salute umana non viene messo nel conto - anche economico - o per interesse (grandi gruppi economici; gruppi politici che pensano di trarre vantaggio dal giro di soldi che circola attorno alle grandi soluzioni impiantistiche, in termine di interesse personale o di partito) o per dabbenaggine (anime candide dell'ambientalismo che finiscono per avallare certe scelte in nome del mito del "realismo"). Eppure una visione realistica della realtà dimostra che inceneritori e discariche come, ad esempio, canalizzazione dei fiumi e infrastrutturazione pesante del territorio, aumentano invece che diminuire i problemi.

Occorre passare dalla cultura dello "smaltimento" dei rifiuti alla cultura della loro riduzione progressiva. Occorre uscire dalla ambigua parola d'ordine della "raccolta differenziata" come finalità e toccasana, per porre al centro dell'attenzione e dei programmi il "riciclaggio" e il "riutilizzo".

Coordinamento dei Comitati liguri e toscani per la difesa dell'ambiente



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