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Da "Umanità Nova" n.6 del 21 febbraio 1999

Ucraina: le lotte del maggio-giugno 1998
Sciopero dei minatori

Il movimento è iniziato spontaneamente in una miniera di Pavlograd, nel distretto di Dnepropetrovsk, ed in poche settimane si è sparso nell'intero bacino occidentale del Don. In seguito ad una nuova legge che impone un lungo periodo di attesa prima che uno sciopero possa essere cominciato, quell'azione era da considerarsi illegale ma né il governo, né la direzione della miniera hanno ritenuto di dover portare la questione davanti ad un tribunale.

Sotto la direzione del NPGU (Unione indipendente dei minatori ucraini) gli scioperanti hanno formato un comitato di sciopero di 36 componenti, presidente A. Korolev. Le loro richieste erano: riscossione intera dei 9 mesi di salari arretrati e indennità di inabilità al lavoro; garanzie per un futuro pagamento nei tempi di salari ed indennità, aumento del salario reale ai livelli del 1990, dichiarazione che qualifichi come prioritaria l'industria estrattiva del carbone, che non si effettuino più acquisti di carbone all'estero.

Gli scioperanti hanno dato corso ad alcune attività nell'intento di sottolineare la drammaticità delle loro richieste:

- il 15 maggio 5-6.000 di loro sono andati per 165 km in marcia da Pavlograd a Dnepropetrovsk; le cattive condizioni di salute, la calura, le difficoltà hanno fatto sì che più di 200 marciatori finissero in ospedale;

- il 23 maggio più di 1.200 minatori hanno iniziato una marcia di 600 km da Dnepropetrovsk alla capitale Kiev.

Con la partenza degli elementi più radicali, il picchettaggio dell'amministrazione delle miniere di Dnepropetrovsk è risultato più tranquillo. La stanchezza e la noia e la mancanza di risultati hanno pesato e incoraggiato le tattiche dilatorie della direzione. La quale ha anche fatto risalire la tensione con la minaccia di licenziare gli scioperanti che non tornavano al lavoro. Pian piano la gente ha cominciato a mollare, e per la fine di giugno in sciopero rimanevano 3-4.000. Le presenze quotidiane, che all'inizio proseguivano tutto il giorno a battere caschi e bottiglie, si sono via via accorciate. La mancanza di iniziative del comitato di sciopero per tenere impegnati i picchettanti hanno contribuito a far scendere il morale.

Nel frattempo, quando la colonna di minatori da Dnepropetrovsk è giunta in prossimità di Kiev l'11 giugno, sono stati ricevuti da Derzhak, presidente del PRUP, il sindacato che gode della protezione governativa. Questi li ha esortati a tornarsene a casa perché il governo aveva promesso di trasferire 18 milioni di griven per la liquidazione dei salari arretrati nei prossimi giorni. Il primo risultato di questi discorsi è stato che alcuni attivisti del PRUP sono entrati a far parte del più radicale NPGU, con le conseguenze che possiamo immaginare. Derzhak da tempo sta considerando la propria candidatura alla poltrona di ministro dell'industria mineraria. E' anche uno dei fondatori e presidente della recentemente istituita compagnia mineraria "Ugol Ukrainy". Nessuno potrebbe negare che vi sia uno strano connubio di incarichi in questo leader sindacale.

All'ingresso di Kiev il 12 giugno i marciatori come primo atto si sono recati in una chiesa a farsi benedire, e poi hanno cominciato il picchetto agli uffici governativi.

Come risultato di queste azioni, la mineraria "Pavlograd Ugol" ha ricevuto 47 milioni di griven per il pagamento parziale dei salari arretrati e la promessa di ricevere il rimanente prima della fine dell'anno. Inoltre, il governo si è accordato di dar seguito ad una raccomandazione fatta dal parlamento il 4 giugno per aumentare il sussidio all'industria del carbone da 400 mila a 1 milione di griven ed aumentare gli ordini dello Stato per 6 milioni di tonnellate.

La RKAS nel movimento di sciopero del maggio-giugno

Nel corso di questa lunga lotta varie volte i membri del RKAS hanno cercato contatti, distribuito stampa, offerto aiuto. La loro proposta di mettersi in relazione con il contemporaneo sciopero dei minatori russi del bacino orientale del Don è stata respinta dalla dirigenza dello sciopero, per cui la loro azione si è dovuta limitare a relazioni con militanti di base che prendevano parte allo sciopero. In un caso un compagno anarchico, non appartenente alla RKAS, che aveva parlato alle assemblee è stato denunciato alla polizia per agitazione.

I partiti politici e lo sciopero

D'altra parte ogni genere di partito o gruppo politico ha fatto sentire la sua presenza durante questa agitazione. In primo luogo la variegata serie dei partiti comunisti più o meno stalinisti o trotzkisti. In genere questi sono stati allontanati dai minatori, memori della denigrazione che avevano avuto dai partiti comunisti negli anni della disintegrazione dell'Unione Sovietica (1989-91). Anche il partito borghese "Gromada" col suo leader ex primo ministro Pavel Lazarenko è stato molto visibile durante la marcia, con alimenti e bevande distribuite, impianto di tende ad ogni sosta, telefonini squillanti per ogni dove nel corteo. Ad un certo punto il comitato di sciopero di Pavlograd aveva perfino messo all'ordine del giorno se era il caso di chiedere a Lazarenko di difendere i suoi interessi in parlamento.

Lo sciopero dei minatori in Russia

I minatori russi hanno iniziato il loro sciopero praticamente nello stesso periodo dei loro colleghi ucraini. Il 21 maggio i minatori di tutto il paese hanno cessato la movimentazione di carbone. Al tempo stesso le linee ferroviarie sono state bloccate nel Kuzbass, Vorkuta e nel bacino del Don orientale (russo), ed in varie città negli Urali e ad est degli Urali. I minatori dell'estremo Est hanno anche occupato gli edifici dell'amministrazione mineraria, prendendo i dirigenti in ostaggio. Le richieste erano le stesse: pagamento dei salari arretrati.

Le ragioni del ritardato pagamento dei salari

E' questo uno dei fenomeni degli stati dell'ex Unione Sovietica, una delle nuove forme di sfruttamento del proletariato. Avviene in tutti i settori che dipendono dai bilanci statali: miniere, industrie non ancora privatizzate, educazione, sanità ecc.

Una delle cause dell'incapacità delle amministrazioni di pagare i salari è il limitato uso della moneta: nell'industria il 73% delle transazioni avviene tramite baratto, e questo è anche uno dei metodi per nascondere i profitti e per evitare di pagare le tasse, per cui ne divengono vittime tutti coloro che dipendono dai bilanci dello Stato per il loro salario.

Un altro metodo per nascondere i profitti ed evitare di versare le tasse per le aziende è quello di caricarsi reciprocamente di costi irreali (più alti o più bassi a seconda dei casi) attraverso delle aziende intermediarie.

L'industria dell'estrazione del carbone presenta un caso particolare di incapacità di pagare i salari. Il governo sostiene che il costo di produzione di una tonnellata di carbone estratto in Ucraina è di 73 griven, di cui 24 sono di sussidio. Dei 211 pozzi in Ucraina, ne vengono indicati come esercenti in perdita 187. Dunque, sotto la pressione del Fondo Monetario Internazionale, il governo porta avanti una politica di chiusura dei pozzi, per comprare carbone all'estero (ad esempio in Ceschia e Polonia) dove il costo di produzione è inferiore. L'esaurimento delle riserve non è mai la causa per la chiusura. A seconda dei metodi di calcolo, queste sono stimate sufficienti per i prossimi 180-350 anni.

Le cose sarebbero ben diverse se nuove tecnologie venissero introdotte. Ma nulla: non si aprono nuovi pozzi; il rinnovo dell'equipaggiamento è ridotto al minimo. Soltanto il 42% del lavoro in miniera è meccanizzato: il resto è eseguito a mano, e perfino il mantenimento dell'attrezzatura è al di sotto delle necessità.

Sono tralasciate le possibilità di miglioramenti qualitativi e di commercializzazione delle scorie.

La politica delle autorità e delle direzioni si dimostrano semplicemente criminali se si getta uno sguardo alla sicurezza del lavoro. Anno dopo anno decine di minatori muoiono nelle esplosioni che avrebbero potuto essere previste dall'applicazione delle tecnologie conosciute ormai da decenni. Appena la scorsa primavera oltre 70 minatori sono rimasti uccisi in un'esplosione in una miniera a Donetsk. Soltanto il 30% dei minatori sono equipaggiati con filtri individuali antiquati. Le infermerie sono mal attrezzate, spesso sfornite anche dei semplici materiali per la fasciatura.

Non è soltanto lo scarso rispetto per loro che i capi e le amministrazioni hanno dimostrato nel pagamento del salario e nel mantenimento delle condizioni lavorative che hanno fatto dei minatori la categoria più combattiva fra i lavoratori in Ucraina e nei paesi dell'ex Urss. Più di ogni altra cosa ha influito la reciproca dipendenza nel lavoro, per la salute o anche per la stessa sopravvivenza, e la risultante mutua fiducia che li ha fatti crescere nel processo, che li ha fatti diventare una forza con la quale i loro datori di lavoro e le autorità devono fare i conti.

Anche se si considerano tutte le categorie di lavoratori che dipendono dai bilanci statali per i loro salari, sia che li ricevano regolarmente sia ritardati, nessun'altra categoria ha saputo sviluppare azioni così durature ed importanti. E, fra l'altro, nessuna categoria ha solidarizzato per esempio scendendo in lotta con i minatori ucraini, sebbene in molti abbiano applaudito alle loro iniziative, come quelle della marcia fino a Kiev.

Per noi della RKAS questo movimento è stato un'opportunità per far conoscere le nostre idee rivoluzionarie anarcosindacaliste ben oltre gli stretti contatti che avevamo, e diffonderli nel vasto bacino del Don allacciando nuovi rapporti.

Tratto da Anarchosindikalist n. 7, 1998, Organo centrale di informazione dell'Ufficio per una Confederazione Rivoluzionaria Anarcosindacalista (RKAS-Ucraina).

e-mail reclama@ihelzon.donetsk.ua

(Traduzione di Alfonso Nicolazzi)



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