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Da "Umanità Nova" n.6 del 21 febbraio 1999
Tesi sul finanziamento pubblico alla scuola privata
Per una scuola realmente pubblica
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L'attuale scontro politico fra fautori del finanziamento pubblico alla scuola
privata e difensori della scuola della repubblica ha, come sovente accade, il
carattere di una battaglia ideologica che elude o, peggio, nasconde volutamente
i termini reali della questione di cui si tratta.
Nella realtà, i difensori della scuola privata, che si vorrebbero
avversari del monopolio statale della formazione e fautori della libertà
di educazione, sono decisi assertori di una forma particolare e subdola di
statalismo mentre i "difensori della scuola pubblica" sono, sin troppo spesso,
i difensori di una scuola aziendalizzata nei fatti e, comunque, burocratica e
gerarchica e, quindi, tutto tranne che pubblica nel senso proprio del
termine.
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Il partito degli amici della "libertà di scelta" per le famiglie.
costituito, in primo luogo, dall'apparato ecclesiastico e dal padronato,
è mosso soprattutto dall'esigenza di avere risorse economiche per
salvare scuole che rischiano, sempre più spesso, di chiudere per
mancanza di clienti. In altri termini, costoro non chiedono affatto di ridurre
il ruolo della macchina statale per quel che riguarda la formazione ma vogliono
semplicemente, spostare quote di spesa pubblica per garantire interessi di
parte. Sono, da questo punto di vista, perfettamente omogenei alla tradizionale
politica delle imprese il cui "liberismo" non ha mai impedito la richiesta di
protezione e finanziamento statale, anzi.
3
Dal punto di vista politico/culturale, il partito in questione vuole
semplicemente costruire un modello di scuola che espelle dal proprio interno
l'idea stessa di diritto del cittadino all'istruzione, ogni diritto viene
legato al pagamento del servizio e perde, di conseguenza, ogni preteso
carattere universale e generale per ridursi ad un rapporto fra singola
scuola/impresa (poco conta se pubblica o privata) e suoi "clienti", clienti
selezionati dalla scuola sulla base di criteri di appartenenza sociale e
culturale e dotati di un potere economico di pressione sul corpo docente e
sull'impresa/scuola stessa.
4
Vi è, in questa proposta, un regresso epocale sia rispetto alla
tradizionale idea di scuola come diritto generale, per quanto non realizzata
nei fatti, che alla distinzione fra diritti del singolo e diritti della
famiglia. Il bambino prima ed il ragazzo poi vengono, nella loro ipotesi,
riconsegnati appieno ad un'autorità familiare che il carattere della
scuola pubblica aveva, in parte, indebolito e le famiglie stesse vengono
invitate ad orientare la propria scelta secondo logiche di appartenenza sociale
e culturale che non possono che rafforzare le attuali gerarchie sociali.
5
Il partito dei difensori della "scuola della repubblica" appare, in questo
contesto, straordinariamente radicale nonostante i limiti che lo
caratterizzano, limiti che sono, nel migliore dei casi, un segno dei tempi e,
nel peggiore, il portato dell'egemonia del punto di vista statale e padronale
sul movimento di classe. La "difesa della scuola pubblica" contro l'attacco
clericale e padronale rischia, se non si pone in una prospettiva politica
chiara, di essere subalterna agli interessi che pretende di combattere.
6
Se definiamo, come ritengo sia corretta, una scuola aperta effettivamente a
tutti, che operi contro le discriminazioni di classe, che permetta concrete
modalità di autogoverno dei soggetti che vi si trovano ad operare, che
permetta libertà di insegnamento, di ricerca, di sperimentazione, la
scuola attuale è tutto tranne che pubblica e rischia di esserlo sempre
di meno per diverse ragioni.
7
In primo luogo, l'attuale struttura della formazione non fa che riprodurre le
divisioni di classe che caratterizzano la società. Manca qualsiasi
politica del diritto allo studio: gratuità dei trasporti, dei libri di
testo, mense, risorse aggiuntive adeguate per gli studenti con maggiori
difficoltà sociali e culturali, presalario ecc. L'autonomia, intesa come
aziendalizzazione della scuola, che l'attuale governo ha approvato non
potrà che rafforzare la gerarchia interna fra gli istituti, esaltare la
concorrenza per accaparrarsi fasce di utenza "pregiata", fare delle scuole
riservate ai gruppi sociali più deboli dei contenitori a metà fra
il parco giochi ed il riformatorio.
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In secondo luogo, la scuola pubblica è gestita attraverso una miscela
di dispotismo burocratico e logiche privatistiche che ci pone di fronte al
peggio del pubblico e del privato. Una burocrazia pletorica ed inefficiente
governa le sorti di più di un milione di lavoratori e di oltre dieci
milioni di studenti rendendo difficile, faticoso, sovente impossibile ogni
tentativo di effettiva innovazione dal basso. I collegi docenti, le assemblee
studentesche, le riunioni del personale tecnico, amministrativo ed ausiliario
non hanno alcun potere effettivo e si riducono ad un dispendio di tempo e di
energia mentre cresce il potere dei capi di istituto, recentemente promossi a
dirigenti e tutti presi da corsi di formazione a questo nuovo incarico gestiti
direttamente dalla Confindustria. Come un medico che pretende di guarire la
malattia che egli stesso ha diffuso, il governo introduce logiche privatistiche
nel governo della scuola con l'effetto di sottometterla ulteriormente agli
interessi economici dominanti.
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Il disgusto, la non sopportazione, il desiderio di cambiamento rispetto alla
tradizionale gestione burocratica della scuola aprono le porte alla
privatizzazione di fatto di una scuola che resta formalmente pubblica.
L'aumento del potere dei presidi che viene presentato come l'attribuzione di un
maggior potere alle istituzioni scolastiche è, nei fatti, un
rafforzamento della gerarchia e del dispotismo della burocrazia, tanto
più forte quanto più "decentrato". Gli stessi presidi manager
saranno sottoposti più che in passato alla pressione del mercato con
l'effetto di avere un maggior potere di gestione e di controllo sul personale,
oltre che un reddito più alto, ma meno autonomia sul piano
dell'organizzazione dello studio e, cioè, di quello che dovrebbe essere
il principale compito della scuola.
10
Dal punto di vista propriamente culturale, la scuola azienda si presenta
come la trasformazione del sogno di un sapere liberato dalla gerarchia e dal
nozionismo nell'incubo di una formazione-intrattenimento ridotta alla
trasmissione di pochi saperi sempre più impoveriti, di abilità e
di competenze parziali staccati da una visione generale del sapere e della
società. Le masse dei nuovi proletarizzati che il sistema delle imprese
chiede alla scuola dovranno essere flessibili, adattabili, innovative ma non
dotate di un punto di vista forte e definito sulle questioni che affronteranno
dal punto di vista individuale e collettivo.
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Questo modello di scuola spiega anche la politica scolastica del governo e
dei sindacati suoi amici: alla libertà di impresa per la scuola
corrisponde la riduzione dei diritti sindacali per i lavoratori del settore,
alla richiesta di "modernità" il degrado del servizio, alla
valorizzazione del mercato come modello di riferimento, il taglio delle risorse
per l'edilizia, per il personale, per le strutture.
L'obiettivo dei nostri avversari è quello di tagliare la spesa pubblica
per l'istruzione, così come avviene per la sanità, per i
trasporti ecc. e, nello stesso tempo, di mettere i lavoratori e gli utenti dei
settori coinvolti da questo processo in lotta fra di loro per ottenere il
meglio, o il meno peggio, possibile nella fruizione dei servizi.
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Se quanto si è sinora detto è, per grandi linee, esatto ne
consegue che un movimento reale in difesa della scuola pubblica deve toccare
tutte i piani dello scontro rivendicando con forza:
- investimenti per la scuola pubblica;
- libertà di insegnamento;
- retribuzioni dignitose, un'organizzazione del lavoro non volta a deprimere la
ricerca e l'innovazione, diritti sindacali per il personale della scuola;
- spazi effettivi di autogoverno per gli studenti;
- una politica attiva contro l'esclusione dallo studio degli strati sociali a
basso reddito o che, comunque, vivono situazioni di particolare
difficoltà;
- un effettivo decentramento dell'organizzazione della scuola che valorizzi i
lavoratori e gli studenti e non i capi di istituto ed i loro cani da guardia.
Su questi temi è essenziale che i sindacati di base del settore, le
associazioni culturali, i collettivi studenteschi sviluppino un percorso di
confronto e di costruzione di iniziative comuni.
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