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Da "Umanità Nova" n.7 del 28 febbraio 1999

Caso Ocalan e questione curda. L'Europa della vergogna

Le anime belle dell'Europa democratica si mostrano scandalizzate di fronte all'esito tragico della vicenda che vede coinvolto il leader del PKK, il partito comunista curdo, Abdullah Ocalan, catturato a Nairobi da rappresentanti del governo turco grazie ad aiuti e complicità facilmente intuibili anche se non dimostrabili con certezza. Gli americani certo non potevano negare una mano ad un alleato fedele e prezioso quale lo stato turco ha ben dimostrato di essere anche in momenti molto critici, quali la guerra con l'Iraq. In quanto agli stati europei, che a parole asseriscono di voler giocare un ruolo autonomo nei confronti degli Stati Uniti, nei fatti confermano un perdurante stato di sudditanza. D'altra parte quel che entra in gioco in questa brutta faccenda, al di là del destino personale di Ocalan, è l'equilibrio di una regione particolarmente importante dal punto di vista strategico ed economico. Il Kurdistan, intendendo con questa denominazione l'ampia regione abitata oggi prevalentemente da curdi, è diviso politicamente tra Siria, Turchia, Iraq e Iran e per un complesso intreccio di motivazioni nessuno, eccetto ovviamente le popolazioni locali, pare interessato a sponsorizzare una causa che renderebbe ancora più labili gli equilibri mediorientali. D'altra parte la questione curda, anche solo per quel che concerne la Turchia, è praticamente coeva alla nascita dello stato turco. L'esasperato nazionalismo turco, dovuto alla volontà di Mustafà Kemal di reinventare un'identità (e quindi una lingua e una cultura e una tradizione autoctone) per il nuovo stato che si accingeva a fondare dopo la dissoluzione dell'impero ottomano, è all'origine di un conflitto feroce. La prima guerra mondiale costituisce un importante spartiacque poiché da un lato segna il definitivo tracollo di un'organizzazione politica, rigidamente gerarchica ma multietnica quale era quella ottomana (nel 1917 tra l'altro si consuma il genocidio degli armeni altra importante minoranza che viveva in quelle regioni) e dall'altro crea le premesse per la nascita di due opposti nazionalismi impegnati in una lotta feroce che attraversa a fasi alterne tutta la storia di questo secolo. Una storia a più riprese segnata dall'aperta rivolta delle popolazioni curde, la cui identità viene sempre più negata, al punto da proibire l'insegnamento e l'uso della lingua e dall'inventare dal nulla la definizione di turchi di montagna per definire i curdi. Nonostante il moltiplicarsi negli anni di momenti aspri di scontro tra popolazione curda e esercito turco il resto del mondo resta a guardare, relegando la questione tra i problemi "interni" della Turchia.

Oggi non meno che in passato nessuna tra le potenze a livello mondiale e tantomeno regionale ha interesse a dare spazio alle ragioni dei curdi.

Sono ragionevolmente convinta che uno dei non secondari motivi per i quali durante la prima fase guerreggiata del conflitto tra l'Iraq da un lato e gli Stati Uniti dall'altro, la marcia trionfale del generale Schwarzkoft sia stata fermata quasi alle porte di Baghdad, fosse il timore che la caduta di Hussein avrebbe reso possibile un'insurrezione vittoriosa nel Kurdistan iracheno. Da qui il pensare un possibile, incontrollabile contagio oltre la frontiera turca ove vivono diversi milioni di curdi non pare più di tanto un'ipotesi fantapolitica. Le anime buone del Pentagono hanno imposto nel Kurdistan iracheno la "No fly zone" la zona del non volo, interdetta agli iracheni per poter avere comodi pretesti per bombardare la popolazione civile in Iraq mentre la repressione anticurda ha sempre avuto la benedizione americana in Turchia. D'altro canto in altri tempi l'uso del napalm sui curdi iracheni effettuato su larga scala da Saddam Hussein non ha provocato neanche una protesta alle Nazioni Unite. Come non pensare al diverso atteggiamento assunto dagli Stati Uniti nel Kosovo? Proprio in queste ore si sta giocando una partita che potrebbe anche concludersi con un intervento militare in quella regione mentre gli arresti di massa operati in queste stesse ore dal governo di Ecevit tra la popolazione curda, non esclusi i militanti dell'unico partito rimasto "legale" l'Hadep, non sono oggetto di alcun interesse da parte delle diplomazie occidentali.

L'atteggiamento pavido dei governi europei che ha obbligato Ocalan ad una fuga sempre più disperata che alfine lo ha reso facile preda del governo turco non è che l'ennesimo atto, più eclatante solo perché maggiormente sotto l'occhio di vetro delle telecamere, della consapevole scelta di rimozione operata nei confronti della questione curda. In una nota in prima pagina di un importante quotidiano un commentatore dall'anima tenera e con il gusto per l'effetto giornalistico ha paragonato l'immagine di Ocalan bendato, incatenato, evidentemente imbottito di psicofarmaci ad altre famose immagini che nel corso della storia di questo secolo hanno lasciato una traccia nella coscienza democratica. Certo l'immagine di un uomo trattato come una bestia, privato di ogni più elementare diritto, non può che colpire specie se viene impudicamente esibita, come trofeo di una caccia che nessuno può permettersi di contestare, come esibizione arrogante di un potere sicuro di non essere contrastato da alcuno. Viene tuttavia da chiedersi: ma dov'erano questi giornalisti dalla penna lacrimosa quando sotterraneamente sono cominciate a girare le immagini dei villaggi curdi pieni di cadaveri di uomini, donne, bambini, uccisi dai gas dell'esercito iracheno? Dov'erano quando solo in pochi parlavano della repressione, delle torture, delle manifestazioni che nel Kurdistan turco regolarmente si concludono con uccisioni ed arresti? Il muro del silenzio si ruppe brevemente solo perché tra i manifestanti che lo scorso anno a Dyarbakir sfilarono per festeggiare il capodanno curdo in barba alle proibizioni, c'era anche l'attivista italiano Dino Frisullo, che come moltissimi altri fu arrestato. Anche in quell'occasione ci furono delle vittime, ma a destare l'attenzione fu unicamente la detenzione di un nostro connazionale. Perché nessun grande quotidiano ha pubblicato le immagini di soldati turchi in posa davanti all'obbiettivo esibire le teste mozzate di quattro guerriglieri curdi appena catturati? La vicenda che vede protagonista il leader del Partito Curdo dei Lavoratori è quantomeno servita a dare visibilità alla lunga storia di rivolte e feroci repressioni che hanno visto protagonisti i curdi. Certo Ocalan per molti aspetti non è esattamente un personaggio dalla limpida biografia del rivoluzionario libertador che tanta sinistra buonista indulge a descrivere (la stessa Amnesty International, pur ritenendo inaccettabile che fosse consegnato ad un paese come la Turchia in cui le violazioni dei diritti umani sono all'ordine del giorno, non manca di denunciare le pratiche sanguinarie nei confronti della stessa popolazione curda da parte del PKK), tuttavia la vicenda che lo vede coinvolto, la ribellione dei curdi in molti paesi, il crescere della repressione in Turchia non possono che suscitare indignazione. In quest'Europa degli steccati e dei capitali, gli appelli alla D'Alema per un processo equo mostrano il volto di un'Italia e di un'Europa ben più attente alle commesse militari con la Turchia ed a buoni rapporti con gli Stati uniti, gli alleati di sempre, che non al rispetto dei diritti umani.

ma. ma.



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